Incombe nel lago di Como il pericolo di una diga vecchia di un secolo rimasta senza manutenzione

L’ultimo allarme per la diga che incombe sul lago di Como arriva all’ora di cena. L’altoparlante in strada invita residenti e turisti a rimanere chiusi in casa. Gli ospiti del campeggio più vicino al torrente devono invece passare la serata in un luogo sicuro. Dopo quasi dieci chilometri di canyon mozzafiato, il Varrone entra in paese tra le case di Dervio con un ruggito e il suo carico di fango e alberi. È appena passata la paura per l’alluvione di luglio che ha colpito la costa opposta, fino a Cernobbio. E la sera del 4 agosto il nubifragio si scatena sulle montagne qui sopra, in provincia di Lecco. Grigna, Giumello, Legnone, Legnoncino sono cime famose per i loro panorami cristallini. Ma oggi sono anche l’imbuto che scarica a valle record mensili di piogge, con pochi precedenti storici. Il clima però c’entra fino a un certo punto. Almeno a Dervio: il pensiero fisso è la diga di Pagnona, uno sbarramento di pietrame e malta vecchio di un secolo, a poco meno di settecento metri di quota, con l’invaso ormai colmo di sassi e sabbia. Questa è infatti la storia ordinaria di un’importante infrastruttura, che ha accompagnato la rivoluzione industriale lombarda e, dopo decenni di sfruttamento, attende ancora un’adeguata manutenzione. Ma lassù, anche le nuvole si prendono gioco della lentezza degli uomini: da oltre due anni, ogni volta che viene allestito il cantiere, arriva la piena e se lo porta via.

 

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Non c’è bisogno di scomodare il disastro del Vajont. La diga così com’è, sostiene l’Enel che la gestisce, non crolla. Il collasso riguarda piuttosto i pendii intorno. Dopo la strada, è franato anche il sentiero di accesso al fianco meridionale. E perfino la galleria dello scarico principale dell’invaso rischia di essere ostruita da uno smottamento. In queste condizioni, in caso di emergenza, l’impianto è irraggiungibile. Come è accaduto il 12 giugno 2019.


Dalla sera prima alle dieci di quella mattinata cadono, in dodici ore, 120 millimetri di pioggia. All’inizio del nubifragio la superficie del lago è a 687 metri di quota. Subito dopo l’alba, l’acqua raggiunge lo scarico superiore a 693 metri. E alle nove, supera la quota di massimo invaso a 694 metri. Sette metri d’acqua per un torrente di montagna. «Con il proseguire dell’evento, alle ore 10 si è verificata la tracimazione del coronamento della diga posto a quota 694,50 metri, sino al raggiungimento del picco di piena in corrispondenza di una quota di circa 694,80 metri sul livello del mare», annota il rapporto del ministero delle Infrastrutture.

 

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In poche ore il torrente Varrone allaga la sala comandi, si porta via la strada e il sentiero di accesso e scavalca la diga alta una ventina di metri sul fondovalle. È lo scenario peggiore. Dall’invaso, centinaia di tronchi volano di sotto e vengono sparati nel canyon con la forza della piena. Quando arrivano a Dervio, l’unico centro abitato che incontrano, si incastrano sotto il ponte della ferrovia Milano-Sondrio e sotto un cavalcavia più a valle. Gli improvvisi sbarramenti rovesciano sulle strade e nelle cantine del paese una valanga di fango e legname. Succede in pochi minuti. «All’arrivo in Prefettura, poco dopo le 14, lo scrivente veniva informato dell’avvenuta evacuazione della popolazione delle aree individuate come allagabili a seguito di collasso dello sbarramento», riferisce il rapporto dell’ingegner Vittorio Maugliani, capo dell’ufficio di Milano della Direzione generale per le dighe del ministero delle Infrastrutture.


Fino a sera il sindaco di Dervio, Stefano Cassinelli, e la Protezione civile sono pronti al peggio. Sgomberata gran parte della costa, fuori gli anziani dalle loro case, trasferiti al sicuro decine di allievi delle scuole di vela di cui è famoso il paese. La stagione turistica alle porte, l’ultima prima della pandemia, viene salvata solo grazie all’aiuto di centinaia di volontari che con pale e fatica rimuoveranno le colate di melma.


La diga non è crollata. Anzi, ha passato quasi indenne il collaudo. Ma le conseguenze di quella giornata di terrore arrivano fino a oggi e risuonano ogni volta che la polizia locale deve avvertire i residenti del pericolo imminente. Come a inizio agosto. Da una parte i duemilaseicento abitanti e il loro sindaco. Dall’altra l’Enel, che considera la diga tuttora strategica per alimentare la centrale idroelettrica di Corenno Plinio, a pochi chilometri dalla foce del torrente Varrone. Tanto che l’antico sbarramento, anche se fatto di pietrame e malta e non di cemento armato, verrà alzato di altri due metri. L’esatto contrario di quanto la stessa Enel aveva previsto nel 2006: cioè di abbassare la diga di quasi quattro metri e declassarla a infrastruttura regionale.


