Nei prossimi mesi si dovranno scegliere i nuovi vertici a Roma, Napoli, Genova e Catania. Uffici dove si lavora su casi scottanti, dalla P4 alla mafia. E la guerra di potere è già in corso

Sono poltrone in grado di condizionare la storia d'Italia, soprattutto in tempi di crisi profonda. Nelle equazioni del potere, quella di procuratore di Roma vale quanto un ministero. Ma sono scaduti o stanno per finire il loro mandato, anche i vertici dei pm di Napoli, che hanno in mano le indagini più scottanti del momento; di Catania, con le istruttorie aperte sul governatore Lombardo, su altri politici e sulla nuova mafia imprenditrice; di Genova, con inchieste sugli interessi convergenti di 'ndrangheta e politica. Quanto basta per scatenare un effetto domino tra le più importanti sedi giudiziarie, che nei prossimi mesi ridisegnerà gli equilibri della magistratura italiana. E non solo quelli, perché gli interessi in gioco sono enormi e stanno già alimentando una partita sotterranea di veleni, denunce, scontri ed alleanze che va ben oltre le correnti del Csm, l'organo di autogoverno della magistratura che dovrà indicare le nuove nomine.

L'epicentro del terremoto è Roma. Giovanni Ferrara andrà in pensione a marzo e nei prossimi giorni potrebbe essere avviata la procedura per la sua sostituzione in modo da non lasciare vacante una sede tanto delicata. Oggi la tradizione di "Porto delle Nebbie" è stata squarciata da alcune istruttorie che puntano agli snodi del sistema politica-affari: quella sulla P3, quella su Finmeccanica e quella sui finanziamenti a società in area Pd. Si era vociferato sulla discesa in campo di Pietro Grasso, un nome che avrebbe ottenuto il gradimento di molti ambienti istituzionali, ma il numero uno della procura antimafia non intende lasciare l'attuale incarico prima della scadenza naturale che sarà a ottobre 2013. Dal fronte della lotta alle cosche potrebbe arrivare un'altra candidatura, quella di Giuseppe Pignatone che a Reggio Calabria negli ultimi tre anni ha rivoluzionato l'attività contro la 'ndrangheta e le sue infiltrazioni in tutta la Penisola: il suo curriculum di prestigio potrebbe garantirgli larghi consensi fra i consiglieri del Csm.

Pignatone non si è limitato a colpire le cosche ma ha affondato le mani nella zona grigia indagando professionisti, investigatori, politici e magistrati. Tutti legati da un filo, quella della collusione. Questo ha spinto i clan ad armarsi con tanto di missili per eliminare il procuratore scomodo, innescando nello stesso tempo un clima di veleni spesso più letale dei razzi (vedi box). Per questo Pignatone non fa mistero di volere lasciare la Calabria: ha presentato domanda per il vertice di Napoli, ma potrebbe cambiare indirizzo quando sarà bandito il concorso per Roma.

IL CASO ROMA.
Nella capitale il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo potrebbe essere messo fuori gioco dal Consiglio superiore della magistratura che ha aperto nei suoi confronti una pratica per incompatibilità. La vicenda è legata al pranzo nell'abitazione dell'avvocato romano Luigi Fischetti in cui erano presenti oltre al pm, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il suo consigliere politico Marco Milanese, il deputato del Pdl. L'episodio è emerso dalle intercettazioni dei pm napoletani sulla cosidetta P4 e sarebbe avvenuto proprio mentre la cerchia di Milanese cercava di cavalcare le indagini di Capaldo per imporre nuovi manager al vertice di Finmeccanica. E la vicenda è diventata uno dei fronti di conflitto - di competenza formale e di polemica diretta - tra magistrati romani e partenopei. L'apertura della pratica su Capaldo è stata sollecitata dai consiglieri togati che fanno capo ad Area, il cartello delle correnti di sinistra Magistratura democratica e Movimento per la giustizia. Secondo Capaldo da oltre un anno ci sarebbero stati tentativi diretti a delegittimarlo e a impedirgli di portare avanti inchieste molto scomode come quella di Finmeccanica e poi sulla P3, l'organizzazione segreta che coinvolge Marcello dell'Utri, Flavio Carboni e Denis Verdini: "Non voglio credere alle voci di corridoio le quali sostengono che quanto sta accadendo ruota intorno alla poltrona del futuro procuratore della Repubblica di Roma". Oltre Capaldo, che non fa mistero di voler concorrere per il posto di Ferrara, ci potrebbero essere altri suoi colleghi dell'ufficio, fra i quali il procuratore aggiunto Nello Rossi, esponente di punta della corrente di Magistratura democratica. La tradizione infatti vuole che la successione avvenga all'interno dell'ufficio e non con capi "importati" da altre sedi.

