Erano a casa della moglie e sono stati consegnati al tribunale dell'Aja. In quattromila pagine le prove del diretto coinvolgimento di Milosevic nella guerra di Bosnia

Mladic, trovati i diari di guerra

Nell'altro emisfero c'è una donna che in questi giorni avrà avuto una legittima soddisfazione per il riconoscimento postumo di un lavoro ben fatto eppure spesso criticato. Quella donna si chiama Carla Del Ponte, 63 anni, ambasciatrice della Svizzera in Argentina e già procuratore capo del tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia. Fu lei a portare alla sbarra per crimini contro l'umanità il dittatore serbo Slobodan Milosevic, morto in un carcere olandese l'11 marzo del 2006 prima del verdetto.

Aveva accumulato molte prove della responsabilità diretta del padre-padrone di Belgrado nella tragedia balcanica che avrebbero probabilmente determinato comunque una condanna. Ma adesso spuntano le carte decisive sul ruolo cruciale che Milosevic svolse nella carneficina in Bosnia. Era lui che pilotava (cosa che aveva sempre negato in vita) le decisioni del leader politico dei serbi di Bosnia Radovan Karadzic, arrestato nel 2008, e del suo braccio armato, il generale Ratko Mladic, ancora latitante, entrambi accusati di genocidio. Era a Belgrado che si pianificavano pulizia etnica, urbicidio di Sarajevo, massacri. E la fonte è proprio il generale Mladic, 67 anni, o meglio i suoi 18 diari per complessive 4 mila pagine che la polizia serba ha trovato in una soffitta e dietro un guardaroba della casa della moglie Bosiljka in via Blagoje Parovic 117, durante due perquisizioni tra il dicembre 2008 e il febbraio 2010. Materiale consegnato al tribunale dell'Aja e di cui il quotidiano francese "Le monde" ha pubblicato i passaggi più significativi.

Mladic, meticolosissimo, annota riunioni, acquisti di armi, posizioni. Raramente osservazioni personali, piuttosto frasi pronunciate dai suoi interlocutori. Compare Milosevic, spesso, il suo capo di Stato maggiore Momcilo Perisic, le anime nere dei servizi segreti Jovica Stanisic e Frenki Simatovic, responsabili delle operazioni speciali e delle unità paramilitari. Assegnano gli obiettivi militari, finanziano, forniscono uomini e mezzi. Con la benedizione della Chiesa ortodossa: il patriarca Pavle è un assiduo frequentatore dei summit. Pagina dopo pagina si dipana il filo della storia di ieri. È Dobrica Cosic, scrittore diventato presidente della Serbia come paravento di rispettabilità che dice nel gennaio 1993: "Tudjman (presidente croato) mi ha chiesto di andare a Brioni per accordarci sulla Bosnia".

L'ossessione è la divisione della Repubblica tra serbi e croati. Perché i musulmani sono "il nemico comune". È solo nel 1994 che Milosevic, pressato dalla comunità internazionale, cerca di convincere i serbo-bosniaci ad accettare un piano di pace: "Ratko, devi capire che una divisione al 50 per cento è equilibrata. Il mondo non accetterà altra soluzione". Ma a Pale, la capitale della repubblichetta dei serbi di Bosnia rifiutano e in una successiva riunione Slobo è durissimo: "Siete dei folli. Krajisnik (il presidente del Parlamento) è normale ma idiota. Karadzic è ossessionato dalla storia. Se gli lascerai prendere delle decisioni sarà una catastrofe". E successivamente: "La politica nazionale serba si decide a Belgrado non nei boschi di Pale. La Serbia non vi assisterà più". Commento del generale, uno dei pochi: "Mio Dio, che parole dure". Srebrenica è motivo di un altro scontro se Milosevic il 24 luglio 1995 dice a Mladic: "Come comandante dell'esercito devi avere anche una dimensione politica". Le pagine di quei giorni fatali dell'eccidio di 8 mila musulmani sono strappate.

Arrivano i giorni di Dayton. Mladic annota una frase di Milosevic: "Clinton è d'accordo con me. Le nostre relazioni devono diventare amichevoli. I serbi occupano ormai il posto che era dei musulmani nel cuore degli americani". Il generale incontra un uomo d'affari americano all'hotel Moskva di Belgrado che gli dice: "Con dieci milioni di dollari si possono comprare da 100 a 200 senatori o membri del Congresso". E se è tutto in vendita lui aggiunge: "Perché non potremmo comprare Bill Clinton?". Ma le cose vanno diversamente, Mladic diventa un ricercato, i diari si interrompono alla data del 28 novembre 1996. È già cominciata la lunga latitanza. Non è ancora finita.

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