Passata la grande paura, per impedire un’ulteriore avanzata dell’estrema destra sta nascendo l’idea di una formazione unica dei socialisti e dei liberali
“Sono stanco” diceva un ex primo ministro della destra francese poco prima che il confluire a destra dei voti della sinistra privasse l’estrema destra di almeno una vittoria alle elezioni regionali. «Sono stanco di esaltare le mie differenze rispetto alla sinistra moderata, quando in verità le sono molto più vicino che non alla destra del mio partito» diceva, prima che il Front National raccogliesse, malgrado la sconfitta, il record storico di ben 6 milioni e 800 mila voti.
Era a pranzo con un giornalista suo amico e, cogliendo di sorpresa il suo interlocutore, ha battuto più volte sullo stesso tasto: «Come potrei sentire di appartenere ancora alla stessa famiglia di Sarko, che fa di socialisti ed estrema destra uno stesso fascio? E come potrei, al contrario, non trovarmi più vicino a Valls, Macron o, addirittura, Hollande?».
“Valls” è Manuel Valls, l’incarnazione della destra del Ps (partito socialista) e attuale capo del governo. “Macron” è Emmanuel Macron, ministro dell’Economia, 37 anni, ex banchiere d’affari, moschettiere del liberalismo di sinistra e pupillo di François Hollande che lo incoraggia, di nascosto, a infrangere tutti i tabù della sinistra francese. Quanto a “Sarko”, ovviamente, è Nicolas Sarkozy, ex presidente della Repubblica che crede che la destra potrà ritornare al potere soltanto facendo propri i grandi temi dell’estrema destra, la sicurezza, l’identità nazionale e l’immigrazione.
«Non è immorale» votare per il Front National, ha pensato di dover dichiarare Nicolas Sarkozy in un comizio elettorale, e queste parole, l’acme di una radicalizzazione di una parte della destra francese e del suo elettorato, segnano una fase politica che potrebbe benissimo annunciare grandi sconvolgimenti in Francia. Fino all’inizio di questo secolo, la sinistra e la destra francese avevano una particolarità non riscontrabile altrove in Europa. Almeno a parole, la sinistra non aveva mai preso del tutto le distanze dalla retorica rivoluzionaria e dall’anticapitalismo. La sinistra era socialista e non socialdemocratica, era una sinistra di rottura e non di compromesso, mentre la destra era gollista, con un piede a sinistra e uno a destra, perché la collaborazione del regime di Vichy con gli occupanti nazisti aveva disonorato in maniera duratura l’estrema destra e la destra più dura.
La Francia era più a sinistra del resto d’Europa perché la sua destra e la sua sinistra si vantavano di avere un patrimonio comune, quello della Resistenza, ma questa parentela era così profonda da aver generato paradossalmente un’altra particolarità tutta francese. Dato che avrebbero potuto intendersela molto più facilmente che in qualsiasi altro Paese europeo, destra e sinistra in Francia si sono sentite obbligate ad affermare l’irriducibilità delle loro differenze e a precludersi qualsiasi ravvicinamento reciproco, seppur piccolo o congiunturale.
In Francia, “compromesso” voleva dire e vuole ancora dire “compromissione”. Emarginati fino all’inconsistenza, i centristi erano derisi da entrambi gli schieramenti e la vita politica francese era, e ha continuato a essere fino adesso, un teatro delle apparenze, la messa in scena di differenze sovradimensionate, l’allestimento scenico di una menzogna sempre più evidente, nel quale il Front National affonda le sue radici.
Non per nulla il suo fondatore, Jean-Marie Le Pen, amava tanto dare scandalo vantando i piaceri dell’Occupazione o riconducendo lo sterminio degli ebrei d’Europa a un “dettaglio della storia”. Quello, per lui, era un modo per affermarsi nelle vesti di unico oppositore del “sistema”, di prendere le distanze dalla sinistra e dalla destra denunciando la realtà delle loro convergenze nascoste che le sue provocazioni portavano alla luce perché destra e sinistra si indignavano all’unisono.
Estrema destra esecrata da tutti e guerra artificiale tra destra e sinistra: questo scenario francese sembrava immutabile, ma non ha resistito all’implosione sovietica e alla grande svolta mondiale degli anni Ottanta: ecco, da qui dobbiamo riprendere.