IL REGISTA DEL VULCANO.
Anche Napoli è alla ricerca di un nuovo procuratore: Giandomenico Lepore andrà in pensione l'11 dicembre. E gli uffici dei pm partenopei in questi mesi sembrano un vulcano, che continua a eruttare provvedimenti clamorosi e nuvole cariche di sospetti. Dalla rete di Luigi Bisignani all'arresto di Alfonso Papa, da Nicola Cosentino a Marco Milanese. E altre indagini di questo livello sono in cantiere. Una situazione che richiede una regia forte e dovrebbe imporre scelte rapidissime. Le candidature sono ben 16. Escludendo Pignatone, che punta su Roma, la partita è aperta: ci sono Paolo Mancuso, procuratore a Nola (esponente di Magistratura democratica), Corrado Lembo, procuratore a Santa Maria Capua Vetere (Magistratura indipendente), Giovanni Colangelo, procuratore a Potenza (Unicost) e Armando D'Alterio, procuratore a Campobasso. In lista anche un outsider come il pm torinese Raffaele Guariniello e gli attuali vice di Lepore.

Un magistrato che fino ad un anno fa si diceva che fosse in pole position per la procura di Roma o Napoli era Arcibaldo Miller, il capo degli ispettori del ministero della Giustizia che dopo esser stato sfiorato dall'inchiesta sulla P3, deve abbandonare il suo sogno. Il Csm aveva aperto un fascicolo per un trasferimento d'ufficio, ma l'incarico al ministero impedisce al Consiglio di intervenire. Adesso il vice presidente Vietti dovrà decidere se inviare le carte al procuratore generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati.

Sarà una coincidenza ma a Napoli i posti di vertice degli uffici giudiziari (presidente del tribunale, presidente della corte d'appello e procuratore generale) sono stati occupati da esponenti che fanno parte di Unicost, il movimento "di centro" nel parlamento delle toghe. Perché a parte le caratteristiche e le capacità professionali, ciò che condiziona le scelte del Csm sono le correnti: accade raramente che in posti direttivi che riguardano particolari uffici, vengano designati dalla commissione magistrati capaci e che non abbiano alcun legame con i "partitini" dei magistrati.

GENOVA VACANTE. Nelle nomine importanti questo Csm sembra privilegiare i candidati moderati, per via del peso dei cinque membri "laici" (avvocati e professori designati dal Parlamento) scelti del Pdl (più uno dell'Udc) che in molti casi fanno da ago della bilancia. Nel Consiglio quindi i "partitini" dei magistrati devono fronteggiare le istanze dei partiti veri in uno schema di equilibri e interessi che non sempre privilegia il merito dei candidati. Ogni nomina al vertice nasce dalla mediazione di queste istanze, con tempi dilatati che superano la media del precedente Consiglio guidato da Nicola Mancino. Oggi questa lentezza si nota in diversi uffici, come a Genova, dove il posto di procuratore è vacante dallo scorso novembre. Mentre in tutta la regione cresce l'allarme per le infiltrazioni delle cosche e altre procure sono intervenute compiendo retate clamorose, la procura del capoluogo - da cui dipende anche l'azione antimafia in tutta la Liguria - resta senza guida. Solo alla vigilia delle ferie, dopo oltre otto mesi, la commissione del Csm che indica gli incarichi direttivi ha selezionato tre nomi: Fausto Cardella, procuratore a Terni, con una grande esperienza sulla mafia siciliana maturata conducendo le indagini nissene sulle stragi Falcone e Borsellino; Michele Di Lecce, procuratore di Alessandria e Francesco Dettori, procuratore di Busto Arsizio. Quest'ultimo concorre anche per il posto di procuratore generale a Genova che dalla vigilia di Ferragosto è vacante. In corsa c'è anche Vito Monetti, sostituto procuratore generale in Cassazione.

