Stragi di mafia, perquisizioni a Roma e in Sicilia dopo le dichiarazioni del boss Graviano su Berlusconi

Gli investigatori della Dia al lavoro sui nomi di chi avrebbe favorito e coperto le azioni del boss di Brancaccio accusato delle stragi di Falcone e Borsellino e delle bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze. Nei mesi scorsi Graviano ha parlato a lungo con i pm anche del leader di Forza Italia

Per riscontrare le affermazioni rese dal boss Giuseppe Graviano ai magistrati di Firenze, fatte nei mesi scorsi in tre lunghi interrogatori in carcere, vengono effettuate da stamani decine di perquisizioni fra la Sicilia e Roma. Si tratta di verificare una rete di soggetti, di cui ha parlato Graviano ai pm, che avrebbe favorito e coperto le azioni del boss di Brancaccio accusato delle stragi di Falcone e Borsellino, ma soprattutto delle bombe del 1993 a Roma, Milano e Firenze, di cui si sta occupando la procura antimafia del capoluogo toscano.

Gli investigatori della Dia di Firenze stanno eseguendo i controlli su disposizione dei magistrati della direzione distrettuale antimafia di Firenze. I provvedimenti di perquisizione sono firmati dai procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco.

I soggetti perquisiti sono stati indicati da Graviano come personaggi ai quali il boss ha fatto riferimento prima del suo arresto. Non ci sono, dunque, solo personaggi inseriti in Cosa nostra, ma anche alcuni che sarebbero sospettati di aver favorito la mafia e quindi, i boss stragisti di Brancaccio.

In passato, come ha scritto L’Espresso, Giuseppe Graviano ha risposto alle domande dei pm di Firenze, ed ha parlato di Silvio Berlusconi.

Un’inchiesta era stata aperta dopo queste affermazioni. L’indagine partiva dalle dichiarazioni fatte davanti ai giudici della corte d’Assise di Reggio Calabria dal boss Giuseppe Graviano, già condannato a diversi ergastoli per aver ordinato, tra gli altri, gli omicidi del beato Pino Puglisi, del piccolo Giuseppe Di Matteo, di altre vittime innocenti, donne e bambini, e le stragi di Firenze, Roma e Milano del 1993, quando decise che Cosa nostra doveva attaccare lo Stato.

Il capomafia ha aggiunto che nel periodo in cui era latitante, avrebbe incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi. E il boss ha sostenuto che l’ex Cavaliere, prima di iniziare la sua attività politica, gli avrebbe chiesto di essere aiutato in Sicilia. Secondo Graviano, però, molte delle attese che Cosa nostra aveva riposto in Berlusconi vennero meno: il “ribaltamento” del regime carcerario del 41bis non ci fu e neppure l’abolizione dell’ergastolo. «Per questo ho definito Berlusconi traditore», ha spiegato Graviano rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, aggiungendo di essere stato latitante dal 1984 e che questa sua situazione non gli ha impedito di incontrare Berlusconi, «che sapeva della mia condizione».

Giuseppe Graviano


«Mio nonno», un facoltoso commerciante di frutta e verdura, ha detto Graviano «era in contatto con Berlusconi» e fu incaricato da Cosa nostra di agganciare l’ex presidente della Fininvest per investire somme di denaro al Nord. Missione riuscita, a detta del boss, sostenendo che «sono stati investiti nel settore immobiliare una cifra di circa venti miliardi di lire». Graviano dice che suo nonno è stato di fatto socio di Berlusconi: «I loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino Salvo».

La procura di Firenze che indaga su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nell’ambito delle stragi del 1993, adesso scava pure sui patrimoni iniziali dell’ex Cavaliere e sul suo entourage politico. In passato sui soldi di provenienza della mafia avevano indagato anche i pm di Palermo nell’ambito del processo in cui Dell’Utri è stato condannato per concorso in associazione mafiosa. Le dichiarazioni dell’ergastolano sembrano più una minaccia all’ex premier, un modo per tentare di incassare soldi e libertà.

A novembre dello scorso anno, sulla base di queste esternazioni, i procuratori di Firenze sono andati nel carcere di Terni e hanno interrogato Giuseppe Graviano, che ha accettato di incontrare i magistrati rispondendo pure alle loro domande, assistito dal suo difensore di fiducia. Un lungo interrogatorio che i pm toscani hanno secretato. I riscontri alle sue affermazioni sono già stati avviati. Dopo questo primo interrogatorio ne sono seguiti altri due in cui il boss ha reso un fiume di dichiarazioni.

Nonostante le condanne all’ergastolo per delitti di mafia a cui Giuseppe Graviano e suo fratello Filippo sono stati definitivamente condannati, dalle loro mosse si intuisce che vogliono lasciare il carcere sfruttando tutti i mezzi possibili per tornare liberi. C’è il tentativo di smontare le accuse dei collaboratori di giustizia per poi chiedere di avviare una revisione dei processi e allo stesso tempo provare ad uscire dal circuito del 41bis, il carcere impermeabile, per transitare nel regime ordinario da cui è più facile ottenere la possibilità di essere scarcerati.

Per questo motivo Giuseppe Graviano da diversi mesi ha coinvolto tutti i componenti della sua famiglia nel raccogliere dati e documenti e far scrivere un libro sulle sue vicende giudiziarie, raccontandole secondo la sua visione e il suo interesse, mettendo in discussione - secondo lui - le vecchie sentenze di condanna.

Emerge il profilo di un uomo presuntuoso, ostinato ma anche di un abile oratore, attento osservatore e opportunista, un personaggio che vuole essere carismatico e al centro dell’attenzione, non a caso è un capo importante fra i corleonesi di Cosa nostra, con solidi agganci con il latitante Matteo Messina Denaro. Il fatto che abbia scelto di parlare in aula di Berlusconi è frutto di un calcolo che ha valutato con accortezza per lo sviluppo della sua strategia.

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