Un sacerdote italiano latitante. Decine di religiosi accusati di orribili abusi su bimbi sordi nell'istituto Provolo di Verona. Si riaccende lo scandalo svelato dall’Espresso. Che era stato prontamente insabbiato

Illustrazione di Kevin Niggeler

Quando la polizia argentina si è presentata nella sua residenza a La Plata con il mandato di cattura, il sacerdote era già un fantasma. Sparito. Un prete italiano che diventa latitante. Colpito da un ordine di carcerazione, datato 23 aprile 2019, per il più grave scandalo di pedofilia nella Chiesa cattolica argentina. Ma tuttora in libertà grazie a un provvidenziale trasferimento in Italia. Dove vive da mesi, indisturbato, in una struttura collegata a un famoso istituto religioso di Verona: lo stesso che già dieci anni fa era finito nella tempesta per decine di accuse di abusi sui bambini rivelati da un’inchiesta giornalistica dell’Espresso. Uno scandalo che in Italia è rimasto totalmente impunito. Prima di riesplodere in Argentina. Dove ora i giudici scrivono che i vertici di quell’istituto italo-argentino, invece di perseguire i pedofili, si limitavano a trasferirli in altre sedi. In altre scuole e collegi per minorenni invalidi: sordi e spesso anche muti. Ed è per questo che le violenze su decine di bambini hanno potuto continuare a ripetersi per decenni, «dal 1950 circa fino al 2015 almeno», spesso con gli stessi protagonisti, che dopo l’Italia hanno contagiato l’Argentina.

Il sacerdote ora ricercato dai magistrati di Buenos Aires si chiama Eliseo Pirmati, ha 83 anni ed è il destinatario di un provvedimento che non ha precedenti nella storia giudiziaria: un ordine di carcerazione di un prete italiano, con formale richiesta di estradizione in Argentina, per una serie di accuse-choc di pedofilia, ripetute e pluriaggravate. Con casi di maltrattamenti e violenze sui bambini tanto pesanti da essere paragonati a «torture» e «riduzioni in schiavitù». Una misura-choc che è solo la parte emersa di un abisso senza fondo. Uno scandalo internazionale che ha le sue radici in Italia, a Verona, nella sede centrale dell’istituto Antonio Provolo per l’educazione dei bambini sordi. Dove il prete ora latitante ha trasferito la sua residenza nel dicembre 2017, quando è salito su un aereo di linea e ha lasciato l’Argentina, proprio mentre l’inchiesta si allargava alla sua struttura, dopo i primi arresti di altri sacerdoti.




LE DENUNCE IGNORATE DI VERONA

In Italia lo scandalo si apre il 29 gennaio 2009, quando L’Espresso pubblica le testimonianze, scritte e filmate, dei primi 15 ex allievi del Provolo che confermano di aver subito abusi e violenze da oltre venti sacerdoti, chierici e altri dipendenti dell’istituto. L’articolo, firmato da Paolo Tessadri, precisa che nei mesi precedenti la curia di Verona aveva ricevuto una serie di denunce, rimaste ignorate, da un’associazione delle vittime. Compresa una raccomandata inviata nel 2008 al vescovo Giuseppe Zenti, con le firme di 83 persone che chiedevano di denunciare presunti abusi sofferti a partire dagli anni ’50, fino al 1984. Le vittime all’epoca dei fatti erano tutte minorenni. Bambini e bambine sordi o sordomuti, spesso orfani, ospitati nei centri per minori del Provolo: la sede centrale a Verona, una scuola-collegio in periferia, a Chievo, e un centro estivo in provincia, a San Zeno di Montagna. Una decina di quei sacerdoti risultano ancora in servizio, altri sono morti. Tra i 26 accusati spicca il nome di uno storico vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Carraro, deceduto nel 1980, di cui in quei mesi è in corso la procedura di beatificazione.


Il vescovo Zenti, il giorno stesso, respinge tutte le accuse, attacca L’Espresso e l’associazione degli ex allievi, annuncia querele per diffamazione e calunnia. Il 21 maggio 2009, a riconferma della verità dei fatti, il giornalista Tessadri pubblica la confessione di un ex chierico del Provolo, che ammette di aver abusato per anni di almeno 13 piccoli sordi e chiama in causa tre sacerdoti. L’intervistato aggiunge che i capi dell’istituto sapevano, ma si limitarono a trasferire un solo prete, «il più violento», nei primi anni ’70. A quel punto il vescovo annuncia l’avvio di un’istruttoria ecclesiastica. Che si chiude nel 2011, come mostrano gli atti mai pubblicati finora, con risultati in larghissima parte assolutori: le accuse di pedofilia vengono confermate per un solo sacerdote, su un totale di 26 accusati. Altri due religiosi vengono sottoposti a semplici ammonizioni precauzionali, senza dichiarazioni di colpevolezza. L’istruttoria, gestita formalmente dal Vaticano, esamina però solo i casi di alcune vittime. E resta segreta. Dopo di che nessuno parla più dello scandalo. Che ora riesplode fragorosamente in Argentina.
 

