“Siamo tra i pochi a poter dialogare con la gioventù perduta delle banlieu”. Parla Najib Azergui, il leader del partito musulmano di Francia. Che si presenta alle prossime elezioni

banlieue
Dopo Charlie Hebdo non siamo riusciti, come francesi, a compattarci, a creare un’unità nazionale. Non ci si è chiesto, davvero e nel profondo, a tutti i livelli, come mai dei figli della République, nati e cresciuti in Francia hanno scelto l’orrore e compiono massacri... Parla Najib Azergui, origini franco-marocchine, fondatore e segretario nazionale dell’Udmf, l’Unione democratica dei musulmani di Francia, il partito nato tre anni fa, nel novembre del 2012, che si presenta per la prima volta alle elezioni, le regionali in due turni in programma i prossimi 6 e 13 dicembre. Cioè in un momento molto delicato, a ridosso del massacro di Parigi del 13 novembre scorso. Najib insiste sul fatto che, nonostante la carneficina di gennaio in Francia «non ci si è posti le domande giuste».

Najib Azergui
Najib Azergui, quali sono le “domande giuste” che la società francese non si è posta?
«Proprio poco tempo fa Nadine Morano (partito dei Repubblicani, la destra di Sarkozy, ndr) ha fatto dichiarazioni incredibili: “La Francia è un paese di razza bianca dalle radici cristiane. Non voglio che la Francia diventi un Paese musulmano, i musulmani che si trovano in Francia devono limitare la loro propaganda”. Sono frasi scioccanti, che feriscono e che vengono dalla bocca di un ex-ministro, un’eletta della Repubblica. Dopo gli attentati del 13 novembre ci sono dei “piromani della Repubblica” che sostengono che bisogna chiudere le moschee, i luoghi di culto. Ancora una volta non ci si pone le domande giuste. Non si parla di dignità nazionale. Non si dice che i cittadini di origine musulmana sono cittadini come gli altri. Li si considera persone a parte. Non credo che tutto questo porti il nostro Paese nella giusta direzione, anzi creerà purtroppo terreno fertile per la radicalizzazione dello scontro. L’estremismo da una parte e dall’altra si rafforza anche a causa dei propositi irresponsabili di certi politici. Ci sono molti sociologi o pseudo specialisti che parlano in tv e cercano di decrittare i fatti ma non conoscono nulla di certi quartieri a rischio e di quello che succede in quei luoghi. Noi dell’Udmf siamo forse gli unici a essere vicini a questi giovani che non si riconoscono né in un’identità francese né in quella dei Paesi d’origine delle loro famiglie. È una gioventù sperduta e smarrita. Bisogna dare loro dei punti di riferimento per permettergli di ritrovarsi, di ritrovare il loro senso dentro la nostra nazione. Sinora tutto questo non è stato fatto».

E voi cosa state facendo per contrastare il terrorismo?
«Un lavoro pedagogico. Cerchiamo di spiegare che siamo francesi e cittadini della Repubblica come gli altri. Quando organizziamo dibattiti, spieghiamo cos’è la Repubblica, cos’è la laicità. Al contrario di quanto sentiamo dire in giro, la laicità secondo noi non è uno strumento contro le religioni ma un principio che serve a lottare contro le discriminazioni e le ingiustizie, per proteggere le persone e le loro libertà individuali, fondamentali e di fede. Le istituzioni devono essere neutre in materia di religione. E il cittadino ha invece il diritto di mostrare la sua fede in pubblico e in privato, come è previsto dalla Costituzione e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo».

I giovani che incontrate come reagiscono a questo discorso?
«I giovani ribattono che da troppo tempo subiscono ingiustizie. E che si sentono insultati e umiliati da dichiarazioni come quelle di Morano. La quale non è la sola. Prima c’erano state le uscite di Claude Guéant, segretario generale della presidenza della Repubblica durante l’era Sarkozy, di Christian Estrosi, sindaco di Nizza, di Robert Ménard, il sindaco di Béziers eletto coi voti del Front National di Marine Le Pen. Ogni giorno porta la sua dose di insulti. Se si continuano a tenere certe posizioni si fa il gioco di chi vuole il terrore. In certi quartieri ci sono giovani che si sentono perduti. Quando c’è qualcuno che va in questi luoghi e dice “Che fate qui? Vi insultano da anni, vi umiliano, bisogna prendere le armi” purtroppo trova terreno fertile per fare del proselitismo».

