Nei documenti trasmessi dalle Autorità Vaticane emerge il ruolo del lobbista ligure, ex enfant prodige protetto dal cardinal Bertone e vicino al cardinale Angelo Becciu. Intanto il Tribunale del riesame respinge le istanze della difesa di Gianluigi Torzi che chiedeva l’annullamento dell’arresto

Nella tarda serata di lunedì, il Tribunale del Riesame ha respinto il ricorso degli avvocati di Gianluigi Torzi, il broker per il quale la Procura di Roma ha spiccato un mandato di arresto la scorsa settimana per autoriclaggio, emissione e annotazioni di fatture per operazioni inesistenti per le operazioni finanziarie connesse alla compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra e per altre operazioni nel ramo della sanità e delle assicurazioni.

Un’inchiesta durata molti mesi, nata dalla collaborazione con le Autorità giudiziarie vaticane raccontata in oltre 6500 le pagine che compongono il fascicolo dell’inchiesta che hanno portato gli inquirenti a richiedere la misura cautelare per il molisano, già arrestato la scorsa estate dalla Gendarmeria Vaticana e rilasciato su cauzione di 3 milioni di euro che la Santa Sede non è riuscita ad incassare. Infatti sembrerebbe che Torzi abbia in quella occasione presentato un assegno bancario inesigibile poiché intestato ad una società con sede in Svizzera che dopo verifiche è risultata essere inesistente. Un modus operandi che viene descritto nelle pagine fitte di numeri, chat, estratti conto, che ricostruiscono la tela di società ed interessi che Torzi assieme a Giacomo Capizzi, Alfredo Camalò e Matteo Del Sette, tutti indagati a vario titolo per emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti e per autoriclaggio (solo il molisano) avevano messo in piedi, costruendo un giro di scatole cinesi societarie ed erogazioni di intermediazioni e servizi inesistenti.

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Gli uomini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma, delegati dalla Procura di Roma su richiesta delle Autorità Vaticane, hanno ricostruito uno scenario che riannoda vecchie trame e giochi di potere sotto il colonnato del Bernini, playmaker finanziari e lobbisti appartenenti alla vecchia guardia che ruotava intorno all’ex segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, che compaiono tra le carte dell’inchiesta. Proprio negli allegati che la magistratura vaticana ha trasmesso ai colleghi italiani, compare il nome di Marco Simeon, il “lobbista di Dio”, uomo ombra del cardinale Angelo Becciu, che il 7 agosto del 2020 venne audito dai promotori di giustizia come “persona informata sui fatti” e a cui viene lo stesso giorno sequestrato lo smartphone anche se dalle carte non risulta indagato. Gli inquirenti estraggono dalle sue chat di whatsapp alcune conversazioni legate all’affare londinese con l’ex membro del CSM e sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, con l’ex capo di gabinetto del Ministero dello Sviluppo Economico e Lavoro Vito Cozzoli e con l’ex deputato di Forza Italia e già Presidente di Invitalia Giancarlo Innocenzi Botti, personalità che risultano non indagate.

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Una rete di relazioni che Simeon intratteneva secondo gli investigatori per conto del cardinale Becciu, al quale lo lega una profonda amicizia nata proprio ai tempi in cui il cardinale Bertone che promosse il prelato sardo come Sostituto agli affari Generali della Segreteria di Stato e che contestualmente portò Simeon in ruoli di sempre maggiore responsabilità nelle gerarchie comunicative vaticane. Secondo gli investigatori vaticani il ruolo di Simeon si sarebbe rafforzato proprio con l’uscita di scena del cardinale Becciu dall’incarico di Sostituto agli affari generali della Segreteria di Stato, infatti il lobbista ligure avrebbe avuto un ruolo attivo nelle mediazioni e nelle coperture istituzionali intorno all’operazione che col passare del tempo ha generato una voragine nei conti vaticani ed inoltre avrebbe proposto la creazione di una cordata composta dall’ex ambasciatore Giovanni Castellaneta, un fondo americano, e Giancarlo Innocenzi Botti. Nelle chat acquisite dagli inquirenti emerge per valore di collegamento tra i vari mondi di riferimento dell’ex cardinale Becciu, proprio quella che Simeon intrattiene con Innocenzi Botti. Il rapporto tra Simeon e Innocenzi Botti anche di antica fattura, risalente a quando i due con ruoli diversi si sono incontrati nei corridoi Rai di Viale Mazzini, amicizia che ha portato all’ex sottosegretario di Forza Italia vari privilegi e buoni rapporti con la Santa Sede che lo annoverava fino a qualche tempo tra gli inquilini di un ampio appartamento in via della Conciliazione. L’ex deputato forzista è amministratore di una società di Gianluigi Torzi la “Jci Holding Plc” con sede a Londra, un ruolo che l’ex azzurro avrebbe ricoperto poiché rimasto senza incarichi pubblici e che lo ha portato a trasferirsi armi e bagagli nella City.