Il vescovo Giuseppe Zenti al Congresso mondiale delle famiglie di Verona


L’istituto Provolo ha due sedi aperte mezzo secolo fa a La Plata e Mendoza. L’indagine argentina parte nel 2015 da quest’ultimo collegio. Nel dicembre 2016 finiscono in carcere i primi accusati di pedofilia: l’ex direttore, il sacerdote veronese Nicola Corradi, 83 anni, ora agli arresti domiciliari per motivi di salute, il suo braccio destro, il prete argentino Horacio Corbacho, tuttora detenuto, e un dipendente laico. Oggi, dopo due anni di indagini, solo a Mendoza si contano 14 indagati, tra cui una suora accusata di complicità nelle violenze, e più di 190 testimoni d’accusa. Don Horacio è accusato di aver abusato perfino bimbi di 5 e 6 anni.

A Mendoza le violenze, secondo le vittime, venivano commesse soprattutto in un edificio separato dalla scuola, chiamato “la casita de Dios”, dove i piccoli senza famiglia restavano a dormire anche nei fine settimana. Da lì l’inchiesta si allarga alla casa-madre argentina del Provolo, seguendo a ritroso le tracce di Don Corradi, che ha fondato il centro di Mendoza dopo aver lavorato per anni a La Plata. Qui i magistrati raccolgono molte altre testimonianze. E due mesi fa ordinano l’arresto di tre accusati: lo stesso don Corradi, questa volta per le violenze commesse fino agli anni ’90 a La Plata, Eliseo Pirmati, il sacerdote rifugiatosi a Verona, e un guardiano del collegio, José Britez, tuttora ai domiciliari come complice.

L’ordinanza d’arresto, finora inedita, contiene testimonianze spaventose. Le vittime di La Plata raccontano di aver subito violenze sessuali dall’età di 8-10 anni fino ai 15-17. Molti particolari sono troppo raccapriccianti per essere riferiti. Come a Mendoza, anche a La Plata i giorni peggiori erano sabato e domenica, quando nel collegio restavano i minorenni più sfortunati: gli orfani e i figli di genitori troppo poveri e lontani. Quei bambini venivano «ridotti in schiavitù», scrivono i magistrati: «A partire dagli otto anni venivano sfruttati per lavori pesanti, pulizie dei bagni, della scuola, della chiesa, lavaggio della biancheria, tinteggiature, manutenzione nei giardini, aratura dei campi». Stremati dalla fatica, di notte venivano violentati da sacerdoti, insegnanti o guardiani che s’infilavano nei loro letti: abusi ripetuti per anni, tanto che le vittime a poco a poco imparavano a «estraniarsi e perdere coscienza». Di giorno, i piccoli erano costretti a «denudarsi e fare la doccia in gruppo» di fronte ad adulti che li molestavano. «Anche il cibo era orribile», testimonia una delle vittime: «I politici in visita ci lasciavano donazioni, ma a noi non arrivava nulla».
 

LE SUORE «TORTURATRICI»

I giudici argentini accusano di maltrattamenti e percosse anche due religiose, di cui si conoscono solo i nomi di battesimo. Un sordomuto descrive così la loro crudeltà: «Alla domenica non avevo voglia di vestirmi di bianco e aiutare il prete a preparare le ostie, allora scappavo. Quando la suora mi prendeva, mi rinchiudeva nei sotterranei delle cucine, mi appendeva con una corda a una trave e mi teneva prigioniero per ore, come uno schiavo». Una violenza che per i magistrati «in nulla si differenzia dalla tortura». L’ordinanza sottolinea che «al Provolo non veniva insegnata la lingua dei segni, per cui i bambini erano impossibilitati a comunicare e denunciare gli abusi».

Negli atti argentini si ripetono gli stessi orribili particolari che erano emersi in Italia già nel 2009 con gli articoli dell’Espresso. A Verona i primi casi documentati risalgono agli anni ’50. A La Plata le denunce partono dagli anni ’70 e coincidono con il trasferimento in Argentina di alcuni sacerdoti italiani sospettati di pedofilia. Tra loro c’è don Corradi, che arriva a La Plata nel 1970: nel 1986 è lui a fondare la struttura di Mendoza, che sotto la sua guida diventa un inferno almeno fino agli anni ’90. Lo stesso sacerdote, ora agli arresti, era uno dei 26 accusati (inutilmente) dalle vittime veronesi: nell’istruttoria ecclesiastica non è stato nemmeno interrogato. L’intera storia ricorda la trama del film “Spotlight”, che ricostruisce l’inchiesta del Boston Globe sul primo scandalo di pedofilia nella Chiesa cattolica americana. Il problema cruciale è la copertura delle gerarchie: se i sacerdoti denunciati vengono soltanto trasferiti, possono ricominciare altrove ad abusare di altri bambini.

