«Durante le trattative gli uomini dell'Is ci hanno detto che vorrebbero entrare nella Mezzaluna del petrolio prima del Ramadan». Il racconto dei capitribù che hanno negoziato la resa della città di Harawa, l'ultimo centro della costa libica occupato dallo Stato Islamico, rinforza i timori sulla nuova offensiva che il Califfato potrebbe lanciare dalla prossima settimana: un attacco contemporaneo in Iraq, Siria, Libia e forse anche nelle metropoli europee. Il mese del Ramadan comincerà il 17 giugno, una festività rispettata pacificamente da tutti i musulmani ma l'interpretazione di Al Baghdadi è che l'Islam vada imposto con le armi. Proprio un anno fa, negli stessi giorni la bandiera nera venne issata sulla città santa irachena di Mosul, proclamando la nascita del Califfato. E ora ci sono tutti i segnali per un'operazione globale.
L'allerta riguarda anche la Libia, dove i miliziani continuano a conquistare terreno. Martedì mattina hanno comunicato su twitter di avere preso il controllo della centrale elettrica di Sirte, uno degli impianti più importanti della zona costiera. E sabato era caduta Harawa, permettendo all'armata jihadista di unificare il dominio su una fascia sul litorale di quasi duecento chilometri: sulla strada principale sono stati subito creati numerosi posti di blocco, che perquisiscono tutti i veicoli e bloccano chi non dimostra di essere musulmano. Quello che è accaduto – stando alle denunce – a 86 migranti cristiani eritrei, arrestati pochi giorni fa lungo il tragitto per Tripoli.
In realtà, come confermano diversi media arabi, alle truppe del Califfato in questo momento non interessa il dominio delle città. Lo hanno ribadito gli stessi miliziani ai capitribù di Halawa, stando alle testimonianze raccolte dal sito Middle East Eye. Persino in alcuni quartieri di Sirte – dove la bandiera nera sventola sugli edifici pubblici da due settimane - ci sarebbero ancora nuclei armati legati ad Al Qaeda e nemici dell'Is. Probabilmente i fedeli di Al Baghadadi contano di acquisire il controllo totale della popolazione in un secondo momento, come è accaduto in Iraq, in Siria e nel capoluogo di Derna, proclamata capitale del Barka Wilayet, ossia la provincia cirenaica dello Stato Islamico.
La loro strategia militare è chiara e sembra ispirarsi alle idee di Erwin Rommel: nel deserto si combatte come in mare. I battaglioni jihadisti si sono impossessati di basi sicure e capisaldi lungo le linee di comunicazioni, da cui vanno all'assalto per occupare impianti fondamentali – centrali elettriche e idriche – ma l'obiettivo finale punta all'attacco contro le installazioni petrolifere: la Mezzaluna libica del bacino della Sirte, che custodisce il 70 per cento delle riserve di idrocarburi del paese.
Oggi l'avamposto dell'Is è quello di Nufaliya, lontana solo cinquanta chilometri dal terminal di Es-Sidra, il più importante deposito del paese. Poco distante c'è Ras Lanuf, lo snodo degli oleodotti: da questi due centri parte metà delle esportazioni libiche di petrolio. Oggi la produzione si è ridotta a mezzo milione di barili al giorno, meno di in terzo rispetto ai tempi di Gheddafi, che forniscono l'unica risorsa per l'economia del paese. Gran parte dei proventi vengono gestiti dalle uniche istituzioni nazionali, la banca centrale e l'ente petrolifero, che poi li distribuiscono ai governi rivali: attualmente Sidra è in mano al governo di Tripoli mentre Ras Lanuf risponde a quello di Tobruk, con attacchi reciproci che si sono ripetuti nel corso dell'ultimo anno, provocando anche un disastroso incendio nello scorso gennaio.
La guerra tra le due autorità più importanti permette allo Stato Islamico di portare avanti il suo piano, senza incontrare resistenza. Con una forza di poche migliaia di soldati, molti dei quali provenienti dalla Tunisia, guidati da un nucleo di reduci siriani, le truppe del Califfato conducono attacchi sempre più in profondità. Ci sono incursioni con colonne di jeep armate di mitragliere che colpiscono le postazioni nemiche e si ritirano. A questi raid si aggiungono azioni kamikaze, per distruggere i fortini degli avversari e minare il morale delle brigate legate ai due governi, che si mostrano sempre meno combattive. Neppure i bombardamenti condotti dall'aeronautica egiziana, come rappresaglia dopo la decapitazione di cristiani copti, hanno rallentato le operazioni dell'Is.
I negoziati portati avanti dall'inviato Onu Bernardino Leon non sembrano dare frutti, nonostante il paese sia sull'orlo del caos. Anche la sessione di colloqui indetta in Marocco è stata abbandonata ieri dai rappresentanti di Tobruk. E nel frattempo la marcia jihadista prosegue, praticamente indisturbata, unendo al suo fianco gruppuscoli e bande che si sono date battaglia dal giorno della caduta di Gheddafi. In attesa che scatti il grande attacco con i giacimenti di oro nero.