In serie D c’è una squadra di detenuti: così il calcio diventa uno strumento di inclusione

Un calcio ai pregiudizi per un modello di recupero fondato sulla pratica del football. Così la Lega dilettanti è entrata negli istituti di Padova e Lanciano, in Abruzzo

Per la prima volta una realtà sportiva istituzionale entra nei penitenziari italiani con l’obiettivo di prendere per mano i detenuti, supportando percorsi di recupero non certo facili. L’obiettivo è quello di raccontare – da dietro le sbarre di un carcere – il coraggio, le salite e le sfide della vita attraverso il pallone. In questo modo il calcio diventa strumento d’inclusione, in grado di contribuire alla creazione di un percorso di rieducazione. Dove lealtà, solidarietà, rispetto dell’altro e delle regole possono essere vera e propria occasione di recupero. L’iniziativa parte dalla Lega nazionale dilettanti, che rappresenta la base del calcio in Italia. Quel modello di sport che è lontano dai grandi stadi ma ben presente sui fangosi campetti di periferia di tutto il Paese, a supporto dell’attività di oltre undicimila società.

 

Il filo portante del percorso è un cortometraggio, che ha come tema il calcio nelle carceri. Ideato dall’Area responsabilità sociale della stessa Lega, il corto - intitolato “Calcio, detenzione e rieducazione” – sviluppa un progetto nel segno dell’inclusione, della lotta agli stereotipi ed alle discriminazioni di genere.

 

Nelle case circondariali di Padova e Lanciano – in provincia di Chieti – la pratica sportiva ha già iniziato a trasmettere positivi modelli relazionali di sostegno a un percorso di reinserimento presente e ben concreto. Il successo di una partita si raggiunge con la cooperazione e l’abbattimento di ogni barriera, da quella linguistica a quella gerarchica. Nelle immagini, nei gesti, nel calcio al pallone, nell’esultanza per un gol, si delinea dunque un viaggio che raccoglie storie di vita e testimonianze di penitenziari dove sono nate due realtà sportive reali: la Polisportiva Pallalpiede di calcio a undici e la Libertas Stanazzo di calcio a cinque.

 

I protagonisti del corto si raccontano attraverso i successi calcistici, spiegati con passione durante i colloqui con i figli in visita, o attraverso gli allenamenti e il senso di squadra. Per molti detenuti respirare l’aria di competizione equivale a riappropriarsi di un sentimento di libertà, impegnandosi così in un nuovo cammino di vita. «Si tratta di progetti che testimoniano come sia importante curare e promuovere l’aspetto sociale che fa parte dello sport e del calcio – dice Giancarlo Abete, presidente della Lega nazionale dilettanti – Ma si può fare di più. In questi anni abbiamo aperto il mondo del calcio dilettantistico a una serie di esperienze che ancora oggi ci arricchiscono e ci completano. Il calcio dilettantistico nel nostro Paese non è solo sport, ma rappresenta il collante di un tessuto sociale che unisce comunità, promuove valori e rappresenta opportunità di crescita per centinaia di migliaia di giovani».

 

Il progetto “Mettiamoci in gioco” è il primo in Italia a coinvolgere i detenuti di un penitenziario – quello di Lanciano – nel campionato di calcio a cinque di serie D, con una loro squadra, la Libertas Stanazzo. Ogni sabato le porte del carcere di Lanciano si aprono per ospitare il match di campionato. Un percorso iniziato con l’attuale vicepresidente della Federazione italiana giuoco calcio, Daniele Ortolano, che ne ricorda gli inizi: «Abbiamo parlato con le società, chiedendo d’intraprendere questo percorso con noi. Per loro significava andare in carcere a giocare, ma nessuno si è mai tirato indietro. Oggi la nostra Federazione ha tanti progetti e sono felice che sia una vera e propria culla di diffusione di valori, di rispetto e di regole».

 

Il taglio del nastro del nuovo campo in erba sintetica della casa circondariale, donato dalla Lnd e dal Comitato regionale Abruzzo, ha rappresentato una sorta di tempo supplementare all’insegna della solidarietà e dell’inclusione. Il progetto complessivo fa parte di un percorso denominato “Sopra la barriera”, che ha visto – tra le altre iniziative – anche la nascita di un cortometraggio con storie di calciatrici. Rappresentando in questo modo quella luce che oltrepassa le sbarre di una cella. «Il calcio ha la straordinaria possibilità di svolgere ruoli diversi in un solo momento – spiega Luca De Simoni, coordinatore dell’area responsabilità sociale della Lega nazionale dilettanti – perché aiuta il benessere psico-fisico, ha una funzione sociale, aiuta l’inclusione e riesce perfino a far sentire liberi i ragazzi che lo praticano in un contesto di detenzione».

 

«Se pensiamo che questo campo, all’inizio, era fatto di terra e le linee venivano tracciate col gesso, ci rendiamo conto di quanta strada abbiamo fatto e di quanto importante sia diventato questo nostro progetto», ricorda il presidente Lnd Abruzzo Concezio Memmo, ricordando la prima partita giocata in carcere. «Con tutti i ragazzi affacciati alle finestre a tifare per i loro compagni scesi in campo. Una grande emozione che contribuisce settimanalmente alla socialità e al reinserimento attraverso il calcio». Una strada tracciata da pallone e linee del campo, in grado di favorire l’inclusione. «Lo sport si dimostra giorno dopo giorno, strumento per diffondere i valori del rispetto di quelle regole che i nostri ragazzi, in un momento particolare della loro vita, non hanno seguito – conclude la direttrice del penitenziario lancianese, Daniela Moi – Onore e merito a quanti hanno creato le condizioni per fare arrivare dentro le mura di questa struttura un modello sano e positivo. Utile ai detenuti, ma non soltanto, per capire che questa è l’unica strada sicura da seguire».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso