Dazi, l'allarme dell'Ufficio parlamentare di bilancio: "Si rischiano 68 mila occupati in meno". Per l'Istat impatto sul Pil dello 0,2%

In corso le audizioni sul Dfp (ex Def). Corte dei conti: "Nel documento indicazioni limitate, difficile valutare. Le spese per la difesa potrebbe ritardare l’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivi".

Quest’anno la discussione sul Documento di finanza pubblica (Dfp) ha un convitato di pietra: i dazi. Sono iniziate davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato le audizioni sul contenuto di quello che fino allo scorso anno veniva chiamato Documento di economia e finanza, approvato dal Consiglio dei ministri il 9 aprile e che entro fine mese, dopo l’esame del Parlamento, dovrà essere inviato alla Commissione europea. Nel definire gli obiettivi di politica economica e di finanza pubblica per i prossimi anni, e nel dare un’indicazione tendenziale dei margini di manovra per la prossima legge di bilancio, un forte impatto (per ora solo stimato) ce l’hanno le barriere commerciali annunciate (e sospese per 90 giorni) da Donald Trump. C’è un numero, fornito dalle simulazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che dà bene la misura dell’effetto che le nuove misure avranno sul tessuto economico italiano: “In termini di occupazione – ha spiegato la presidente dell’Upb Lilia Cavallari – l’effetto è quantificabile in circa 68 mila occupati totali in meno”. I dazi statunitensi, ha continuato, “impatteranno, tenendo conto anche degli effetti indotti, su quasi tutti i settori dell’economia italiana, con una perdita a livello aggregato di valore aggiunto nell’ordine di tre decimi di punto percentuale. A risentirne maggiormente sarebbero i settori farmaceutico, attività estrattive, automotive, prodotti chimici, attività metallurgiche e fabbricazione di macchinari, tutti mediamente più esposti verso gli Stati Uniti come mercato di sbocco o con dazi più elevati. Ne risentirebbero però anche le imprese di servizi professionali, quali quelli della pubblicità, della progettazione immobiliare e della gestione del personale”.

Dazi e incertezza: impatto sul Pil del 0,2%

L’allarme per l’aumento di “incertezza e rischi” è stato lanciato anche da Istat e Corte dei conti. “Nelle ultime settimane, l'introduzione da parte della amministrazione statunitense di nuove misure protezionistiche di politica commerciale, applicate e poi ridotte per un periodo di circa tre mesi, ha aumentato notevolmente l'incertezza riguardo l'evoluzione del quadro macroeconomico, già provato dalle tensioni geo-politiche, e aggravato i rischi di una forte flessione degli scambi internazionali”, ha affermato in audizione Stefano Menghinello, direttore del Dipartimento per le statistiche economiche, ambientali e conti nazionali dell'Istat “L'aumento dei costi commerciali potrebbe inoltre ripercuotersi sui prezzi dei beni finali tramite le catene di fornitura internazionali, esercitando nuove pressioni al rialzo sull'inflazione in molti paesi e ritardando il processo di normalizzazione della politica monetaria”. Quella dell’Istat è inevitabilmente una “valutazione parziale” ma, stimando che il commercio mondiale si riduca di cerco mezzo punto percentuale in quest’anno e di un punto per il primo, “sotto queste ipotesi – per Menghinello – la crescita del Pil italiano sarebbe più contenuta per due decimi di punto nel 2025 e tre decimi nel 2026”.

“Nel Dfp indicazioni limitate, difficile valutare”

L’endemica incertezza che contraddistingue questo periodo storico complica inevitabilmente l’elaborazione di “stime non solo nel lungo, ma anche nel breve” periodo, come ha sottolineato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di fronte alle commissioni Bilancio. Era stata la Corte dei conti a lamentare le “indicazioni limitate” contenute nel documento programmatico del governo. Per una disamina del quadro offerto dal Dfp, hanno spiegato in audizione i magistrati contabili, “manca non solo lo sviluppo programmatico (inciso dalla difficoltà di definire al momento una ricostruzione puntuale delle necessità in gioco), ma anche (e soprattutto) un dettaglio informativo determinante su diversi capitoli della politica finanziaria di breve e medio periodo: sono limitate le indicazioni sulla composizione della spesa per settori, non vi sono elementi e indicazioni adeguate sulle modifiche su cui si sta lavorando per il ridisegno del Pnrr, mancano indicazioni sulle scelte che ci si propone di assumere sul fronte della spesa per il settore della difesa. Elementi che rendono difficile valutare la tenuta del quadro complessivo e la sua coerenza con quelle che sono le priorità dell'azione di governo”.

 

Sulla stessa linea anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, secondo cui “le informazioni in merito ai fattori sottostanti la previsione tendenziale di finanza pubblica non sono comprese. Gli elementi che determinano il quadro previsto del conto economico delle amministrazioni pubbliche – ha spiegato la presidente dell’Upb – sono discussi solo a livello aggregato, senza fornire dettagli importanti per una valutazione approfondita delle dinamiche previste”. Andrea Brandolini di Bankitalia ha ricordato come “l’obiettivo ultimo” rimanga “la riduzione del debito. In caso di ulteriori rallentamenti della crescita o aumenti dei tassi di interesse, è possibile che l’incidenza del debito nel medio periodo risulti superiore a quanto prefigurato, anche nel caso di un pieno rispetto della traiettoria di spesa netta”.

Spese per la difesa e Pnrr

Dalle audizioni emerge anche altro. Innanzitutto una notizia: “Con riferimento alle spese per la difesa (…) già da quest’anno saremo in grado di raggiungere l’obiettivo del 2 per cento del Pil assunto nel 2014”, ha sottolineato Giorgetti. Ma le spese militari, sottolineano le istituzioni economiche di fronte alle commissioni Bilancio, avranno anche un impatto sul nostro debito pubblico. Per l’Upb, “l’attivazione della clausola di salvaguardia concessa all’Ue per il rafforzamento del settore della difesa potrebbe determinare un ritardo nell’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivi”, avviata nei confronti del nostro Paese dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, dopo lo stand-by deciso durante e dopo il Covid. Ma d’altro canto, sottolinea sempre l’Upb, l’incremento della spesa militare “potrebbe rafforzare i tassi di crescita in misura crescente, fino a raggiungere 0,2-0,3 punti percentuali nei prossimi anni”.

 

C’è poi tutto un capitolo legato al Pnrr, in scadenza il prossimo anno. Per Bankitalia il Dfp ne sovrastima ottimisticamente le spese rispetto all’utilizzo: il documento, evidenzia Brandolini, “prevede spese nell’ordine di 40 miliardi nel 2025 e di 80 nell’anno successivo. Si tratta d importi molto elevati se raffrontati all’utilizzo delle risorse registrato finora”. Per l’Upb il rischio di differire ulteriormente la spesa oltre il 2026, come sembrerebbe intenzionato fare il governo, potrebbe costare tre punti percentuali di Pil per il prossimo anno e un balzo di otto decimi nel 2027.

 

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