In Cina le fabbriche dell'orrore, dove cani e gatti vengono uccisi per la pelliccia

L'inchiesta dell'associazione Animal Equality sul barbaro business dietro al commercio delle pelli di animali domestici. Randagi ma spesso anche rubati ai legittimi proprietari, vengono rinchiusi in gabbie e massacrati per confezionare capi di abbigliamento e pupazzi di peluche che finiscono anche sul mercato italiano

Con l’aiuto di attivisti locali, rischiando grosso, i rappresentanti di Animal Equality si sono infiltrati per settimane all'interno di alcune grandi aziende cinesi di allevamento, che praticano la macellazione sommaria di cani e gatti per ricavarne pelli con cui poi altri elementi della "filiera" realizzeranno borse, vestiti, giocattoli, peluche, tappeti.

E' la nuova investigazione sul commercio delle pellicce di cani e gatti in Cina realizzata dall'organizzazione internazionale per la difesa degli animali che conta migliaia di iscritti-sostenitori e circa un milione e mezzo di simpatizzanti.

Ogni anno nella superpotenza vengono uccisi 10 milioni di cani e 4 milioni di gatti. Spesso rubati ai loro legittimi proprietari, tant'è che al martirio vi giungono col collare. In Cina il commercio di pellicce e carne di gatti e cani non è illegale (in Europa sì), anche se fortunatamente la sensibilità dell'opinione pubblica sulla questione sta lentamente cambiando.

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Merito anche della precedente operazione di Animal Equality, nel 2013, che portò alla chiusura di trentatré rivenditori "specializzati" e di un macello per cani. In quel caso i principali media e tg cinesi rilanciarono le immagini choc e subito virali girate dall'associazione animalista, cominciando a interrogarsi sulla legittimità di questa barbarie.

Per la prima volta la polizia nazionale intervenne in forze: "Fino a quando il governo cinese non proibirà questo commercio, per la chiusura dei mercati, ristoranti e macelli interessati si potrà far leva solo sul rispetto delle leggi in materia di bio-sicurezza e tassazione". Così è accaduto due anni fa. Così potrebbe accadere ancora oggi.

Ma torniamo all'ultima "investigazione", con annesso video, a tratti davvero cruento e insostenibile (si può vedere a questo link), e non solo per gli amanti degli animali domestici. Grazie alla collaborazione di coraggiosi attivisti locali, il team dell’organizzazione è riuscito a incunearsi in queste industrie-tabu a Jining, Foshan e Jaixing, catturando sequenze in presa diretta sull'olocausto quotidiano vissuto da queste bestioline inermi, immolate per la pelliccia e per qualche yen.

Si vedono cani con occhi grandi e lucidi, da cui scendono lacrime disperate. Forse perché intuiscono il massacro cui andranno incontro di lì a breve. Sono appena arrivati, ancora in gabbia, e vengono prelevati con le tenaglie per essere ammazzati a uno a uno. Con martellate in testa e coltellate alla gola. Nelle immagini si vede sgorgare sangue come in un film splatter. Dopo una breve o lunga agonia, è il momento del rituale primitivo dello scuoiamento.

A quel punto le pelli di cane sono pronte per essere svendute ai grossisti. Finiranno nei negozi e nei centri commerciali cinesi, "ultimo anello di una catena di commercio macabra"; e a volte anche in quelli della nostra Europa "cruelty-free" e "dog&cat friendly".

Perché è molto difficile tracciarne il flusso, in particolare per quel che riguarda gli inserti in pelle e l'accessoristica: occorrerebbe un costoso esame del dna. Basta una semplice falsa etichettatura per farla franca e bypassare le dogane, insomma. Mentre le pelli dei cani procione salpano già tranquillamente dalla Cina, con la dicitura "murasky": il loro ingresso, in occidente, non è vietato.

La videoinchiesta di Animal Equality è iscritta nella campagna globale "Senza Voce", che ha fin qui raccolto quasi seicentomila firme, consegnate pochi giorni fa all'Ambasciata della Repubblica popolare cinese di Madrid.

L'obiettivo è quello di vietare il commercio di carne e pellicce di cani e gatti in Cina, e naturalmente anche nel resto del mondo. "È importante sottolineare come il numero di attivisti e persone di nazionalità cinese che protestano contro queste atrocità cresca velocemente" spiega all'Espresso Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equality Italia. Soltanto loro possono sporgere denuncia penale o civile; la loro adesione alla causa è fondamentale. Fermo restando che "in Cina non esistono leggi che proteggono gli animali: la pressione internazionale può perciò svolgere un ruolo nevralgico per spingere il governo nazionale a porre fine a questa crudeltà”.

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