Il prossimo 25 ottobre il governo di Belgrado deve presentare la sua candidatura per entrare nella Ue. E i casini allo stadio, come le botte al Gay Pride, hanno lo stesso scopo: evitare che venga accettata. Perché ai super nazionalisti l'Europa non piace

Ci si mette di mezzo il calcio e le difficoltà politiche interne diventano patrimonio dell'opinione pubblica mondiale. Le scene degli estremisti serbi che incendiavano ieri sera lo stadio di Genova, impendendo alla loro squadra di giocare contro la nazionale italiana hanno portato l'autunno sui volti di chi, a Belgrado, crede davvero a una Serbia europea. «Mi scuso con tutto il popolo italiano e con i tifosi in particolare», dice Sonia Raskovic, l'ambasciatrice serba in Italia ai margini di un convegno sui rapporti Italia-serbia organizzato da Ipalmo a Belgrado: «Ma per favore non pensate che un manipolo di hooligans rappresenti milioni di serbi. I rapporti tra i nostri due paesi sono ottimi e le opportunità di scambio economico enormi».

Sul campo di calcio italiano si sono riversati gli stessi ultra-nazionalisti serbi che lo scorso fine settimana hanno messo a soqquadro Belgrado durante il Gay Pride, costringendo la stessa ambasciatrice a dire: «forse il Paese no è ancora pronto per una manifestazione del genere, è ancora troppo omofobico». Ma c'è dell'altro.

Il prossimo 25 ottobre la Serbia presenterà in Lussemburgo la sua candidatura per entrare a fare parte dell'Unione europea e porre fine ad un isolamento che dura da quasi vent'anni. Non tutti condividono però l'entusiasmo del presidente europeista Boris Tadic.

Per gli ultra-nazionalisti, nostalgici della Grande Serbia, leader indiscusso dei Balcani, l'ingresso in Europa impone compromessi politici inaccettabili: dalle scuse per il massacro di Srebrenica del 1995, in cui otto mila bosniaci hanno perso la vita, all'abbandono di pretese concrete sul Kosovo, la culla della civiltà serba, dove però i serbi sono minoranza.

Per non toccare poi l'argomento Ratko Mladic, l'ex capo dell'armata serba, ancora oggi fuggitivo: l'Europa, e l'Olanda in particolare, ha posto come condizione imprescindibile la sua consegna al tribunale dell'Aja.

Gli ultra-nazionalisti non ci stanno e, all'alba dell'importante appuntamento europeo, non hanno perso occasione di far sentire la propria voce, rafforzando agli occhi del mondo l'immagine di un paese irrimediabilmente violento. «Non permetteremo a un gruppo di estremisti di infangare la reputazione della Serbia», dichiara il vice premier con delega all'integrazione europea Bozidar Djelic: «L'Italia e la Serbia sono grandi amici e le oltre 200 società italiane in Serbia non hanno mai avuto nessun problema. Noi dobbiamo molto all'Italia, ad esempio per averci aiutato nell'abolizione dei visti». E continua: «Quegli hooligan sono dei criminali: Ivan Bogdanov (il ventinovenne leader incappucciato di nero le cui immagini hanno fatto il giro del mondo) è un criminale con quattro processi in corso per violenza e possesso di droga. Faremo in modo che resti in carcere per un bel po' di tempo».

Nella notte però la rabbia dei tifosi italiani si è sfogata sulla casella di posta elettronica dell'ambasciata serba in Italia. «Ho ricevuto email orribili», racconta Raskovic: «Alcuni dicono che ci dovremmo vergognare del comportamento dei nostri tifosi, e hanno ragione. Io mi vergogno a nome del mio Paese. Ma altri commenti sono molto offensivi. Definiscono tutto il popolo serbo con epiteti irripetibili».

Da parte italiana arriva un sostegno agli sforzi del governo serbo. "Ci sono forze politiche che vogliono fermare il percorso di ingresso in Europa", spiega l'ambasciatore italiano in Serbia Armando Varricchio "Ma è importante che il Gay Pride si sia tenuto nonostante alcuni dicano abbia offerto il destro ai seguaci di Arkan (il defunto leader paramilitare autore di numerosi crimini di guerra). La Serbia non si può candidare in Europa se non è in grado di difendere i diritti delle minoranze".

Spetta ora al governo italiano e a quello serbo esaminare gli eventi di Genova, spiegare cosa non abbia funzionato e come possa essere evitato in futuro: "Non possiamo permetterci di derubricare i fatti come opera di fanatici: gli ultra-nazionalisti sono politicamente strumentalizzati", chiosa Varricchio. L'instabilità politica rischia poi di creare un terreno fertile per criminalità e traffici illeciti alle porte dell'Europa. "È nell'interesse italiano ancorare saldamente la Serbia all'Europa: il problema della sicurezza non si risolve erigendo muraglie ma integrando".

In questa direzione stanno andando gli investimenti nel Paese della Fiat (940 milioni di euro solo quelli diretti), grazie ai quali l'Italia è diventata quest'anno il principale investitore estero. Ad aiutare le nostre imprese sono sia le favorevoli condizioni fiscali e industriali offerte dal paese che la vicinanza fisica e culturale. Gli investimenti italiani complessivi sfiorano quest'anno i due miliardi e mezzo di euro e hanno ricevuto un ulteriore slancio dai recenti accordi firmati dalla Serbia con la Turchia per formare un'area di libero scambio che andrà a regime alla fine del prossimo anno. Allo studio adesso la creazione di un sistema portuale ben attrezzato nelle aree di Trieste e Fiume che consenta alla Fiat, ma non solo, di velocizzare gli scambi commerciali, e - aiuti europei permettendo - lo sviluppo infrastrutturale del cosiddetto "Corridoio 10". Si tratta di un'area geografica che, se ben connessa, porta sviluppo e integrazione da Lione alla Turchia, passando per Milano, Venezia e Belgrado.

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