Guardate queste foto inedite, che provengono da un allevamento del nord Italia. Scattate per lo più in un mattatoio, in attesa di essere sgozzati, si notano dei polli appiccicati l'un l'altro all'interno di scatole di un metro e mezzo quadro. Sembra un dipinto sgraziato, straziato. Un operatore ne tira fuori alcuni dalle vaschette per appenderli alla macchina in cui saranno scannati, e per velocizzare il processo chiude la gabbia col becco del pollo.
C'è poi quest'altra istantanea, dell'orrore. Una sfilza di polli vivi - il cui numero prosegue chiaramente fuoricampo - disposti in sequenza, a testa in giù, appesi per le zampe a ganci metallici: saranno sgozzati subito dopo, in una specie di catena di (s)montaggio. Storie di ordinaria disumanità quotidiana.
[[ge:rep-locali:espresso:285186942]]Scatti che testimoniano una volta di più che prima di finire sulle nostre tavole la vita dei polli è decisamente dura, anche dalle nostre latitudini. E a volte gli allevamenti intensivi tricolori hanno le fattezze di piccoli e asfittici grattacieli di gabbie di batteria: i polli diventano perciò aggressivi, persino cannibali e vittime di qualsivoglia degenerazione fisica. Eppure una Direttiva del Consiglio dell'Unione europea vieta, dal gennaio 2012, questo tipo di gabbie e ogni violenza a discapito degli sventurati pennuti.
Secondo i dati Faostat, la divisione statistiche della Fao, l'ottanta per cento dei polli italiani sopravvive dentro allevamenti intensivi. Per la produzione di carne l'industria utilizza la razza “broiler”, capace di lievitare rapidamente di peso. Molti non reggono questo sviluppo forzato dei muscoli: ne scaturiscono malformazioni alle zampe, fratture e zoppie gravi. È come se un bambino si ritrovasse a pesare, a due mesi, 300 chili. L'agonia è implacabile. Giunti ai quaranta giorni di vita scocca l'ora della fine; e la procedura può contemplare rituali macabri come la spezzatura delle gambe. Uno studio firmato da Andrew Butterworth e Sue M. Haslam dell'Università di Bristol ha rivelato che soltanto un pollo su tre arriva in salute al momento del macello.
Il calvario comincia già da pulcini, nel loro primo giorno di vita, come dimostra uno scioccante video virale, visualizzato nel mondo da milioni di persone e rilanciato di recente da Animal Equality (tra le principali organizzazioni internazionali nel settore) che ha realizzato un'investigazione in alcuni incubatoi industriali spagnoli per la produzione di carne di pollo.
Ma quei pulcini gettati vivi dentro secchi della spazzatura, oppure finiti brutalmente a colpi di mazza d'acciaio; quegli operatori che staccano a mani nude le teste; quello svezzamento a colpi di gesti meccanici e violenti e quei nastri trasportatori che paiono tapis roulant del dolore non hanno insegnato molto, visto che la nefandezza si moltiplica un po' in tutti i paesi occidentali.
Ma torniamo in Italia. Di recente il tribunale di Lanciano ha condannato il gestore di un'azienda avicola a due mesi di reclusione per la morte di ben 101mila e 700 pulcini. La vicenda risale al 2010 quando la Lav (Lega italiana antivivisezione) ha denunciato l’uomo che in barba allo sciopero dei dipendenti addetti alle operazioni per una loro corretta venuta al mondo, aveva lasciato in funzione gli impianti di incubazione, determinando l'apertura involontaria di migliaia di uova e la fuoriuscita dei pulcini, tutti morti per soffocamento. Per un caso analogo nel 2009 il Tribunale di Treviso ha condannato a due mesi di reclusione un allevatore colpevole di aver abbandonato senza cibo settemila conigli, e di questi seimila morirono di fame.
Senza dimenticare che è molto alto il rischio di diffusione di epidemie negli allevamenti sovraffollati; che i polli, imbottiti di farmaci, stanno diventando resistenti agli antibiotici; e che questa immunità pericolosa si sta sistematicamente trasmettendo, cibandosi, agli umani.
Lo stabilisce un rapporto pubblicato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dal Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) sull’antibiotico-resistenza, che nel Bel Paese si stima sia responsabile sino a settemila decessi l’anno.
Anche un report del nostro ministero della Salute è giunto alle stesse conclusioni, dopo un anno di monitoraggio dei livelli di resistenza batterica in carni e animali allevati in Italia. Nel 2014 l'analisi ha riguardato proprio il comparto avicolo.
I risultati allarmano: su 709 campioni di intestino cieco prelevati nei polli, il 12,69 per cento è risultato positivo alla salmonella, il 40,34 per cento al campylobacter jejuni (tre le cause più comuni di gastroenterite nell'uomo), il 34,98 per cento al campylobacter coli (alla base delle malattie diarroiche acute) e il 95,40 all'escherichia coli (che può dare vomito, diarrea acuta, crampi addominali e, nei bambini piccoli e negli anziani, persino una forma di insufficienza renale che può provocare la morte). L'escherichia coli resiste pure ai fluorochinoloni, gli antibiotici sviluppati in risposta alle crescenti resistenze batteriche. Un contrappasso antibiotico.