L'economia cinese frena. Non solo per la crisi mondiale. Ci sono anche fattori interni che incidono
L'economia cinese ha smentito per trent'anni i profeti di sventura. Quando il Paese cominciò ad abbracciare il capitalismo verso la fine degli anni Settanta, l'idea che un giorno sarebbe potuta diventare la seconda economia più importante del mondo era pura fantasia. E anche se ha continuato a registrare un tasso di crescita a due cifre un anno dopo l'altro, i pessimisti erano convinti che questa tendenza non potesse durare. Tutto è andato invece per il meglio. Vi sono stati fenomeni preoccupanti, come l'elevata inflazione nel 1988 e i fallimenti a catena intorno al 2000. Ma le autorità politiche sono riuscite a superare queste difficoltà e a mantenere un ritmo di crescita sostenuto. Da qualche tempo, però, sembra che il drago cinese stia cominciando a zoppicare. Il tasso di crescita è rallentato dal 2010, quando è sceso per la prima volta sotto una percentuale a due cifre. Negli ultimi due anni, ha registrato una flessione di circa il 20 per cento (scendendo dal 10 all'8 per cento annuo).
Due fenomeni meritano più attenzione di altri. Il primo è la persistenza di questo rallentamento. Nel quarto trimestre del 2012 la Cina ha registrato un tasso di crescita del 7,9 per cento, che è sceso al 7,7 nel primo trimestre del 2013, un risultato da far invidia a tutti gli altri paesi, che per la Cina tuttavia è indice di difficoltà e di rischi pericolosi. Ovviamente entrano in gioco anche fattori ciclici. Ma la causa principale è il calo delle importazioni dalla Cina conseguente alla lenta ripresa dell'economia mondiale ancora afflitta dalla crisi del debito. Il tasso di crescita della Cina è dovuto infatti per il 25 per cento alle esportazioni e questo spiega perché il loro calo abbia determinato la sua riduzione. Fra il 1979 e il 2008, le esportazioni cinesi sono cresciute a un ritmo del 20 per cento l'anno. Oggi, invece, crescono a un ritmo inferiore al 10.
IL RALLENTAMENTO della crescita va attribuito anche a fattori strutturali. La forza lavoro in Cina sta invecchiando e va rapidamente restringendosi. Perde colpi così un altro potente motore di sviluppo: l'incremento demografico e la disponibilità di manodopera a buon mercato. Nel 2012, la popolazione fra i 15 e i 59 anni ha cominciato a diminuire per la prima volta, segnando l'inizio di un invecchiamento che diventerà un ostacolo ancor più grave per l'economia cinese in futuro.
La seconda, e forse ancora più grave tendenza rischiosa, è la crescita dell'indebitamento. L'esposizione delle banche è cresciuta da circa il 100 al 300 per cento del Pil in un decennio, con una velocità ineguagliata da altre grandi economie del mondo. Persino in quelle occidentali più sviluppate e liberiste, un'espansione del credito di queste dimensioni determina crisi del debito e distorsioni nella distribuzione dei capitali. Nel caso della Cina, i rischi di un eccessivo indebitamento sono stati amplificati da un sistema finanziario dominato dallo Stato, ma poco sviluppato, e dalle ingerenze politiche del governo. Le banche cinesi, quasi tutte di proprietà pubblica, favoriscono le imprese statali e gli enti locali, a discapito delle aziende private, incanalando il risparmio verso strutture paragovernative che lo distribuiscono in modo inefficiente.
Esempi tipici sono gli eccessivi investimenti in impianti di assemblaggio di automobili, acciaierie e infrastrutture di prestigio che non producono un rendimento positivo per eccesso di capacità. Anche in tempi normali, questo cattivo sistema di distribuzione delle risorse aumenta i rischi del settore finanziario. Dieci anni fa, la Cina ha speso centinaia di miliardi di dollari per ricapitalizzare le sue banche, perché le sofferenze accumulate potevano innescare una crisi finanziaria.
La Cina non sta vivendo tempi normali. Fra il 2008 e il 2009, Pechino ha varato un programma di incentivi economici del valore di 2.500 miliardi di dollari, finanziato per due terzi da prestiti. Concessi, purtroppo, per la maggior parte, a governi locali e imprese pubbliche, che hanno fatto investimenti a profusione. Nel breve termine, questi incentivi hanno sostenuto la crescita. Ma hanno aumentato la dipendenza dell'economia dal credito. E poiché questo è andato ad alimentare investimenti improduttivi, quanti più crediti vengono concessi, tanto maggiori saranno quelli inesigibili in futuro. A partire dall'anno scorso, Pechino ha cominciato a stringere i cordoni della borsa per evitare la crisi del settore finanziario. Ma la stretta creditizia ha come conseguenza minori investimenti e un rallentamento dello sviluppo. Il drago cinese si trova oggi di fronte a una tempesta perfetta: fattori ciclici e strutturali sfavorevoli acuiscono la necessità di ridurre l'indebitamento. Nessuno però sa dire in che modo Pechino può uscire da questa difficoltà. L'unica certezza è che le cose rischiano di peggiorare prima di andar meglio.