Il bellissimo colloquio con Borgna, autore che la maggior parte degli psichiatri italiani certamente stima, può suscitare qualche confusione e malinteso, se non si completa con alcune considerazioni. Ho letto l'articolo di cui condivido la sensibilità e l'impronta. Sono utili tuttavia alcune precisazioni. Il problema della diagnosi va affrontato con metodo scientifico e dati alla mano. La scienza psichiatrica come altre della medicina, così come la psicologia clinica, hanno necessità anche di diagnosi per confrontare la sofferenza tra paesi e regioni, programmare l'organizzazione sanitaria, studiare i fattori di rischio e impostare interventi di prevenzione, prevedere decorsi futuri, studiare gli effetti di psicoterapie, farmaci psicotropi, riabilitazione ed altri interventi. Chi volesse approfondire quanto accenna il prof. Clerici nel riquadro de L'Espresso - troverà nel sito e nelle pubblicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità molti dati su cui riflettere circa l'incremento della sofferenza mentale nel mondo, non solo in Occidente negli ultimi 50 anni. Questi dati sono stati resi possibili dall'uso di criteri diagnostici.
Sono il primo a riconoscere una dimensione profonda e quasi romantica della psichiatria, dell'importanza del rapporto e del sentire nella relazione tra sanitario e paziente. Proprio questi giorni è uscita su questo tema una nostra ricerca sulla rivista Psychopathology. Ma sono anche il primo a sottolineare che occorre avere senso pratico per aiutare le persone: la psichiatria e la psicologia clinica e le loro cure non vivono più solo nel fascino dello studio privato dei singoli pazienti di Freud, ma sono calate nel centro e nelle periferie delle nostre città, nelle campagne, e uno dei problemi principali è dare accesso alle cure, aiutare chi soffre e riconoscere la sofferenza nascosta. I cittadini, le associazioni di pazienti e familiari chiedono il riscontro di una diagnosi per avere un riconoscimento di stati di sofferenza, poter accedere a cure e programmi sanitari, avere rimborsi assicurativi, avere riconosciuta un'infermità per il lavoro o la pensione, stabilire la capacità di disporre una volontà o decidere nella procedura di consenso informato o in ambito forense. Senza un linguaggio comune - i sistemi diagnostici condivisi, per quanto criticabili e limitati - tra psichiatri, psicologi, medici, infermieri, organizzatori della salute mentale e dei servizi di assistenza sanitaria, come nei nostri dipartimenti di salute mentale, questo è impossibile.
Le stesse critiche che alcuni fanno al DSM-5, manuale messo a punto dall'American Psychiatric Association possono essere fatte anche alla Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD)dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dato che i due sono per gran parte sovrapponibili e hanno addirittura commissioni che ne stabiliscono comune codifica. I dati della ricerca epidemiologica mondiale degli ultimi 30 anni - migliaia di ricerche in tutti i paesi del mondo - hanno usato criteri diagnostici di DSM e ICD. Tutte le diagnosi "criticate" nell'intervista sono già anche nell'ICD-10 dell'OMS, così com' erano nel precedente DSM-IV. Questi sistemi diagnostici hanno tentato di mettere fine al caos interpretativo che c'era fino a pochi decenni fa nella psichiatria e nella psicologia clinica, con una persona che riceveva diagnosi diverse e opposte a seconda della teoria seguita dal clinico o tra paesi diversi.
Il DSM5 come l'ICD-10 sono liste di sintomi per uso statistico ed epidemiologico. Non sostituiscono la visita, il colloquio, il rapporto. È sbagliato come è descritto nell'articolo l'impiego del DSM5: la diagnosi non si fa guardando le liste di sintomi. È la prima cosa che insegniamo nei corsi di laurea. Il DSM-5 come l’ICD-10 vanno usati da persone che hanno studiato per usarlo: prima si fa la diagnosi, con un lungo colloquio, ascoltando la storia, entrando in rapporto con la persona, poi si formula una diagnosi e la si valida vedendo se corrisponde ai criteri previsti. E se uno si studia bene come funziona il DSM-5 vedrà che la diagnosi non si fa per rispondenza ai sintomi ma solo se quei sintomi causano sofferenza, compromettono significativamente la vita, le relazioni, la funzionalità lavorativa della persona.
Non è vero che psichiatri e psicologi abbiano "aumentato" le diagnosi. Diagnosi un tempo molto comuni come neurastenia, omosessualità, isteria, sindrome ansioso depressiva, psicastenia, personalità ansiosa, personalità depressiva, esaurimento nervoso, ed altre ancora sono state eliminate da DSM e ICD.
Certamente il DSM-5 come il suo gemello ICD hanno difetti, sono approssimativi, possono essere e devono essere migliorati e la comunità scientifica e clinica è attenta e impegnata in questo. Nessuno è obbligato a usare DSM-5 o ICD se non desidera. Ma è preferibile per tutti, psichiatri e psicologi, cittadini e politici che se ne parli e lo si critichi in modo competente.
Prof. Massimo Biondi
Ordinario di Psichiatria – La Sapienza, Università di Roma