Il progetto definitivo era pronto e aveva superato le necessarie approvazioni. «Gli interventi previsti permetteranno di incrementare i margini di sicurezza strutturale dell’opera, in particolare nei confronti della verifica di scorrimento, e di aumentare la portata massima esitabile dallo scarico superficiale, per una più agevole gestione delle piene ricorrenti ed eccezionali», osservano i progettisti di allora, gli ingegneri dell’Enel Lorenzo Lazzari e Giuseppe Oldani. Una diga, infatti, non serve soltanto a rifornire di acqua le centrali idroelettriche. L’altra sua importante funzione è la laminazione delle portate di piena: la possibilità di trattenere nell’invaso e ritardare lo scarico dell’acqua eccedente, in modo che il livello a valle della diga non cresca eccessivamente o troppo rapidamente. Per garantire questo servizio, l’invaso deve essere tenuto sgombro da detriti, come si fa periodicamente con i torrenti per evitare che scavalchino gli argini. Ma non sembra proprio il caso della diga di Pagnona. Invece di abbassare il fondale, piene permettendo, verrà infatti aumentato il livello dello sbarramento.


Il nuovo progetto di innalzamento è stato firmato dall’ingegner Oldani. Lo stesso tecnico che, per incrementare i margini di sicurezza, quindici anni fa aveva progettato l’abbassamento della diga. Ma le piene che sempre più spesso minacciano le coste del lago di Como, oggi Enel non le considera più un suo problema. «La diga di Pagnona, gestita da Enel Green Power Italia, è in uno stato di assoluta sicurezza idraulica e statica, come attestato dalle autorità preposte che effettuano controlli periodici. Inoltre la diga non ha alcun ruolo nella formazione delle piene, poiché lascia passare l’esatta portata che riceve in conseguenza del singolo evento meteo. In merito ai sedimenti presenti nell’invaso, si ricorda che, dal punto di vista tecnico, sono necessari volumi di invaso significativi per poter laminare una piena e la diga di Pagnona, anche in assenza di sedimenti, non ha un volume tale da poter fungere a tale scopo», dichiara infatti la società.


Quindi su Dervio non si abbatteranno soltanto gli eventi estremi: anche le piene minori, con l’invaso quasi completamente interrato, potrebbero diventare un pericolo. «Se la diga non lamina più le piene, ed è un fatto acclarato, serve solo a fare far soldi a Enel», protesta il sindaco di Dervio, Stefano Cassinelli: «Con il risultato che invece di portare via con i camion tutto il materiale accumulato dentro l’invaso, lo scaricano di volta in volta a valle. Così poi gli enti pubblici devono spendere milioni per alzare argini, fare opere di protezione e dragare i fondali. Non è accettabile che il lucro di Enel sia pagato da noi».


Eppure il progetto definitivo del 2006 segnalava alcune particolarità, come questa: «Nella parte più elevata, la spalla destra della diga non è stata impostata nella roccia, ma incassata in uno sperone morenico». E le morene sono generalmente composte di pietrisco e ghiaia. Oppure: «La malta si presenta con caratteristiche di consistenza molto variabili, passando da una apparente compattezza a una condizione di maggior porosità o disgregazione».


«Ritengo anch’io che la diga non sia a rischio crollo, tanto che nella lettera dell’agosto 2020 in cui ne chiedevo la demolizione non ipotizzavo un collasso, ma elencavo i problemi evidenziati dagli stessi tecnici», aggiunge il sindaco di Dervio: «Enel, nelle relazioni in cui proponevano progetti datati fino a vent’anni fa, ribadiva l’urgenza degli interventi e le analisi delle malte erano definite non soddisfacenti. Non riesco a capire come un manufatto, ammalorato e con diverse criticità, possa guarire senza alcuna cura».

 

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Se la diga non trattiene più le piene, i Comuni possono comunque beneficiare gratis del bollettino idrografico di Enel: «La presenza della diga rappresenta un importante punto di misura delle portate in transito: misure fondamentali che Enel Green Power Italia comunica puntualmente alle autorità competenti che provvedono a informare il territorio dell’entità del fenomeno e ad assumere le azioni di propria competenza», sostiene la società. Almeno gli abitanti a valle, in caso di emergenza, avranno qualche minuto in più per chiudere le loro case e scappare.


Non è chiaro se queste risposte basterebbero a un aspirante ingegnere idraulico a superare tutti gli esami. In cima a una strada stretta da togliere il respiro, ecco il borgo di Pagnona. Il ponte che collega con la provinciale, la via più comoda che scende dalla Valsassina, è chiuso per i danni dell’alluvione di due anni fa. Marino Tagliaferri, vicesindaco di questo pezzo d’Italia dimenticato dalla Repubblica, indica il sentiero a strapiombo sul vuoto: «L’unico accesso è questo, sull’altra sponda la strada e il passaggio di servizio sono franati nel torrente». Proprio così. La sera del 4 agosto il Varrone si è portato via tutto. Anche l’ultimo cantiere allestito sulle vertigini della diga.