Il mistero è duplice, protetto come un segreto di Stato. Tra pochi giorni una flottiglia di navi militari entrerà nelle acque italiane, chiudendo la prima fase della missione più delicata dell'ultimo decennio. Corvette e fregate scandinave, russe e cinesi hanno il compito di proteggere due mercantili, con la stiva piena di sostanze micidiali: la porzione più pericolosa delle armi chimiche siriane, cedute dal regime dopo gli ultimi accordi internazionali. Settecento tonnellate di gas nervini e altri composti killer come l'iprite in viaggio per lo smantellamento. Stanno per partire da Latakia, sulla costa siriana controllata dai fedelissimi di Bashir Assad, per un'odissea nel Mediterraneo che farà tappa nella penisola. In un porto del nostro paese infatti avverrà il trasbordo delle sostanze letali su una nave laboratorio statunitense, dove poi saranno neutralizzate. Sempre restando in alto mare.
Il nome del porto è top secret. Il ministro degli Esteri Emma Bonino lo renderà noto soltanto giovedì 16, dopo l'audizione in parlamento del direttore dell'Opac, l'organismo per il disarmo chimico che nel 2013 ha vinto il Nobel per la Pace. Diverse le ipotesi circolate finora. Si è parlato di Augusta in Sicilia, oppure di Brindisi, Taranto e Gioia Tauro o in alternativa Cagliari. A far propendere per una meta sarda c'è anche la scelta dei danesi, che hanno mobilitato per il trasloco dell'arsenale un traghetto civile normalmente in servizio tra Vado Ligure e lo scalo sardo. Il governatore dell'isola Ugo Cappellacci ha scritto che «fonti riservate» indicano per la settimana tra il 3 e il 7 febbraio l'arrivo della flotta chimica. E promette battaglia: «Non lo permetteremo».
Ovunque Regioni e comuni si preparano a contrastare l'approdo, mentre le preoccupazioni maggiori dei tecnici sono concentrate sulle fasi successive dell'operazione. Il trasferimento delle armi chimiche, sigillate in contenitori stagni, comporta rischi molto limitati. Invece l'operazione di bonifica in alto mare, una procedura mai realizzata prima, presenta diverse incognite. Nel mondo esistono numerosi impianti che da decenni neutralizzano i gas tossici e finora hanno operato senza incidenti. In Italia le forze armate ne hanno costruito uno alle porte di Civitavecchia che da quindici anni demolisce le bombe all'iprite prodotte in quantità colossali in epoca fascista. Invece gli americani hanno deciso di ridurre i pericoli di contaminazione con lo smantellamento in un laboratorio galleggiante.
L'idea risale a circa due anni fa. In quei mesi la rivolta in Libia ha fatto sorgere la necessità di mettere in sicurezza la scorta di armi chimiche accumulate da Gheddafi. Troppo rischioso spostarle attraverso i continenti ed ecco la proposta di fare la pulizia direttamente nel Mediterraneo. È cominciata così la trasformazione del Cape Ray, un mercantile di 22 mila tonnellate lungo poco meno di 200 metri: nella stiva è stato installato un impianto con un sistema mobile di idrolisi, che “disinnescherà” i composti assassini. Il progetto è stato rispolverato dopo l'accordo con il regime di Damasco e ora questa fabbrica navigante sta puntando verso l'Italia, dove farà il pieno di veleni. Poi si posizionerà in un punto segreto nelle acque internazionali del Mediterraneo per svolgere la sua attività.
Sulla carta, ogni eventualità è stata prevista: la bonifica «sarà portata a termine senza esporre a rischi le persone o l'ambiente», ha dichiarato il sottosegretario alla Difesa statunitense Frank Kendall. La riuscita dell'operazione dipende però soprattutto dalle condizioni meteo: se c'è burrasca, la fabbrica galleggiante si deve fermare. Lo ha ripetuto anche il capitano del Cape Ray Richard Jordan: «Il tempo avverso è la minaccia più grave che ci aspettiamo. Se le onde diventano ingestibili, allora dovremo bloccare l'attività». Basterà?
Le autorità americane non hanno risposto alle domande sulle possibili emergenze. I gas nervini da disinnescare sono forse le sostanze belliche più pericolose esistenti: paralizzano il sistema nervoso fino a provocare la morte. A bordo ci saranno anche grandi quantità di iprite, che attacca la pelle e distrugge i polmoni. Nonostante l'equipaggio – 35 marinai civili e 40 specialisti militari – sia addestrato per gestire ogni incidente, nulla è stato detto su come verrebbero affrontate le fughe di sostanze tossiche. In passato, la soluzione radicale è stata quella di gettare in mare le cisterne nocive, seppellendole nelle profondità degli abissi: una prassi ripetuta per decenni, anche davanti alle coste italiane. Esistono due gigantesche discariche di armi chimiche nel Mediterraneo, usate dagli americani tra il 1945 e gli anni Sessanta. Una è nel Tirreno a nord di Ischia; l'altra in Adriatico a largo di Molfetta ed è stata impiegata anche durante la guerra del Kosovo: in entrambe i fondali sono tali da inghiottire qualunque ordigno limitando al massimo i rischi per la pesca e la popolazione.
Non si può escludere che nella scelta della posizione dove gettare l'ancora per effettuare la bonifica si tengano presente queste due discariche, in modo da essere pronti in caso di drammatici incidenti. Di sicuro, gli ammiragli americani non sottovalutano un'altra minaccia: quella del terrorismo. Un'eventualità remota, visto che la Cape Ray verrà protetta da navi da guerra americane e di altri paesi, forse anche italiane. Ma la somma di tutte le incognite sulla sicurezza potrebbe far propendere per l'Adriatico, dove ci sono generalmente le migliori condizioni meteo, è più facile monitorare i movimenti delle imbarcazioni sospette e c'è in prossimità una delle discariche di ordigni più antica e profonda. Si tratta soltanto un'indicazione statistica, suffragata dal fatto che inizialmente si era pensato di distruggere le armi siriane in un impianto in territorio albanese.
L'operazione non si chiuderà con la bonifica sulla Cape Ray. Il trattamento a bordo renderà le sostanze meno letali, ma i residui saranno comunque altamente nocivi. Alla fine bisognerà smaltire circa 1500 tonnellate di composti tossici, che gli americani non intendono portare negli States: per questo si stanno cercando paesi disposti a trattare le scorie. La Germania ha comunicato che ne accoglierà 370 tonnellate, da ripulire nei laboratori della Geko. La Gran Bretagna ha dato una disponibilità di massima, non ancora formalizzata. In Europa ci sono solo altre tre nazioni che dispongono di impianti in grado di trattare simili veleni, nelle condizioni di sicurezza richieste: oltre all'Albania, che ha già detto no, restano la Francia e l'Italia, con la struttura modello nella base militare di Civitavecchia.