 

Ma la JCI non è l’unica società dove Innocenzi risulta essere socio assieme a Torzi e a figure a lui collegate, dai pubblici registri del Regno Unito risulta presente anche nella “Food and Life”, nella GI IB Ltd e nella Bruton Re Ltd, qui in compagnia anche dell’ex ambasciatore italiano negli USA, Giovanni Castellaneta. Questo ventaglio di società che secondo le carte degli inquirenti operavano nel settore del food erano una sorta di vetrina istituzionale che permetteva un binario di accreditamento dello stesso Torzi e di aprire nuovi canali di circolazione dei vari proventi delle attività fittizie e di aprire delle diligence societarie in grado di spacchettare le consulenze milionarie che aveva intavolato. Così come per tanti altri, anche Innocenzi Botti, ben presto si ritrova a dover tornare a Roma, sia perché gli appannaggi economici promessi stentano ad arrivare e sia perché nel frattempo i protagonisti della vicenda comprendono che la gestione delle risorse di Torzi non appare sicura. Insomma solco della gestione del disastroso affare, Simeon, avrebbe messo su una cordata composta sempre con uomini legati a doppio filo a Torzi, che nel frattempo aveva “ricattato” come scrivono gli inquirenti la Santa Sede e fatto pressione per ricevere emolumenti per prestazioni mai svolte.

 

Il ruolo di Simeon risalendo alle conversazioni appare di grande ascendente con i suoi interlocutori, si informa, smista e dirige influenze per cercare di concludere la vicenda londinese e continuare a guadagnare influenza con l’obiettivo di riaccreditare lo stesso Becciu negli uffici che aveva abitato per molti anni, cercando di mettere in atto una strategia comunicativa ed istituzionale tesa a farlo risultare come il risolutore della controversia tanto che i primi giorni di settembre del 2020 si sparge la voce che Papa Francesco avrebbe intenzione di richiamare il prelato sardo nel suo vecchio incarico. Voci che sarebbero state smentite poi dalla decisione del Bergoglio di dimissionare Becciu per peculato, atto che tuttavia non ha interrotto l’amicizia e la collaborazione tra il lobbista ligure e il presule che ha continuato a seguire i consigli strategici e comunicativi sulla gestione della deposizione cardinalizia e delle inchieste. Oltre all’arresto di Gianluigi Torzi, le prossime settimane saranno molto importanti per la Santa Sede sia sul lato giudiziario e sia per l’attesa della pubblicazione del rapporto di Moneyval, l'organismo di vigilanza antiriciclaggio del Consiglio d’Europa, che ha condotto lo scorso ottobre una visita ispettiva nella Santa Sede. Il rapporto è atteso anche per convalidare la mole di sforzi effettuati per uscire dalle criticità strutturali rivelate dallo stesso organismo nel 2012, anche se la mancanza della stesura di accordi giudiziari di estradizione con i Paesi europei resta il tallone d’Achille della giustizia vaticana come è stato dimostrato anche dalla vicenda dell’arresto di Cecilia Marogna, “l’esperta” di intelligence arruolata da Becciu e accusata di peculato arrestata a Milano e successivamente non estradata per assenza di protocolli tra Italia e Santa Sede.

 

Cecilia Marogna da qualche giorno è indagata per riciclaggio dalla magistratura slovena visto che la sua società società Logsic Doo, collettore di migliaia di euro bonificati dalla Segreteria di Stato, ha sede a Lubiana. Si ha l’impressione che anche in sede internazionale ci sia la certezza che l’inchiesta sugli affari illeciti sull’ufficio degli Affari Generali guidato dal cardinale Becciu è stato un notevole stress test per gli uffici giudiziari del Vaticano, una prova del fuoco anche per il papato di Bergoglio che su trasparenza ed etica ha puntato tutto.

 

Aggiornamento del 6 maggio, ore 17.00
La precisazione di Torzi e la nostra risposta