Il Gestore dei servizi energetici è controllato dal ministero dell’Economia. Draghi aveva iniziato a ripulirlo dalle ingerenze della politica. Ma ora Giorgetti lo ha riempito di politici rimasti senza un posto

Non si sbagliavano quelli convinti che il taglio dei parlamentari avrebbe generato anche frutti avvelenati. Il primo a farne le spese, un manager indipendente nominato nel 2021 da Mario Draghi amministratore unico di una importante società pubblica per mettere fine a una situazione imbarazzante venutasi a creare ai suoi vertici a causa delle scelte del primo governo di Giuseppe Conte. Il manager si chiama Andrea Ripa di Meana e la società è il Gse, Gestore dei servizi energetici, gruppo con oltre 1.500 dipendenti controllato dal ministero dell’Economia ora del leghista Giancarlo Giorgetti. Che qualche settimana fa ha improvvisamente deciso di rigonfiarne la frugale governance con un consiglio di amministrazione di cinque persone al posto dell’unico capo azienda voluto da Draghi. Composto, ecco il frutto, per il 40 per cento da politici trombati alle ultime elezioni politiche. Sono l’ex senatore Paolo Arrigoni, ingegnere e responsabile del dipartimento energia della Lega di Matteo Salvini, prontamente collocato alla presidenza, e l’ex senatrice di Forza Italia Roberta Toffanin, socia di minoranza della legatoria di famiglia. Il quadro è completato dalla presidente dell’Azienda provinciale trasporti di Gorizia Caterina Belletti, avvocato, etichettata in quota Fratelli d’Italia, e dall’amministratore delegato Vinicio Mosè Vigilante, potente dirigente interno responsabile delle verifiche. Il che prefigura fra l’altro una scorbutica situazione di controllore controllato.

 

Ma il manager nominato da Draghi, capo di un governo di cui per inciso faceva parte anche Giorgetti, che fine ha fatto? È solo il quinto consigliere. Privato di tutte le deleghe e revocato di fatto senza alcun motivo, per di più con l’umiliazione di dover subire il blitz senza potersi dimettere all’istante per giusta causa. Formalmente, infatti, è tutto a posto grazie a uno statuto che consente all’azionista di variare in qualunque momento il numero degli amministratori. Applicato rapidamente alla bisogna.

 

E pensare che l’ex presidente del consiglio gli aveva affidato l’incarico anche con l’intento di ripulire la società capofila del settore energetico pubblico, che gestisce anche i miliardi di euro di incentivi per le fonti rinnovabili, dalle tradizionali interferenze dei partiti. Prima che arrivasse Ripa di Meana c’era un consiglio di tre amministratori dove volavano gli stracci fra il presidente Francesco Vetrò, sostenuto dalla Lega, e l’amministratore delegato Roberto Moneta, sponsorizzato dal Movimento Cinque Stelle. L’aria era così fetida che avevano deciso di commissariare la società; poi però era scoppiata la pandemia, facendo finire in soffitta la procedura. Ora i partiti tornano, e alla grande. Sarebbe tuttavia puerile scandalizzarsi. Sono decenni che la politica considera le aziende pubbliche come fossero cosa propria di cui disporre a piacimento. Magari per sistemare chi non ha avuto fortuna alle elezioni. E le società energetiche dello Stato, pur presidiando un settore estremamente tecnico, non hanno mai fatto eccezione. Anzi. Lontane dai riflettori, sono la preda perfetta. Da sempre. Pensate che l’attuale presidente del Gse Arrigoni aveva già fatto la propria comparsa nel consiglio di questa società vent’anni orsono, nel 2003: nominato dalla medesima maggioranza di oggi. Una specie di sinecura mentre era sindaco leghista di Calziocorte occupando anche un seggio alla Provincia di Lecco.

 

Qualche anno più tardi, con la medesima maggioranza, è la volta di Silvio Liotta. Ex dirigente della Regione siciliana, eletto nel 1996 con il centrodestra, passa al centrosinistra. Ma due anni dopo contribuisce a far cadere il primo governo di Romano Prodi, e poi ritorna al centrodestra. Ha qualche credito da riscuotere e la riconoscenza a scoppio ritardato lo proietta nel 2009 alla vicepresidenza del Gse. Nonché della sua controllata Acquirente Unico. Dove era già passato l’onorevole leghista Raffaele Volpi, sottosegretario alla Difesa nel primo governo Conte, nominato provvidenzialmente alla vigilia delle fallimentari politiche del 2006; salvo poi dimettersi due anni dopo, una volta eletto alla Camera. E dove Liotta trova come presidente Diego Maria Berruti, fratello di Massimo Maria Berruti, deputato forzista e avvocato della Fininvest. Prima che quella poltrona venga consegnata all’ex radicale ed ex parlamentare di Forza Italia Paolo Vigevano. E in seguito ad Andrea Peruzy, già destinatario di innumerevoli incarichi pubblici, per 15 anni segretario generale della Fondazione Italianieuropei ideata e animata dall’ex premier Massimo D’Alema. A Peruzy succede nell’incarico di presidente e amministratore delegato, per nomina nel 2020 da parte del secondo governo Conte, Filippo Bubbico: presidente della Regione Basilicata, sottosegretario allo Sviluppo e viceministro dell’Interno, candidato senza fortuna nel 2018 con Liberi e Uguali. Contestualmente, Peruzy è dirottato alla presidenza dell’altra società controllata del Gse. È il Gestore del mercato elettrico, la borsa dell’elettricità presieduta al suo battesimo dall’ex deputato Dc Enzo Berlanda, e che ha visto in seguito avvicendarsi alla vicepresidenza l’ex commissario di Forza Italia a Reggio Calabria, Antonino Foti, bocciato l’anno prima alle regionali del 2005, e Gildo De Gianni ex assessore leghista alla Provincia di Sondrio.

 

Niente di nuovo sotto il sole, dunque. E qualcosa dice che con un terzo di seggi parlamentari in meno e una valanga di trombati non abbiamo visto ancora niente.

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