Daniel Scioli (il favorito nei sondaggi), Mauricio Macri e Sergio Massa. Sono tutti discendenti di nostri emigranti i candidati alla successione di Cristina Kirchner. Ma, qualunque sia il risultato delle urne, sembra che il peronismo dalle molte facce sia destinato a non tramontare mai (Foto di Giancarlo Ceraudo per l’Espresso)

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Se nelle presidenziali argentine del 25 ottobre votasse anche papa Francesco, a beneficiarne sarebbe probabilmente Daniel Scioli favorito per la successione a Cristina Fernandez Kirchner (la Costituzione le impedisce di inseguire un terzo mandato). Il candidato peronista può mettere in campo il rapporto privilegiato con Jorge Bergoglio, assurto al pantheon dei miti nazionali al fianco di Evita, Jorge Luis Borges e Diego Armando Maradona. Un legame che sbocciò nel 2012, quando Scioli (governatore della provincia di Buenos Aires) intervenne a un pellegrinaggio giovanile al santuario di Lujan sponsorizzato dall’ex arcivescovo.

All’epoca Bergoglio era inviso ai Kirchner. Nestor, morto d’infarto nel 2010, si era spinto a definirlo «il principale oppositore del governo». Cristina si rifiutò poi di riceverlo alla Casa Rosada. Salvo virare di 180 gradi quando diventò papa con i ripetuti viaggi in Vaticano. Ma Scioli, che non è mai stato nel cerchio magico dei Kirchner, ha continuato a rimanere vicino a Bergoglio anche nei momenti di tensione fra il governo e la Chiesa. «Ho ricevuto molte critiche per questo mio distacco dalla linea ufficiale. La realtà è che mi identifico molto in lui. Quando avevo problemi personali chiedevo di incontrarlo».
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Né Mauricio Macri, il candidato dei conservatori, né Sergio Massa, il peronista di centrodestra, possono avvalersi di questo appoggio sia pur virtuale. Macri, sindaco di Buenos Aires, incontrò diverse volte Bergoglio in momenti istituzionali e organizzò una grande festa dopo l’elezione papale. Ma fu anche duramente criticato dall’arcivescovo per aver riconosciuto i matrimoni omosessuali.

Le presidenziali, che sono diventate una sorta di referendum sui dodici anni di kirchnerismo e vedono in lizza tre candidati di origine italiana, non appaiono però così scontate. Scioli, 58 anni, capo della coalizione tra il Frente de la Victoria (i kirchneristi) e il Partito giustizialista (il peronismo tradizionale), è sì il favorito dagli ultimi sondaggi con il 37,1 per cento dei consensi raccolto soprattutto fra il popolo di Cristina, le classi meno agiate sostenute dai sussidi governativi.

Ma Macri, 56 anni, leader di Cambiemos (coalizione fra la sua Propuesta Republicana e i radicali) appoggiato dal ceto imprenditoriale e dai latifondisti, è assestato intorno al 26 per cento. Se Scioli nel primo turno non supererà la soglia del 45 per cento, o quella del 40 distanziando il secondo di dieci punti, si andrà al ballottaggio il 24 novembre. E Macri spera di far convergere sulla sua figura i voti di Massa (oltre il 20 per cento), 43enne ex delfino di Nestor che si è poi reso indipendente spostandosi a destra (capeggia il Frente Renovador). Ipotesi però molto incerta, nonostante gli abboccamenti segreti fra i due leader dell’opposizione, anche perché Massa è nato e cresciuto nel brodo di coltura del giustizialismo.

Scioli, per il peronismo di sinistra al potere, ha il tallone d’Achille di un esordio in politica da neoliberale (sotto le insegne di Carlos Menem) e di un’ostentata indipendenza durante gli anni del kirchnerismo che pure sposò (è stato vicepresidente sotto Nestor). Cristina ha deciso di puntare su di lui per mancanza di credibili alternative. Ha preferito sacrificare l’ideologia convincendo il fido Felicio Randazzo, ministro dei Trasporti, a non candidarsi alle primarie.

E Scioli ha accettato il compromesso imbarcando nel team come vice Carlos Zannini (uno dei principali collaboratori di Cristina), consapevole che le sorti elettorali sono legate alla popolarità ancora salda della presidenta (40 per cento). Zannini, ex maoista cresciuto all’ombra di Nestor, è un uomo di apparato. Farà il badante di Scioli per conto di Cristina, ironizzano dall’opposizione. Lui respinge le accuse: «La nostra ricchezza è l’unità nella diversità». Ed ecco comparire i volti sorridenti della Kirchner e Scioli sullo stesso manifesto per dare il segno della “trasformazione nella continuità”.

