Mentre l'Is recluta anche nel paese africano giovani volontari per il Califfato, il generale si preparara ad essere rieletto presidente nel voto di questi giorni. Con una novità: la ricerca dell'appoggio di americani e sauditi, per puntellare il suo potere messo a dura prova dalla secessione del Sud Sudan

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Fino a due anni fa, quando andava a scuola in Inghilterra, Tasneem Hussein indossava jeans e vestiva all’occidentale. Ma poi era tornata a Khartoum per iscriversi all’Università di scienze mediche, fiore all’occhiello del regime di Omar Al Bashir, il generale golpista che tra lunedì 13 e mercoledì 15 aprile sarà rieletto presidente nonostante un mandato di cattura della Corte penale internazionale.

Nella capitale sudanese le amicizie e le abitudini di Tasneem sono cambiate rapidamente. Ha cominciato a portare il niqab, il velo nero che copre anche il volto. Finché una sera del mese scorso al padre, un professionista che vive in un quartiere benestante di Khartoum, è arrivato un sms. Direttamente dalla Siria. Insieme con otto compagni di corso, Tasneem ha preso un volo per la Turchia e poi ha attraversato la frontiera. L’ipotesi è che ora gli studenti lavorino come volontari negli ospedali del “califfato” proclamato dallo Stato islamico in Siria e in Iraq.
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“Quei ragazzi dovrebbero stare all’università, il nostro compito è riportarli a casa” ha detto il ministro sudanese Mostafa Othman Ismail, identificando lo Stato islamico con il termine “Daesh”, acronimo arabo con una connotazione dispregiativa. Ma l’atteggiamento delle autorità di Khartoum non è stato sempre lineare. Lo testimonia anche l’Università di scienze mediche, quella dove studiava Tasneem. Fu fondata dal ministro Ma’amoun Houmeyda, esponente di spicco del Movimento islamico, un’organizzazione politico-religiosa che ormai da 25 anni sostiene Bashir e il suo governo fondato sulla “sharia”. Nell’ateneo fa proselitismo Civiltà islamica, un gruppo studentesco che denuncia l’oppressione dei musulmani dalla Palestina alla Siria. Un suo rappresentante, Mohammed Al Jizouli, è stato arrestato pochi mesi fa dopo aver chiesto agli studenti di lasciar stare i libri e scegliere il “martirio”.

Le manette sono scattate in un momento delicato per il Sudan, un paese in cerca di nuovi equilibri dopo aver dovuto prendere atto della secessione del Sud ed essere stato sfiorato dalle Primavere arabe. E che ora, chiusa la parentesi dei Fratelli musulmani al potere in Egitto, volge lo sguardo ai suoi (ex) nemici: Washington e Riyad.

Il cambiamento è apparso evidente a febbraio, con una visita negli Stati Uniti di un consigliere di Bashir. Una prima assoluta, seguita dalla revoca di parte delle sanzioni americane imposte nel 1997 nei confronti di Khartoum con l’accusa di sostenere il terrorismo. Da qualche giorno, in Sudan si possono acquistare smartphone e laptop della Apple. Una novità non da poco visto il curriculum di Bashir: dall’ospitalità offerta negli anni ’90 a Osama bin Laden a un complotto per uccidere Hosni Mubarak, fino alle forniture di armi alle milizie islamiste dopo la caduta di Muammar Gheddafi in Libia. L’ultima virata di Khartoum, dopo una fase di avvicinamento all’Iran con tanto di esercitazioni militari degli ayatollah in riva al Mar Rosso, è verso l’Arabia Saudita. Lo ha confermato questo mese la decisione di appoggiare l’intervento guidato da Riyad in Yemen contro gli Houthi, i ribelli sciiti sostenuti da Teheran.


Attraverso il dialogo con americani e sauditi, Bashir prova a puntellare un potere messo a dura prova. Più che dai conflitti civili nelle regioni di frontiera, Darfur, Monti Nuba e Nilo Blu, dalla secessione del Sud Sudan di quattro anni fa. In un colpo solo Khartoum ha perso tre quarti dei pozzi di petrolio, la ricchezza nazionale. Ci sono stati tagli ai sussidi pubblici e proteste di piazza, l’intervento dell’esercito e 200 morti in pochi giorni. Niente di strano se oggi, con gli oppositori che entrano ed escono dal carcere e 14 “sfidanti” uno più sconosciuto dell’altro, invece che delle elezioni Bashir si preoccupi di un debito estero da 43 miliardi di dollari e dell’oro nero. Autorizzando 253 progetti di prospezione proprio in Darfur, dove è accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Ultimo oltraggio alla Corte penale internazionale e alle vittime.