Lui ama lei, ma deve andare via per lavoro un anno intero. Torna, e lei ha sposato l’altro. Lui allora si mette insieme all’altra, che si innamora pazzamente di lui. Lui però non ha mai dimenticato lei, ne è ossessionato e trascura l’altra. Che si vendica, va dall’altro e gli suggerisce l’inesistente infedeltà di lei. Lui e l’altro si scontrano, e lui muore.
Lo schema a quattro personaggi di un delitto passionale, che si offre a un bell’intreccio con figure secondarie a tutto tondo; la madre di lui ad esempio. E piena libertà di ambientazione, scelta libera di epoca e di luogo perché la situazione è universale, non credete? Sono gli stessi sentimenti che prova ognuno di noi, nessuno escluso: gelosia, invidia, ossessione, fantasmi che popolano sogni e veglia.
C’è qualcosa di peculiare, di assolutamente caratteristico alla base del fatto letterario del momento, del successo crescente di un movimento narrativo forte come mai in precedenza, e non è certo la paternità condivisa con tutte le altre nazioni del grande mistery statunitense anni Quaranta e Cinquanta, dal quale pure sono stati mutuati atmosfere e colori. Noi, da queste parti, abbiamo un altro, fondamentale elemento.
Non è ancora chiaro? Allora proviamo con una seconda storia.
Un uomo deforme e vile, con aspirazioni superiori ai propri mezzi, si innamora della bella moglie del capo. Ci prova, assillato da quell’aspetto, da quella voce, da quelle forme. Lei rifiuta, ovviamente, anche perché è innamorata di un altro, bello e affascinante. Il deforme insinua il sospetto nel capo, che lascia montare la rabbia dentro di sé fino al culmine, quando soffoca nel sangue della moglie e dell’amante la propria ossessione.
Vendetta, delazione, sconforto. Disperazione.
Potremmo continuare all’infinito a cercare modelli che, semplificati come sopra, sarebbero a buon diritto la colonna vertebrale di un romanzo nero attuale e di successo. Invece, per i pochi che non le hanno riconosciute, abbiamo stilizzato e ridotto all’essenziale le trame di “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”. Proprio quelle, le opere liriche coeve che riempiono i teatri nazionali e internazionali dalla fine dell’Ottocento. E avremmo potuto provare a ingannarvi con Rigoletto, Otello, Romeo e Giulietta e così via.
C’è quindi il melodramma, il caro vecchio melodramma che sembra così impolverato e sgualcito, riservato ormai a pochi appassionati, e che è invece attuale e moderno nella sua essenza, alle fondamenta del romanzo nero italiano, la novità più evidente nell’ambito della narrativa contemporanea.
Naturalmente nessuno dice che ne sia l’unica componente. L’analisi della società che ci circonda, l’esigenza di capire il significato profondo di certi terribili eventi, la necessità di andare oltre il reperimento puro e semplice di un responsabile rimangono le istanze fondamentali di questa tipologia di scrittura. Ci si riferisce piuttosto alla peculiarità, all’originalità di un modo sentimentale, e più ancora passionale, di porsi di fronte a quella insanabile ferita sociale che è il delitto.
Il melodramma mette in scena, appunto, le passioni, spesso in maniera assai realistica, esaltando con la musica, col canto e coi costumi la violenza delle stesse e il processo di corruzione di sentimenti inizialmente positivi, che si degradano scontrandosi con situazioni a volte banali, sempre evitabili. I libretti d’opera mescolano con abilità ingredienti della vita quotidiana con elementi di mitologie e leggende, portando i personaggi a rivolgersi direttamente alle emozioni degli spettatori: il canto spezza il cuore, fa sorridere, coinvolge e trasporta l’anima in un altro dove e in un altro quando, proprio come la narrazione deve fare.
L’universalità, la riconoscibilità del lato oscuro erano state comprese dagli autori del tempo, e la scena diventa il luogo ideale per superare ogni intermediazione. Non è un caso che in un’epoca in cui era altissimo l’indice di analfabetismo i loggioni fossero pieni, e tanta gente che non avrebbe saputo leggere una pagina di racconto imparasse invece a conoscere personaggi e storie, partecipando sonoramente con fischi e applausi non solo alla perizia tecnica dei cantanti, ma anche agli atteggiamenti previsti dai ruoli.
Dalle parti di chi scrive la cosa ha avuto un seguito e una conferma nella musica popolare e in alcune formule teatrali che da essa derivano, in primis la canzone sceneggiata. Attorno ad alcune maschere convenzionali, isso, essa e ’o malamente, lui, lei e il malvagio, si costruivano dinamiche assolutamente identiche a quelle di un’odierna fiction televisiva, di un blockbuster cinematografico e, ovviamente, di un thriller ossessivo. I buoni sentimenti, l’amore, la dolcezza, la devozione spezzati e ridotti in cenere dal vizio, dall’egoismo, dall’approfittarsi dell’amicizia e dell’ospitalità.
