Ai tempi di Bin Laden, il mondo arabo guardava al Qaeda con simpatia. Oggi è diverso. E anche tra i musulmani sta crescendo una classe media stanca di guerra. L'opinione di un grande intellettuale francese

parigi fiori
Ci diciamo tutto o quasi. Da quando vado in quel negozietto di alimentari tunisino, a tarda ora, a prendere il pacchetto del caffè che mi è finito o la bottiglia di scotch che mi aiuterà a portare a termine l’articolo, siamo diventati amici, e sabato sera era un vulcano in eruzione.

«Quei tipi, quei bastardi, quei coglioni, quegli assassini che ci coprono di vergogna, li farei a pezzi! Ah, parola mia, se Hollande volesse ristabilire la tortura e la pena di morte, io lo appoggerei!». I figli approvano con lo sguardo. Tutte le generazioni d’accordo, in questa famiglia conservatrice e religiosa che alle elezioni tunisine del 2011 aveva votato per gli islamisti di al-Nahda e adesso vuole "ammazzarli tutti e subito".

Una bella differenza dal gennaio scorso.

Quando c’è stato l’attentato a "Charlie Hebdo", pochissimi musulmani di Francia avevano approvato gli omicidi ma… non lo dicevano, o comunque lo dicevano di rado. "Charlie" aveva fatto la caricatura del Profeta, insultato la fede, sbeffeggiato l’Islam. Probabilmente i suoi vignettisti non meritavano la morte, no, ma di qui a dire "Je suis Charlie", di qui a condannare i loro assassini, c’era un passo che molti non si sentivano di fare perché - come si leggeva sui giornali e si sentiva all’uscita dei licei dei sobborghi - la religione è sacra.

Da venerdì, su Internet non si vede niente del genere. Lo Stade de France, il decimo e undicesimo arrondissement di Parigi, il mitico Bataclan dove suonano i gruppi più moderni, si possono anche non frequentare. Troppo cari, troppo lontani, troppo parigini per un ragazzino dei sobborghi, ma non per questo fanno parte dei luoghi di cui i profiler scartano i giovani arabi. Al contrario, sono luoghi di aggregazione mista, dove si mescolano giovani di ogni estrazione, tutti vestiti allo stesso modo e tutti che condividono lo spirito del tempo.

Gli attentatori di venerdì se la sono presa molto esplicitamente con questi "luoghi di depravazione", mescolando la loro conoscenza di Parigi con la missione di uccidere, e questo no, non è più accettabile per i musulmani di Francia che per il resto della popolazione. Questo è ripugnante per tutti, musulmani compresi, e quei bersagli troppo ampi, troppo giovani, troppo innocenti di tutto, troppo rappresentativi di una Francia mista dove l’odio razziale è, di fatto, profondamente assente; è un grosso errore da parte di Daesh.

La Francia ha paura, certo. Non c’è bisogno di essere esperti di terrorismo o di relazioni internazionali per sapere che potrebbero seguire altri attentati e che quelli di venerdì sarebbero potuti essere dieci volte peggio se quello allo Stade de France non fosse andato storto. Impossibile, in queste condizioni, ritrovare la spensieratezza di un paese dove la sicurezza tra i tavolini all’aperto dei caffè era data per scontata come l’acqua corrente. La Francia è segnata. Anche nelle terre dell’Islam la gente è sconvolta per la sua ferita, ma questi attentati significano che il jihadismo potrebbe essere in fase ascendente e il pericolo starebbe aumentando?
La risposta è no.

Al di là dell’orrore e dello sgomento del momento, per poco che si riesca a salire di quota e guardare oltre, la realtà è che il jihadismo non può andare da nessuna parte se non contro un muro.

DAI "FRATELLI" A OSAMA
Niente fraintendimenti, però! Ancora per un po’, e certo troppo a lungo, continuerà a reclutare, a colpire e a uccidere. La sua morte non è in programma per domani. Ma risaliamo indietro negli anni.

L’islamismo nasce all’inizio degli anni Trenta con la creazione dei Fratelli musulmani in Egitto, un movimento il cui successo folgorante si sarebbe presto diffuso in tutto il Medio Oriente, allora dominato dalle potenze coloniali. Per i suoi promotori, lo scopo non era certo di uccidere tutti e dichiarare guerra all’Occidente, bensì di riaffermare l’identità delle nazioni arabe e di rafforzarne i legami nella religione, la loro identità comune.

I Fratelli non volevano saperne del comunismo, del socialismo o del liberalismo e di nessuna di quelle ideologie occidentali. Volevano ritemprare lo spirito del mondo arabo nell’Islam per restituirgli la forza e lo splendore dei primi secoli musulmani. Ed è così che sono diventati la maggiore forza politica del Medio Oriente, perseguitati da tutte le dittature arabe, prosovietiche o proamericane, e hanno beneficiato sia dello sradicamento dei democratici e dei comunisti da parte dei governi al potere, sia dell’aura che gli conferiva la repressione di cui erano oggetto.