GLI INTRECCI DI CATANIA.
Come tutte le cose siciliane che possono apparire semplici, in realtà poi non lo sono. E così a Catania dallo scorso febbraio i pm sono senza capo mentre le indagini per mafia coinvolgono il presidente della Regione, Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, deputato del Mpa. Il clima in città è molto teso: alcune associazioni civiche hanno chiesto al Csm di nominare un procuratore estraneo all'ambiente: un magistrato che venga da un'altro distretto o da un'altra regione, senza precedenti incarichi nelle controverse vicende della giustizia etnea. Dopo mesi di attese e intrecci sotterranei fra le correnti del Csm, la quinta commissione ha proposto tre nomi che devono essere vagliati dal plenum: Gianni Tinebra, procuratore generale a Catania, ex direttore del Dap, molto vicino a Silvio Berlusconi e appartenente all'area di Magistratura indipendente; Giuseppe Gennaro, pm titolare dell'inchiesta sul governatore siciliano e leader di Unicost. Entrambi sono addentro al "sistema catanese". Il terzo nome è lo "straniero" Giovanni Salvi, sostituto procuratore generale a Roma, sostenuto da Magistratura Democratica, che nella sua lunga carriera dedicata in gran parte alla lotta al terrorismo, ha incrociato pure alcune inchieste sulla mafia.

La politica non è rimasta a guardare e si è lanciata nella vicenda con interrogazioni parlamentari contro Tinebra e Gennaro. Il primo accusato di aver presentato un certificato medico ai giudici che stanno processando il prefetto Mario Mori in modo da evitare di testimoniare perché le sue condizioni di salute non lo consentivano. Il secondo per i rapporti che avrebbe avuto con un mafioso: Gennaro compare in una foto accanto ad un affiliato alla cosca dei Laudani. Su questo caso il Csm ha archiviato il fascicolo che era stato aperto contro il pm perché non ci sono elementi per "ipotizzare il venir meno delle condizioni di indipendenza e imparzialità richieste per l'esercizio delle funzioni nell'ufficio attualmente ricoperto". Gennaro, ascoltato dal Consiglio lo scorso aprile, ha sostenuto di non aver mai conosciuto il mafioso, "fotografato casualmente vicino a lui". Ma non ha convinto del tutto i consiglieri, visto che nella delibera passata all'unanimità si sottolinea che la fotografia "converge" con quanto sostenuto dal gip di Messina che aveva archiviato la vicenda. Il giudice definiva "verosimile" un rapporto di conoscenza "di per sé neutro" tra il mafioso e Gennaro, da quest'ultimo sempre negato.

Superprocura dimenticata. Il record dei ritardi per l'assegnazione di quattro magistrati lo subisce da 19 mesi la procura nazionale antimafia diretta da Pietro Grasso. Il Csm ha bandito quattro posti a gennaio dello scorso anno e in 60 hanno presentato domanda. Poco prima della pausa estiva ci sono state quattro proposte: una per ogni corrente del Csm. C'è Francesco Curcio, il pm di Napoli che assieme a Henry John Woodcock è titolare dell'inchiesta sulla P4: la sua nomina gli imporrebbe di lasciare il caso più delicato del momento. Poi, tra gli altri figurano, Elisabetta Pugliese, pm a Bari, Antonio D'Amato che è tornato in ruolo da pochi mesi dopo aver trascorso anni al ministero della Giustizia e Filippo Spiezia, assistente del membro nazionale italiano dell'organismo europeo Eurojust. Quasi due anni di ritardo, come se la lotta alla mafia non fosse più una priorità.

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