“Lo scorso agosto ero nell’ufficio di un’importante istituzione pubblica, dove ho lavorato per diverso tempo, quando una mia ex collega mi ha sussurrato che qualche mese prima i colleghi uomini avevano trovato delle mie foto particolari su un noto portale Internet… Mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi. L’incubo era ricominciato”.
Di questo sito, attivo da un pezzo, vi racconteremo tra un po’, omettendone il nome per nostra scelta. Ma torniamo alla storia di Laura (il nome è di fantasia), vittima senza giustizia, come migliaia di altre donne in Italia, del revenge porn.
Di quell’epidemia online di immagini e video privati, di matrice non sempre erotico-pornografica, scatenata da ex fidanzati e amanti per vendetta o per sordido sessismo. Di questo morbo del nostro tempo che ha ucciso Tiziana Cantone e affligge in gran segreto chissà quante nostre conoscenti, amiche, parenti. “Così scopro che Daniele, il mio ex, aveva cosparso il web di tutte le nostre foto intime di cui era in possesso. Trascorro l’estate cercando di risalire la corrente delle centinaia di siti internazionali in cui erano state squadernate. Una marea di gallery, link, commenti volgari e degradanti. Giornate estenuanti e assurde. Camomilla, tranquillanti e respiri profondi per arginare l’ansia. Mi invento una tecnica: far finta che la donna delle foto (che ormai stavano dappertutto, persino sull’homepage di escort che le usavano per procacciarsi clienti) non fossi io. Si trovano quasi sempre degli escamotage, per quanto pazzeschi o ridicoli, per contenere il dolore”.
Laura vorrebbe sprofondare, ma si fa forza e presenta una seconda querela. Già, perché il suo calvario era cominciato cinque anni prima, quando scoprì che l’uomo che pensava il suo amore aveva deciso di rovinarle l’esistenza. “25 giugno del 2011. Ricevo una mail. ‘Buongiorno Laura, come va? Ho trovato delle tue foto su un sito inglese. Ne eri al corrente?’. In una di queste riconosco il divano di casa del mio ex. C’è anche un terzo scatto dove appaio completamente nuda sul letto. Con centinaia di commenti: qualcuno mi chiama puttana, altri minacciano di possedermi seduta stante”.
Le immagini risalgono al 2006. Laura sporge denuncia e l’uomo viene rinviato a giudizio per diffamazione aggravata: “è l’unico appiglio a cui una vittima di pornografia non consensuale può aggrapparsi. Anche se io non mi sento diffamata, ma violata sessualmente, il che è ben diverso. Io ho subito un abuso sessuale”.
Gli anni passano e la donna prova a dimenticare l’accaduto. “In fondo si tratta di poche foto circoscritte” il mantra che ripete a se stessa. Intanto la giustizia non fa il suo corso: la prima udienza si tiene solo nel febbraio del 2016 e dopo sette anni per questo tipo di reato scatta la prescrizione. “A oggi, marzo 2017, non ho avuto più notizia del primo processo”. Mentre le immagini scoperte l’anno scorso galleggiano ancora nella melma della Rete. “La polizia postale non ha fatto nulla, nonostante il provvedimento di rimozione disposto dalla procura. Non è possibile che ci voglia tutto questo tempo. È frustrante. Ho scritto pure al garante per la privacy: nessuna risposta”. Donne condannate per infame rappresaglia alla gogna pubblica del presente, “poi non ci si stupisca se qualcuna si toglie la vita”. Con un pensiero disturbante in sottofondo: “l'idea che anche dopo la mia morte quelle foto resteranno online, sotto gli occhi di qualcuno, alla mercé dei peggiori istinti. E che un'orda di estranei continui a visualizzare, commentare e condividere in eterno le mie immagini intime”.
Per nostra scelta non indichiamo il nome del sito che ospita gli scatti privati di Laura e di un incalcolabile numero di altre donne ignare. È aperto da una dozzina d’anni, conta milioni di visualizzazioni e ha nella pornografia non consensuale uno dei suoi principali serbatoi di traffico. Il portale è in lingua italiana ma il suo dominio è registrato presso il provider statunitense GoDaddy, tra i preferiti dalla galassia xenofoba e di estrema destra.
Le foto stanno ferme lì da anni e nessuno si è preso mai la briga di rimuoverle, neppure dopo le richieste delle malcapitate. Sedicenti uomini divisi, a seconda dell’attivismo in “portatori di figa", “verginelli”, “appena sverginati” e “figa dipendenti”, vi postano e si scambiano come figurine foto delle loro ex o delle attuali compagne, riconoscibili e senza il loro consenso, tra masturbazione collettiva e fantasie di stupro reale.
I volti sono quasi sempre mostrati. L’assunto è che esercitino tutte, per mera passione, il mestiere più antico del mondo e meritino perciò una “punizione”. Così ha deciso il tribunale del popolo degli ossessionati e dei repressi 2.0. Intere gallerie sono rubate di soppiatto dai profili Facebook o depredate dai privati computer. Ci sono “thread” dedicati a ragazze riprese mentre dormono, si provano una gonna in camerino, fanno la doccia o la spesa, si allenano in palestra od oziano al mare, stanno in clinica o al museo, in treno o in spiaggia, in discoteca.. C'è la gallery "So young...", affollata di scatti che sembrano appartenere a minorenni.
“Oggi vediamo 16enni, diciamocelo francamente senza ipocrisia, che hanno l'odore di figa addosso e sono in cerca di c..zo” scrive un certo “f.decatald” e un certo “cumontis” gli fa eco: “se una 16enne ti salta sopra di sua spontanea volontà (sia chiaro, le cose si fanno sempre in due), uno di 25 o 30 anni la respingerebbe? Io francamente faticherei…”.
Più di tremila i post nella sezione “Spy”, scatti e filmati di rapina con micro-webcam camuffate che vedono come involontarie protagoniste mogli e vicine di scrivania, commesse e adolescenti in leggins, studentesse universitarie e fidanzate o meglio, le loro varie sezioni anatomiche. E vengono spiate sistematicamente anche le nipoti, le sorelle, le madri. Fa “Davii”: “Oggi ho visto mia mamma in piedi che si puliva dopo essere andata in bagno. Sono riuscito a farle qualche foto”, che puntualmente allega insieme ad altre senza veli. Le reazioni: “mi sto segando”, “proprio bella la mamma: mi fa venire voglia di riempirla”, “se mi invitassi a casa tua tornerebbe a scopare come un’indiavolata”, “ma ti tocchi, tu, a guardarla?”. E Davii ammette: “Be’, tu cosa faresti?”.
Nemmeno le figlie sfuggono a questo ribollente, ripugnante girone dell’orrore. “Micchele” pubblica immagini della sua primogenita 19enne e si compiace degli apprezzamenti ignobili che le riservano i suoi compagni di merenda del web. “Forza, facci vedere altro di questa cavalla”, “Falla venire da me che c'arrivo facile tra quelle chiappe”, “Ti piacerebbe vederla trombata da un gruppo di uomini?”. Risponde il padre: “è un’idea che mi è venuta in mente, ma solo mentalmente. Se vedessi una cosa del genere potrei uccidere”.