Meloni e i suoi ignorano le altre istanze e attaccano chi dissente. Ma bisogna resistere a un’idea di società fondata solo sulla paura

"La terza spedizione” è un racconto di Ray Bradbury, in cui i primi viaggiatori dello spazio che scendono su Marte scoprono la Città Verde, Illinois, dove vivono tutti i loro amati amici e parenti che credevano morti. Solo che gli amici e i parenti sono in realtà alieni assai seccati dall’intrusione, e di notte mentre gli astronauti pensano di dormire nei letti dei loro cari estinti in un luogo che non può non essere il paradiso vengono sterminati. È una bella parabola che potrebbe essere utile al nostro governo in carica per capire come funzionano le cose sulla Terra, oltre che su Marte. Dovrebbe servire, per esempio, al ministro della Giustizia Carlo Nordio quando imputa i femminicidi alle etnie «che magari non hanno la nostra sensibilità verso le donne» (e qui basterebbe che il ministro leggesse i dati, ma non chiediamo troppo). 

 

Dovrebbe servire soprattutto al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che si bea sui social e sui giornali del colpo di mano che ha visto la trasformazione del ddl Sicurezza in decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri. Motivo addotto dalla presidente Meloni: «Non potevamo più aspettare», perché «era prioritario dare risposte ai nostri cittadini». Ora, sarebbe bello conoscere questi cittadini che chiedono sicurezza invece di chiedere la certezza della cura nella Sanità pubblica o l’abbassamento del costo della vita o un lavoro: ma se Meloni e i suoi sostengono che esistono e che sono così tanti e così infervorati, facciamo finta che abbia ragione il governo e torto Ray Bradbury quando ci mostrava come sia falsa e fragile la sicurezza che diciamo di desiderare sopra ogni altra cosa. 

 

Ma per capire il clima basta un episodio: pochi giorni prima dell’approvazione del decreto, gli studenti dell’Università di Salerno hanno subito una sorta di Daspo solo per aver esposto uno striscione con su scritto “Donzelli non sei il benvenuto”. Donzelli è Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia, nonché amabile conversatore (davanti ai cronisti, qualche giorno fa, ha dato pubblicamente del «pezzo di merda» al giornalista Giacomo Salvini). Ha partecipato a un dibattito sull’autonomia differenziata all’Università di Salerno ma prima ha voluto, dicono gli studenti, «partecipare anche a una vera e propria passerella all’Università dalle prime ore della mattinata». 

 

Dopo lo striscione, peraltro esposto in un luogo diverso, gli studenti sono stati esclusi dalla polizia alla partecipazione al dibattito. Nessun docente, dicono, è stato avvertito. Dunque, si prova a resistere dove e come si può. Per esempio, leggendo la cosa preziosa di oggi, “Il calcio del figlio” di Wu Ming 4 (Alegre), che non è solo un memoir sull’esperienza di un padre alle prese con il mondo del calcio dilettantistico giovanile, ma un ritratto del nostro Paese: nel male, certo, quando competitività e a volte razzismo affiorano fra i genitori dei ragazzini. Ma anche nel bene, perché, scrive Wu Ming 4, «gli sport di squadra sono così belli perché sono un’attività politica, perché rappresentano la risposta pratica al più grosso problema filosofico della storia moderna: la dialettica tra libertà e comunità. Ergo potrebbero essere qualcosa di importante nella formazione della persona». Adulti inclusi. Perché ogni comunità può far germogliare forme di resistenza a un’idea di società cui si chiede di vivere nella paura e a cui si risponde dandole più sicurezza, almeno in apparenza.

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