Il presidente ha vinto la sua battaglia, rendendo definitivo l'aumento delle tasse per chi ha un reddito oltre i 400mila dollari. Alla fine i repubblicani potevano solo evitare il rischio di una nuova recessione

Il presidente Barack Obama ha vinto la battaglia del Fiscal Cliff. «La principale base della mia campagna è stata mantenuta, mantenere gli sgravi fiscali per la maggior parte della classe media americana e per la piccola impresa», ha detto nella notte tra il 1° e il 2 gennaio.

Obama ha fatto qualche concessione rispetto alla sua proposta iniziale, ma alla fine ha messo i repubblicani nella condizione di non poter fare altro che evitare il rischio di una nuova recessione per sostenere una bocciatura fondata solo sulla ideologia del no alle tasse e del governo ridotto all'osso.  Obama e i democratici hanno segnato un punto a loro favore bloccando – grazie a un voto largamente bipartisan del Senato americano e 24 ore dopo il sì sofferto e quasi obbligato della Camera, il cosiddetto Fiscal Cliff: ovvero, il ritorno al sistema fiscale di metà degli anni Novanta con aumenti delle aliquote e drastica riduzione delle deduzioni per tutti i contribuenti insieme a tagli automatici della spesa pubblica. 

Il Fiscal Cliff è stato evitato a soli tre giorni dalla prima riunione del nuovo Congresso uscito dalle urne il 6 novembre scorso. Due giorni di serrata trattativa in un faccia a faccia tra il vice presidente Joe Biden (è anche presidente del Senato) e il capo dei senatori repubblicani Mitch McConnell hanno prodotto un accordo messo ai voti la mattina di martedì 1° gennaio con un risultato clamoroso e che non si vedeva da oltre quattro anni: dei cento membri del Senato (51 democratici, 47 repubblicani, 2 indipendenti) 89 hanno votato a favore e 8 hanno espresso il loro rifiuto. 

Il contenuto del compromesso premia largamente l'impostazione chiesta dal presidente Barack Obama che è riassunta così: tasse più alte per il 2 per cento degli americani; mantenimento delle attuali aliquote per tutti gli altri, ma soprattutto proroga di tutti i benefici fiscali e alla disoccupazione contenuti nella manovra di stimolo decisa dalla Casa Bianca per proteggere gli americani dalla recessione economica del biennio 2007-2008, quando nel giro di pochi mesi la disoccupazione aveva raggiunto e superato il 10 per cento.

I repubblicani, sin dall'inizio, avevano detto no alla proposta di Obama che aveva come punto centrale l'aumento del carico fiscale per coloro che hanno un reddito superiore ai 250 mila dollari. Il no su tutto si era trasformato in un no più ragionato con un’apertura minima sull'aumento delle tasse per i redditi superiori al milione di dollari, accompagnato però da robusti tagli nel campo del Medicare (l'assistenza sanitaria per gli anziani) e dalla intoccabilità della spesa per la difesa. 

La Casa Bianca ha bocciato il cosiddetto piano B dello speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, il quale è stato sconfessato dall'ala più radicale del suo partito la quale sostiene che anche quella proposta era una concessione troppo ampia alle pretese dei democratici. Intanto, i giorni passavano e si avvicinava la scadenza del 31 dicembre. Per la Casa Bianca era un evento da scongiurare, ma per i repubblicani precipitare nel Burrone Fiscale poteva essere la debacle più grande degli ultimi decenni perché la fine del regime fiscale in corso e i tagli automatici alla spesa avrebbero trovato nei soli repubblicani la responsabilità di una situazione che gran parte degli economisti giudicano come l'inizio quasi certo di una nuova recessione. La sola strada rimasta, a 48 ore dal Fiscal Cliff, era trovare una soluzione, e un voto, al Senato dove l'anima bipartisan di molti repubblicani lasciava sperare. La parola è passata al vice presidente Biden e al leader repubblicano del Senato McConnell, due uomini politici che hanno lavorato fianco a fianco in Senato per venticinque anni. 

Faticosamente è stato costruito il compromesso: Barack Obama ha strappato l'aumento delle tasse per i redditi più alti, l'estensione permanente dei benefici fiscali per la classe media e la continuazione dei programmi di aiuto alla disoccupazione; i repubblicani hanno ottenuto una soglia più alta, 400 mila dollari per i singoli, 450 mila per le famiglie, per il ritorno alla aliquota massima (39,6 per cento) in vigore negli anni Novanta quanto presidente era Bill Clinton.

Il voto del Senato ha rimesso in moto anche il dibattito all'interno della Camera, dove i repubblicani sono la maggioranza. Il leader della maggioranza Eric Cantor si è subito detto contrario ad approvare e confermare quanto deciso in Senato. Alcuni notabili eletti sull'onda dei Tea Party – il movimento anti tasse e anti governo che ha dettato l'agenda conservatrice negli ultimi quattro anni – hanno appoggiato Cantor, il quale ha comunque promesso ai suoi che nessun provvedimento sarà approvato con un numero di voti democratici superiore a quello dei repubblicani. Ma nel corpo del Grand Old Party sono aumentate le prese di distanza da una linea estremista e irresponsabile.

Mentre la Casa Bianca ha emesso un comunicato che suona come il bollettino della vittoria, i congressmen della Camera si sono trovati praticamente in un vicolo cieco, con sole tre via di uscita prima del 4 gennaio, giorno in cui il vecchio Parlamento decade e si riunisce il nuovo per la prima volta. La prima: approvare il pacchetto del Senato cosi com’è. La seconda: respingerlo assumendosi in questo modo l'intera responsabilità di un aumento generale della pressione fiscale e l'inizio dei tagli automatici. La terza: modificarlo e rispedirlo al Senato. Ma in quel caso la parola passerà al nuovo Congresso.

Alla fine hanno vinto la ragione e l'interesse della stragrande maggioranza degli americani e non solo quelle del Partito repubblicano. La Camera ha deciso di andare al voto nella tarda serata e il risultato è stato 253 sì al compromesso trovato al Senato, 166 no e 13 astenuti. I democratici hanno votato in maggioranza per quell'accordo (solo una dozzina di contrari), in campo repubblicano un terzo del gruppo ha appoggiato il compromesso mentre i due terzi, oltre 150 parlamentari, hanno detto no.

Mezz'ora dopo il voto il presidente Obama ha parlato agli americani: «Questa legge è solo il primo passo nella battaglia per far riprendere l'economia. Tutto è stato fatto nell'interesse della classe media, della piccola impresa e della maggioranza degli americani». E sui tagli alla spesa ancora da decidere ha ammonito: «Vanno decisi passo dopo passo, non si può tagliare la strada verso la prosperità degli americani».

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