Se il partito dell’etnia rivale entrerà in Parlamento dopo le elezioni del 7 giugno, gli sarà difficile trasformare la Turchia in Repubblica presidenziale

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LE ELEZIONI DEL 7 GIUGNO in Turchia sono molto importanti e avranno un peso decisivo. La posta in gioco non è solo la conquista del maggior numero di seggi. I risultati sono infatti scontati: l’Akp (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) che governa la Turchia dal 2002 otterrà il più alto numero di parlamentari. I due principali partiti di opposizione, il socialdemocratico Chp (Partito Repubblicano del Popolo) e l’Mhp (Partito di Azione Nazionale) dovrebbero attestarsi, rispettivamente, al di sotto del 30 e del 20 per cento, secondo i sondaggi. Ma per la prima volta l’opposizione sfida il partito di governo sul terreno delle condizioni economiche proponendo programmi alternativi anziché contestarlo sul piano ideologico e delle scelte di stili di vita.

L’AKP otterrà probabilmente la maggioranza dei seggi per governare da solo. Ma se emergerà un parlamento con quattro partiti potrebbe anche darsi che si formi un governo di coalizione. Il risultato del quarto partito principale, il pro-curdo Hdp (Partito democratico del popolo) sarà dunque il fattore chiave. Se riceverà abbastanza voti per superare l’iniqua soglia di sbarramento del 10 per cento, il corso della politica potrebbe cambiare. Con la presenza in parlamento di questo partito, l’Akp non disporrebbe di un numero sufficiente di seggi (330) per modificare la Costituzione da solo e indire un referendum.

La trasformazione della Turchia in una Repubblica presidenziale, sognata da Recep Tayyip Erdogan, dipende dunque dall’Hdp. E siccome il presidente non vuole lasciare il futuro al caso, si è gettato nella mischia con una campagna forsennata. Insoddisfatto dell’operato del primo ministro Ahmet Davutoglu, ha lanciato il messaggio direttamente alla base. La sua propaganda elettorale punta sulla denigrazione dell’Hdp come partito terrorista a causa dei suoi legami con il Pkk fuorilegge. Entrambi i partiti hanno in effetti la stessa base di massa e molti turchi si chiedono quanto l’Hdp sia realmente indipendente dal Pkk. Nella figura del leader dell’Hdp, il giovane, vivace e spiritoso Selahattin Demirtas, Erdogan ha trovato il suo pari come combattente politico.

DEMIRTAS È RIUSCITO a presentarsi non solo come uno dei leader del movimento nazionalista curdo, ma come un politico nazionale che parla a tutta la Turchia. E così ha potuto ottenere ascolto anche in collegi elettorali non circoscritti all’etnia curda. È dunque necessario per l’Akp evitare che i curdi religiosi, che costituiscono la metà dell’elettorato di questa popolazione, siano attratti dal leader dell’Hdp. Questi infatti sono stati a lungo fedeli all’Akp e hanno giustificato la sua pretesa di risolvere la questione curda nel quadro della solidarietà comunitaria islamica. Per non perdere il loro consenso, Erdogan è arrivato persino ad accusare Demirtas di empietà e di credere in religioni pre-islamiche.

Se l’Hdp riuscirà a superare la soglia di sbarramento, questo non porterà solo a un equilibrio di forze all’interno del Parlamento. Il movimento dei curdi avrà compiuto un passo da gigante verso la propria legittimazione.

IL SISTEMA PRESIDENZIALE ideale di Erdogan è quello in cui il governo non è condizionato dai pesi e contrappesi di un ordine fondato sul diritto e in cui il potere giudiziario e quello legislativo sono entrambi estensioni dell’esecutivo. Tutto il potere emanerà dalla presidenza e le voci di dissenso, nei media e altrove, verranno sempre più zittite. Come primo presidente della Turchia eletto dal popolo, Erdogan è restìo ad accettare un ruolo passivo. Ha ragione nel sostenere che la presidenza, secondo la Costituzione vigente redatta dai militari, assegna al capo dello Stato alcuni poteri esecutivi. Ma lui ne vuole di più. Così, nonostante la forte resistenza dell’opinione pubblica, persegue il suo obiettivo.

Se Erdogan vincerà, questo sarà in non piccola parte il risultato di una campagna elettorale poco corretta. Le risorse pubbliche sono state messe a disposizione delle autorità in carica e il presidente ha più volte tradito il suo giuramento assumendo una posizione politica e accusando l’opposizione. In queste condizioni, una vittoria che potrebbe assegnare all’Akp i 330 seggi necessari per modificare la Costituzione, sarebbe il preannuncio di un cambiamento di regime che porterebbe la Turchia lontano dai principi di uno Stato di diritto.

traduzione di Mario Baccianini