Amira è una donna siriana di Aleppo, lavora di guardia in un check-point dei ribelli anti-Assad indossando un velo su cui è disegnata una bandiera nera, simbolo della jihad. Prima della rivoluzione trascorreva i suoi giorni tra le mura domestiche, in linea con i principi dettati dall'orientamento sunnita. Oggi, è una militante delle Brigate islamiste al-Ikhl??, che significa 'purezza'.
Ad imbracciare l'arma l'ha spinta la morte dei suoi figli, è stato il dolore di aver perso tutto a costringerla a sfidare i ruoli tradizionali disegnati dalla religione musulmana ed arruolarsi tra le fila dei mujaheddin di Aleppo. Per questo è andata al fronte, come molte altre donne da quando nel 2011sono esplose le rivolte contro il regime di Damasco.
In Siria il primo battaglione ribelle al femminile si è costituito ad Homs, a pochi giorni dal massacro di Hula, costato la vita a 108 civili, tra cui 49 bambini. Era il maggio dello scorso anno.
Così è nata la ‘Compagnia Donne di Walid’, formazione armata che si è presentata al pubblico nel giugno del 2012 con un video diffuso sul web e rilanciato dalla Bbc in arabo, in cui apparivano alcune donne a volto coperto armate di kalashnikov e lancia razzi Rpg che promettevano vendetta agli stupri e alle aggressioni commesse dai militari del regime.
Anche il presidente Bashar al Assad però ha reclutato un esercito di sole donne chiamato le 'Leonesse per la difesa nazionale'. Sono circa 500, indossano una tuta mimetica e pattugliano, armate fino ai denti, le strade di Homs, come testimonia un video girato a Palmyra e apparso a gennaio sulla piattaforma LiveLeak.com.
Il battaglione è parte dello zoccolo duro dei 10 mila militari richiamati nella National Defence Force (Ndf) per salvare il Paese. Le donne si sono addestrate nel campo di Wadi al Dahab, poi hanno iniziato a operare sul territorio del governatorato di Homs, tra i più pericolosi del Paese. Il nome della divisione non è stato scelto a caso, anzi rappresenta una classica operazione di retorica militare: Assad, in arabo, vuol dire "leone".
Tra i battaglioni al femminile ribelli, invece, uno dei più noti è chiamato 'La nostra madre Aisha', dal nome della più importante sposa del profeta Maometto.
La milizia è nata da un'idea di alcune decine di insegnanti che lavoravano nella stessa scuola alla periferia di Aleppo, finita in macerie sotto i bombardamenti delle forze lealiste. Oggi raccoglie centinaia di studentesse universitarie e laureate provenienti da tutto il Paese. Tutte hanno il volto coperto, vestono con un uniforme militare, dispongono di armi leggere ma anche di kit medici per soccorrere i civili. Sostengono di «combattere nelle stesse trincee» dei mujaheddin dall'Esercito siriano libero.
Sono ribelli anche le guerrigliere della 'Brigata Sumayyah bint Khayyat'. Il 10 marzo hanno fondato una pagina Facebook postando la foto di una donna armata.
Sullo sfondo la bandiera siriana e quella islamica, poi una didascalia che invita alla "distruzione" di tutti i nemici della religione musulmana. Una minaccia rivolta ad "ebrei, comunisti russi, rafidah ("disertori", un termine dispregiativo rivolto soprattutto agli sciiti, ndr) e kafir ("miscredente" o "infedele", ndr)".
La brigata prende il nome della prima persona nella storia (una donna) ad essere stata martirizzata per essersi convertita all'Islam, e opera a 80 chilometri a nord di Damasco.