Avrete, si spera, degli argomenti con cui ribattere.
«Insistiamo sulla coesione nazionale, sulla necessità di vivere insieme e di costruire insieme il futuro. Che è poi il nostro obiettivo. I nostri valori quelli di dignità e di unità. Se si continua a dire che il problema sono i musulmani e bisogna chiudere le moschee si ottiene l’effetto contrario e si crea il terrorismo. Dobbiamo fare fronte comune contro il terrorismo. Chi è stato colpito il 13 novembre? La nazione. Sono morti musulmani, cristiani, ebrei. Tutta la Repubblica è stata colpita. Alcuni, come si sente dire da giorni, vorrebbero che i musulmani si scusassero: mi sembra un’offesa, un insulto insopportabile. Quello che è successo mi ha scioccato come persona, come cittadino, come padre di famiglia. Non come musulmano ma come essere umano».

La coesione nazionale che lei invoca ha bisogno di tempo per essere costruita. Non si crea dalla sera alla mattina. Nell’attesa, dobbiamo rassegnarci a vivere in questa situazione precaria, con la sicurezza di tutti costantemente a rischio?
«È necessario avere una vera visione proiettata verso il domani, il futuro. E contemporaneamente proteggere tutti i cittadini. La classe politica, dal presidente François Hollande al primo ministro Manuel Valls, dalla maggioranza all’opposizione, dovrebbe percorrere l’ideale dell’unità in una situazione eccezionale. Purtroppo dopo il 13 novembre non è successo e sono cominciati, da subito, i distinguo. Peccato. Perché di unità ci sarebbe grande bisogno. Oggi più di ieri: la realtà peggiora ogni giorno».

I musulmani dovrebbero essere i primi a condannare con fermezza gli attentati, a impedire che i fondamentalisti possano trovare seguaci, a isolarli...
«Ricordo che in Francia la maggior parte dei musulmani è perfettamente integrata, partecipa attivamente alla vita economica e politica del Paese. Poi c’è una piccola parte che si è radicalizzata. Il problema è che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, non mettere insieme Islam e terrorismo. È questa sovrapposizione ingiusta che sta provocando uno squilibrio nella società. Perché si tramuta in una forma di odio indiscriminato. Evitiamo di trovare dei responsabili dove non ci sono. La maggior parte delle moschee in Francia fa un lavoro di prevenzione, pedagogico: non puntiamogli il dito contro come invece succede dall’inizio del 2015, cioè dalla carneficina di Charlie Hebdo. Gli atti di intolleranza contro gli islamici e le moschee sono aumentati, sono letteralmente esplosi in Francia. E questo non fa altro che ingigantire l’odio. Ci sono francesi che hanno paura di ciò che rappresenta l’Islam e lo attaccano o colpiscono chi ci crede, pensando di commettere dei gesti patriottici. Invece dobbiamo tenerci per mano, tutti insieme: sono i nostri figli che sono morti, le nostre donne. È il Paese intero che è in lutto».

A febbraio volevate presentare delle vostre liste alle elezioni amministrative ma avete desistito anche a causa delle minacce contro vostri candidati. Era poco dopo Charlie. Ora invece avete deciso di essere in lizza alle regionali di dicembre. Cosa è cambiato da allora?
«Ci presentiamo nell’Ile de France, la regione di Parigi, dove siamo un po’ ovunque. Ci sono 225 persone che fanno campagna per noi. Il nostro motto è “Fare insieme un’Ile de France che ci somigli”. Perché non è solo questione di vivere insieme ma di agire insieme. Il nostro capolista è Nizzarr Bourchada (in precedenza già in politica con il partito centrista Unione dei democratici, ndr). In questi mesi abbiamo lavorato, abbiamo arricchito la nostra esperienza e a noi si sono aggiunte persone che possono aiutarci con la loro competenza. Siamo un partito più forte rispetto a febbraio, c’è un nuovo dinamismo. E siamo tra i pochi partiti che possono andare nei quartieri caldi, difficili, precari, a parlare di politica. Bisogna agire e non essere spettatori. Ma agire, intendo, da cittadini: stiamo ridando voglia di mettersi in gioco a una fetta consistente di popolazione».

Quanti iscritti avete e quale risultato pensate di raggiungere?
«Il numero di simpatizzanti in tutta la Francia è aumentato. Su Facebook sono in seimila quelli che ci seguono. Quanto agli iscritti, sono 1200 quelli che pagano la quota di 20 euro. Certo, non è un gran numero per un partito politico ma siamo giovani, abbiamo solo tre anni di vita. Sul territorio c’è una crescente attesa per il nostro lavoro. Ed è ciò che conta veramente. Speriamo che al primo turno delle regionali ci siano molte schede con contrassegnato il simbolo dell’Unione democratica dei musulmani di Francia».