Queste modalità di narrazione portano, attraverso il tempo e senza variare nella sostanza, al movimento che è riconoscibile come letteratura italiana nera contemporanea: e in qualche modo ne spiegano l’essenza, la natura e soprattutto la popolarità.
Fateci caso, non c’è un periodo dell’anno, da gennaio a dicembre, in cui nella classifica dei libri più venduti non compaiano nelle prime posizioni almeno un paio di romanzi neri italiani. Certo, si spazia dal thriller al giallo, dal noir puro al poliziesco e a tutte le possibili sfumature (absit iniuria verbis) del genere, ma siamo lì: a presidiare la cima delle vendite ci sono gli autori di narrativa criminale.
Si sa che, purtroppo, in Italia il popolo dei lettori resta abbastanza esiguo, d’accordo. Le statistiche sono impietose, e il Bel Paese si colloca in fondo alle liste europee per numero di persone che, resistendo alle tentazioni di una comunicazione di massa sempre più incline all’immagine, scelgono la pagina scritta per riempire il proprio tempo libero; eppure la cosiddetta letteratura di genere, definizione riduttiva e ghettizzante ormai finalmente in via di definitivo superamento, si espande a macchia d’olio e si impone sulle altre tendenze con malcelato orrore della grande critica e nella perdurante indifferenza di molti, importanti premi letterari.
Il fenomeno è curioso e interessante, e porta a discutere delle ragioni e delle conseguenze. Ma anche del recente passato, e di quanto è accaduto da una ventina d’anni a questa parte.
Grandi scrittori che abbiano praticato il genere, con veri capolavori, ne abbiamo avuti eccome. Al di là di formidabili portabandiera come Scerbanenco, Fruttero e Lucentini, Veraldi, Loriano Macchiavelli (ancora meravigliosamente attivo, per fortuna), di letteratura criminale hanno scritto autori immensi come Gadda e Sciascia; e se chiedessimo a dei lettori quale libro di Umberto Eco viene loro in mente per primo, quasi tutti risponderebbero col titolo dell’unico vero testo di narrativa criminale che il Professore abbia scritto, “Il nome della rosa”. Ma si trattava di individualità, seppur straordinarie. Il vero e proprio movimento, organico e connesso, sebbene plurale e polifonico, comincia ovviamente con Andrea Camilleri.
Il Maestro, il vero iniziatore, colui che ha inaugurato la strada che, con consapevole gratitudine, hanno poi percorso in tanti, ha traghettato il romanzo criminale italiano al di là di una barriera di pregiudizio e di noncuranza, conquistando progressivamente le librerie prima e gli scaffali principali poi a botte di centinaia di migliaia di copie vendute, superando la diffidenza e la superbia dei lettori forti e diventando la compagnia preferita di una platea di persone che prima di lui non leggevano affatto. È stato lo scrittore di Porto Empedocle l’autentico spartiacque, il discrimine di un’epoca. È lui il vero iniziatore del movimento della letteratura nera italiana che oggi domina le classifiche, ha il primato di traduzioni all’estero e continua a sbarcare con successo e in molte versioni sugli schermi televisivi. E non sembra casuale che il suo Montalbano venga dalla stessa Sicilia che è la meravigliosa ambientazione di Cavalleria Rusticana.
Si potrebbe precisare, e a giusta ragione, che il fenomeno del successo del noir è planetario. Ma per le ragioni che abbiamo esposto all’inizio, è doveroso pensare che contesti narrativi come il giallo nordico e quello nordamericano si muovano su direttrici differenti dal nostro. Non prosperano a queste latitudini Legal o Medical thriller, assassini seriali, scoppi di efferata e spesso immotivata violenza all’interno di una società irreggimentata e rigorosamente regolamentata: noi parliamo di sentimenti corrotti, di passioni personali, di ossessioni. La dimensione delle nostre storie è, per dir così, più quotidiana e realistica, meno eccezionale e lontana: proprio come Canio e Nedda, o come Santuzza e Turiddu. E l’investigatore, il veicolo col quale camminiamo per le stesse storie, è uno che, come il lettore, è costretto a immedesimarsi, a riconoscere le emozioni perché incline a provarle. L’immedesimazione è l’unico modo per arginare gli effetti devastanti di queste emozioni, e per gustarne i processi.
In fondo, seduti in poltrona con un libro in mano o affacciati al loggione di un teatro, quello che cerchiamo è sempre la stessa cosa: un’emozione da condividere.
E da ricordare.