Dopo la caduta del muro di Berlino, non siamo usciti soltanto dalla stabilità della Guerra fredda. In venticinque anni, il mondo arabo-musulmano si è risvegliato in un caos indescrivibile e nuove potenze hanno messo in discussione cinque secoli di predominio occidentale. L’effetto combinato di informatizzazione e delocalizzazione in direzione dei Paesi emergenti ha ridotto inesorabilmente il numero dei posti di lavoro nei paesi sviluppati. Il modello europeo di welfare sociale non ha smesso di compiere passi indietro, perché la concorrenza internazionale è più vivace e il capitale non è più pronto alle medesime concessioni come ai tempi del comunismo. Guardando verso il Pacifico, gli Stati Uniti hanno lasciato l’Europa senza difesa, e il terrorismo jihadista adesso è arrivato a colpire nei cinque continenti, prima di tutto in Europa.
Alla guerra fredda è subentrata l’epoca della paura. E la paura che contiene tutte le altre paure, la paura dell’immigrazione musulmana, ormai assilla tutta Europa. È per questo motivo che l’estrema destra sta rinascendo in tutta l’Unione, ma questa sua rinascita è particolarmente spettacolare e inquietante in Francia, perché il socialismo della sua sinistra e la tradizione statista della sua destra hanno ostacolato entrambe, più che da qualsiasi altra parte in Europa, impedendo loro di raccogliere la sfida di questo cambiamento epocale.
In Francia, la destra è rimasta allergica al liberalismo, mentre la sinistra restava storicamente incapace di prefigurare i nuovi compromessi sociali che la socialdemocrazia tedesca e quella scandinava hanno saputo negoziare per tempo. La Francia è rimasta ferma a un passato ormai andato e lo è a maggior ragione da quando il Front National è riuscito a diventare imprescindibile e a inibire, a destra come a sinistra, qualsiasi ardito slancio riformatore, ergendosi a salvaguardia dei più indifesi e del rispetto delle conquiste sociali del dopoguerra, del protezionismo e dell’uscita dall’Unione europea, di quella che sarebbe bene chiamare una forma di nazionalsocialismo assai vicina agli inizi del fascismo italiano.
La Francia è in stato d’emergenza economica e politica, non soltanto della sicurezza. È per questo che, a partire dalla metà del suo mandato, François Hollande ha totalmente cambiato passo. È per questo che, senza osare garantire e ancor meno riconfigurare la sua maggioranza, questo presidente di sinistra ha dato adesso priorità assoluta al ristabilimento della competitività delle aziende francesi. È per questo che un ex primo ministro di destra può ora sentirsi così vicino ai socialisti, è per questo che tanti personaggi di primo piano a sinistra come a destra aspirano con sempre maggiore chiarezza a far nascere una grande coalizione riformatrice, ed è per questo che François Hollande si prepara a giocare questa carta.
Sicuramente non lo dirà tanto presto, ma se il presidente francese ha voluto che la sinistra si ritirasse e lasciasse vincere la destra in tutte le regioni che l’estrema destra poteva conquistare al secondo turno elettorale di domenica 13 dicembre, è perché si accinge a ripresentarsi nel 2017 non soltanto come un baluardo contro il Front National, ma anche come il federatore dei moderati di destra e di sinistra - l’artefice di un restyling completo dello scacchiere francese. La strategia di François Hollande consiste tutta nel cercare di accelerare la spaccatura della destra, per isolare Nicolas Sarkozy e prendere in mano le redini di una nuova maggioranza, di un partito democratico all’americana che si contrapponga a un partito repubblicano slittato a destra come negli Stati Uniti.
Ne avrà ancora il tempo? Certezze non ve ne sono, ma non è impossibile. Le tradizioni politiche francesi e la logica di uno scrutinio maggioritario che favoriscano il mantenimento di schieramenti politici anacronistici giocano contro questa ambizione. È difficile procedere a una rottura nei confronti di una storia che è quella della Francia e dei suoi partiti, e tuttavia questa necessità è sempre più sentita dai moderati di destra e di sinistra, l’elettorato aspirava proprio a questo risultato, e l’argomento del restyling dello scacchiere francese, domenica sera, permeava tutti i dibattiti successivi al secondo turno delle regionali. In Francia cova una rivoluzione, ma, almeno per il momento, ha le stesse possibilità di fallire e avere successo.