Il movimento dei Fratelli musulmani sarebbe potuto restare così com’era alla nascita, religioso e lontano dalla violenza, se i sovietici non avessero invaso l’Afghanistan e se gli americani non avessero allora deciso di opporgli delle brigate musulmane reclutate in tutto il mondo arabo con le finanze dei sauditi.

Battuta l’Urss, i combattenti sono rientrati nei loro paesi, ebbri per la vittoria e convinti che a vincere "il piccolo Satana" fosse stata la "vera fede" di cui avevano portato lo stendardo e ben decisi a rovesciare ora i regimi arabi "corrotti" e "il grande Satana", cioè gli Stati Uniti.

Arrivarono Bin Laden, al Qaeda e l’11 settembre. Arrivò l’apogeo di quello che oggi chiamiamo "islamismo" perché l’abbattimento delle Torri gemelle aveva profondamente affascinato tutta una parte del mondo arabo. Era la rivincita su otto secoli di eclissi, un’anticipazione della rinascita islamica e dell’ascesa di una multinazionale terrorista la cui impresa ideologica era paragonabile, per vastità, a quella avuta dal comunismo, ma al Qaeda ha fallito.

Al Qaeda è stata vinta perché ha suscitato, contro di sé, la più ampia cooperazione tra servizi segreti della storia. Al Qaeda è stata seppellita con Bin Laden, anche se in realtà la sua morte ha preceduto quella del suo fondatore perché la follia delle reclute le aveva spinte a fare più vittime tra i musulmani "apostati" o tiepidi che tra i "giudeo-cristiani".

L’INIZIO DEL DECLINO
Il mondo arabo ci ha messo qualche anno a ripudiare la follia sanguinaria di al Qaeda. Le rivoluzioni arabe del 2011 sono state democratiche e per niente islamiste. Quelli tra gli islamisti che hanno portato al potere erano i Fratelli di una volta, dei conservatori reazionari e non dei jihadisti, sempre più influenzati, oltretutto, dalla strategia democratica e dal successo dei cugini turchi.

Si stava voltando pagina ma, per contrastare l’insurrezione democratica che lo minacciava, nell’estate del 2011 Bashar al-Assad ha pensato bene di scarcerare i più fanatici tra gli islamisti siriani. E il calcolo era giusto. Appena usciti di prigione, quegli uomini, cui l’esercito siriano lasciava completa libertà d’azione, si sono scagliati contro l’insurrezione, contro quei miscredenti, contro quegli apostati sostenuti dai "crociati" occidentali.

Peggio ancora, si sono velocemente alleati con i vecchi ufficiali di Saddam Hussein, sunniti come loro e cacciati via dall’esercito, in quanto sunniti, dalla maggioranza sciita che l’intervento americano aveva messo al comando a Baghdad. Nacque così lo "Stato islamico dell’Iraq e del Levante", Daesh, la cui ambizione è di creare un nuovo Stato sunnita a cavallo tra l’Iraq e la Siria e che recluta nelle periferie europee, e soprattutto francesi, dei giovani smarriti alla ricerca di una ragione di vita per farne dei kamikaze.

Daesh si è diffuso in Libia, nel Sahel e fino al Sud-Est asiatico. Con una crudeltà ancora più dissennata di al Qaeda, Daesh è una minaccia spaventosa ma - oltre a non aver mai affascinato il mondo arabo quanto al Qaeda, oltre ad avere ambizioni non messianiche ma territoriali, oltre al fatto che il mondo arabo è stanco della violenza jihadista e che le sue classi medie aspirano a uno Stato di diritto - ormai ha raggiunto i suoi limiti.

VERSO LA RESA DEI CONTI
Con il sostegno da terra dei combattenti curdi, gli aerei della coalizione arabo-occidentale di cui ha suscitato la formazione ormai gli provocano perdite significative. Non solo farà sempre più fatica a conservare le posizioni militari, ma gli attentati di Parigi gli si stanno ritorcendo contro.

Perpetrati alla vigilia di due grandi riunioni internazionali, gli attentati hanno fatto precipitare il riavvicinamento sulla questione siriana accennato dalle grandi potenze in quest’ultimo mese. Non è più impossibile che si finisca per raggiungere un compromesso internazionale e regionale sulla Siria e, se questo si avverasse, presto Daesh potrebbe ritrovarsi solo davanti al resto del mondo.

Espansione e lento declino, la storia di Daesh ripete quella di al Qaeda mentre la massa dei musulmani d’Europa continua a europeizzarsi, a integrarsi in un mondo che, di generazione in generazione, come per tutti gli immigrati di tutte le epoche, diventa sempre più il loro, lontano dalle convulsioni dei mondi arabi. Tolta la tortura - e non è detto… - la reazione del negoziante tunisino è quella della Francia, della nazione a cui appartengono i suoi figli.

traduzione di Elda Volterrani