Scioli è l’ennesima reincarnazione del peronismo. Una dottrina populista che compie 70 anni, in cui il leader conta più del partito. E, dopo la caduta della dittatura militare nel 1983, è stata al potere ininterrottamente con due eccezioni (i governi radicali di Raúl Alfonsín e di Fernando de la Rua). Prima nella versione iperliberista di Carlos Menem e poi, dopo il disastro del corralito (2001), in quella socialisteggiante appoggiata dai sindacati dei coniugi Kirchner. Che in un mix di nazionalismo e di autoritarismo ha conquistato le fasce meno protette e l’esercito del pubblico impiego con il rafforzamento del welfare e i sussidi a pioggia nelle villas miserias.

Senza però riuscire a trasformare un’economia nella prima decade del 2000 di nuovo emergente (grazie soprattutto alle massicce vendite di soia alla Cina) in una potenza regionale. Scontando, anzi, l’eccesso di autarchia con un’inflazione fuori controllo (40 per cento) e la difficoltà di stimolare investimenti dall’estero causati dai controlli sui movimenti di merci e capitali e sul mercato valutario. Con il risultato, come sostiene il premio Nobel per l’economia Paul Samuelson, che l’Argentina è l’unico Paese ricco di materie prime che continua a essere povero. Senza però rendersene del tutto conto. «Perfino i critici di Cristina», secondo l’opinionista de “La Nación” Joaquín Morales, «si sono assuefatti ai vantaggi effimeri del populismo».

Con Scioli (trascorsi da imprenditore) il pendolo dovrebbe spostarsi verso il centro. Cristina cercherà di prolungare la sua influenza circondandolo di fedelissimi. Lui ha però troppa personalità per farsi ingabbiare. Miguel Bein, il suo guru finanziario, ha già tracciato la rotta: «L’Argentina, che doveva combattere povertà e esclusione, per crescere ha dovuto distribuire. Ora bisogna invertire la marcia: crescere per distribuire».

Scioli, sposato con l’ex modella Karina Rabolini, una figlia nata da un rapporto extraconiugale e riconosciuta solo alla maggiore età, laureato in marketing, sceso in politica nel ’97, ha dovuto superare due grossi traumi. Nel ’77 il sequestro del fratello minore Josè ad opera dei montoneros concluso con il pagamento di un riscatto. E nell’89 la perdita del braccio destro a causa di un’onda anomala che rovesciò la sua barca durante una gara nel fiume Paranà. Incidente che non gli impedì di tornare a competere e vincere grazie all’innesto di una protesi.

Mauricio Macri si rivolge agli scontenti, promettendo di restituire indipendenza alla magistratura, alla Banca Centrale e all’Agenzia Statistica Nazionale. Ma ammicca anche ai giustizialisti non allineati andando a inaugurare la prima statua di Juan Domingo Perón al fianco del sindacalista Hugo Mojano, suo avversario storico. Contrariamente ai kirchneristi è favorevole a un accordo rapido con i creditori internazionali (i mercati fanno il tifo per lui). Ha dalla sua l’immagine vincente di ex presidente del Boca Juniors (17 titoli in dodici anni) e una grande solidità finanziaria. È titolare di un impero che spazia dall’edilizia alla comunicazione, dall’industria mineraria alle automobili. Nel ’97 fu sequestrato e liberato dopo 12 giorni. Controverso il suo bilancio da sindaco di Buenos Aires. Apprezzati i programmi nel pubblico trasporto. Contestati i licenziamenti, i tagli alla sanità, la creazione di una polizia metropolitana. È sposato in seconde nozze con Juliana Awada, imprenditrice del ramo tessile, e ha 4 figli.

Anche Massa ha in mente di ribaltare il tavolo. Nel suo programma c’è la riforma del codice penale e di quello civile, del sistema universitario e di quello tributario. Avvocato, sposato con Milena Gelmarini (due figli), è sindaco di Tigre (comune a Nord della capitale). Ex pupillo di Nestor che lo aveva nominato suo braccio destro nel governo, dopo il voltafaccia fu bollato come traditore. Ha forti appoggi nell’ambasciata Usa. Ma oggi la sua stella si è un po’ appannata.

Intanto Cristina (62 anni) continua a governare come se non fosse in scadenza di mandato. Ha acquistato dal Cremlino 12 cacciabombardieri per alzare la voce con Londra sulla sovranità delle Malvinas. Ha ottenuto da Pechino un prestito di otto miliardi di dollari in cambio della fornitura di prodotti agricoli. Nel maggio scorso ha inaugurato un faraonico centro culturale intestato a Nestor. E guarda lontano, scaldando i muscoli per il 2019 al figlio Maximo. Che oggi ha 38 anni e controlla la Campora, un movimento giovanile ben radicato. Se un giorno Maximo scalerà il vertice, il volto del peronismo subirebbe un’altra metamorfosi: diventerebbe dinastico.

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