L’ordinanza argentina ipotizza che la partenza del prete italiano ora ricercato non fosse casuale. «Don Eliseo sapeva che Don Nicola era stato arrestato», testimonia una delle vittime, che oggi ha 40 anni: «Quindi avevo detto ai magistrati di fare presto... Ora è tardi». Di certo il sacerdote dichiarato latitante, che viveva in Argentina dal 1974, tanto da acquisire la doppia cittadinanza, è tornato a Verona all’improvviso, il 7 dicembre 2017. E ha indicato come nuova residenza la sede centrale del Provolo. Anche don Corradi nel marzo 2017, mentre era già agli arresti, risulta aver riattivato la cittadinanza italiana: per evitare ostacoli processuali, i giudici argentini hanno esteso anche a lui la richiesta di estradizione.

 

I PRELATI ITALIANI E L'ALIBI CONTRAFFATTO

Di fronte agli scandali argentini, l’istruttoria ecclesiastica annunciata dal vescovo di Verona nel 2009 non sembra un capolavoro investigativo. Gli atti documentano che l’inchiesta religiosa fu affidata un ex giudice veronese, un cattolico molto conservatore, che però ha interrogato solo quattro sacerdoti: il magistrato scrive che erano gli unici indicatigli dalle gerarchie ecclesiastiche. Sulle carte c’è il timbro del Vaticano: Congregazione per la dottrina della fede. L’istruttoria si chiude dichiarando colpevole un solo sacerdote, accusato da sei vittime. Lo stesso prete era stato trasferito già due volte in altre sedi del Provolo, nel 1970 e 1976, per «immoralità sessuale». Ma non è mai stato denunciato alla giustizia. Ed è rimasto sacerdote, ritrovandosi così al centro delle nuove denunce dei bimbi abusati.

Il capitolo più delicato dell’istruttoria ecclesiastica riguarda Gianni Bisoli, un ex allievo del Provolo di Verona che aveva denunciato anni di abusi attribuiti a 16 religiosi, tra cui un vescovo, Giuseppe Carraro, morto nel 1980 e poi beatificato. La sentenza religiosa bolla la sua testimonianza, l’unica che accusava quel prelato, come «menzognera», spiegando che la sua inattendibilità sarebbe provata da un documento decisivo: Bisoli si dichiara certo di aver lasciato il Provolo nel giugno 1964, mentre la scheda interna dell’istituto colloca la sua uscita nel 1963. Come dire che l’accusatore ha mentito perfino sugli anni della sua permanenza al Provolo. Ora però si scopre che quella data di un anno prima è stata «falsificata». A riconoscerlo è lo stesso giudice istruttore, Mario Sannite, che solo in questi mesi ha potuto esaminare la vera pagella finale di Bisoli, con la data giusta del giugno 1964. A riconfermare il falso è anche un’indagine della Procura di Verona, che nel 2017 ha archiviato il caso motivando che la contraffazione c’è stata, ma «è stata commessa da autori rimasti ignoti». La manovra contro il testimone d’accusa ha comunque raggiunto due risultati. Don Nicola Corradi, che compariva già nelle denunce di Bisoli, non è stato neppure sfiorato dall’istruttoria ecclesiastica, come altri sacerdoti poi trasferiti e ora inquisiti in Argentina. Mentre la procedura di beatificazione dell’ex vescovo ha potuto chiudersi in gloria: nel 2015 monsignor Carraro è stato dichiarato «venerabile» dalla Congregazione per le cause dei santi.

L’attuale vescovo Zenti, che in questi anni si è esposto come sponsor dei cattolici ultra-integralisti e di alcuni candidati della Lega, invitati perfino a parlare in Duomo, nel 2017 è stato interrogato in gran segreto sul caso Provolo dal procuratore di Verona, Angela Barbaglio. Nella deposizione il vescovo riconosce di aver dovuto patteggiare una condanna per aver diffamato l’associazione dei sordomuti. Mentre ha visto archiviare le sue querele per calunnia, in quanto gli abusi dei preti del Provolo oggi risultano «certi e documentati», anche se ormai coperti dalla prescrizione. Almeno fino al 2013, però, il vescovo Zenti invitava i sacerdoti veronesi al silenzio sui casi di pedofilia, come dimostra un suo discorso (riservato) in difesa di monsignor Carraro: «Ognuno sostiene l’altro nel momento della difficoltà, evitando ogni possibile pettegolezzo. Quando anche uno solo è investito da uno tsunami, tutti dobbiamo soccorrerlo, impegnandoci alla riservatezza». Una linea in vistoso contrasto con l’attuale posizione della Chiesa espressa da papa Francesco, che invita invece a denunciare ogni caso di sospetta pedofilia. E nel 2017 ha commissariato la congregazione del Provolo.