Nulla di fatto nel vertice tra i Ministri degli Interni: ogni decisione è rinviata ai prossimi mesi. E intanto i Paesi dell'Europa centrale, tra cui cui la Germania, chiudono i confini isolando l'Italia
Nessuna intesa tra i Ministri degli Interni dei Paesi della Ue. Riunitisi ieri a Bruxelles, per discutere ed eventualmente approvare un documento presentato dal presidente della Commissione Europea
Jean-Claude Juncker, non sono riusciti a trovare l'accordo. Anzi. Le divergenze sono così profonde da portare ad una vera e propria spaccatura.
Il piano presentato da Juncker prevede l'introduzione delle quote obbligatorie di richiedenti asilo che i 28 Paesi della Ue devono suddividersi.
La Commissione, inoltre, chiede di superare il regolamento di Dublino. Le regole adesso in vigore prevedono che ogni richiedente asilo debba rimanere nel Paese in cui gli hanno riconosciuto lo status, cioè generalmente in quelli in cui approdano per primi. Essendo però questi Paesi generalmente quelli mediterranei, quindi non la destinazione finale di chi si sposta, capita spesso che le autorità locali omettano di registrare i nuovi arrivati, per permettere loro di spostarsi verso Nord senza doverseli prendere a carico. La Commissione europea vuole invece fare pressione su Italia, Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria perché registrino tutti i nuovi entrati, senza essere poi però tenuti a farli permanere nei propri territori.
Già il 20 di luglio un piano analogo era stato bocciato, quando i governi dissero no alle quote vincolanti. Allora c'era in ballo la ripartizione di 40mila immigrati sbarcati tra Italia e Grecia. Di questi in 32mila vennero accolti volontariamente, mentre i restanti 8mila sono ancora in cerca di sistemazione. Nel frattempo ad essi se ne sono aggiunti altri 160mila che la Ue deve ricollocare.
I partecipanti al meeting di Bruxelles, però, hanno rinunciato a sottoscrivere una dichiarazione comune, rinviando ogni decisione alla prossima riunione del Consiglio affari interni, che si terrà in Lussemburgo l'8 ottobre. In quell'occasione la presidenza potrebbe mettere la questione a voti e far passare le quote vincolanti a maggioranza, imponendo così le decisioni comunitarie a chi è contrario. Ma sono in molti che hanno annunciato che daranno battaglia.
Ma a cosa è dovuta una spaccatura così profonda da impedire il raggiungimento di alcuna intesa? Il nodo principale è l'introduzione delle quote dei migranti. Se da una parte i Paesi mediterranei fanno pressione perché esse vengano adottate, schierandosi così a favore del piano Juncker, dall'altra i Paesi dell'Europa settentrionale e orientale non hanno nessuna intenzione di prendersi altre persone.
Nonostante le divergenze tra Stati mediterranei e mitteleuropei in materi di migranti fossero da tempo note, nelle scorse settimane i governi di Italia e Grecia avevano fatto trasparire ottimismo, grazie alla manifestata volontà della Germania di porre fine alle politiche di respingimento.
Angela Merkel aveva infatti annunciato che
il suo Paese avrebbe sospeso Dublino per coloro che scappano dalla guerra, decidendo dunque di accettare tutti i fuggiaschi nei propri territori.
Tale apertura ha però moltiplicato il numero degli arrivi in terra tedesca, mettendo in seria difficoltà la capacità di accoglienza del governo tedesco e
innescando una sere di proteste popolari (sia politicizzate che non) che hanno visto l'adesione di tantissimi cittadini. Di fronte a tale situazione - e al conseguente rischio del rafforzarsi dei movimenti di destra -
il governo tedesco ha prima chiesto all'Italia di impedire ai migranti di oltrepassare il Brennero, poi ha dovuto
dichiarare l'emergenza e ripristinare i “controlli temporanei” dei migranti alla frontiera, usando la deroga prevista dagli accordi di Schengen. La chiusura dei confini tedeschi ha innescato una reazione a catena, che ha visto i governi di Francia, Olanda, Austria, Polonia e Slovacchia fare altrettanto. A sostenere questa linea, inoltre, sono anche Ungheria, Repubblica Ceca, Romania e Paesi baltici.
Essendo la chiusura delle frontiere incompatibile con le linee dettate dal piano Juncker, la riunione di Bruxelles si è chiusa con un nulla di fatto. L'unico accordo raggiunto, almeno in linea di principio, riguarda l'Italia.
Angelino Alfano ha accettato le richieste dei governi di Germania e Francia di creare entro l'anno sei punti di controllo (hotspots) posti nelle vicinanze dei centri di accoglienza. In tali punti le autorità italiane, affiancate da esperti europei, dovranno identificare le persone appena sbarcate, registrarle e provvedere al rimpatrio di quelle non aventi il diritto all'asilo.
Ciò nonostante neanche questo accordo è stato esente da contrasti. L'Italia ha accettato anche perché il governo francese ha minacciato di chiudere le proprie frontiere rimandando indietro i migranti. Alfano, in risposta, ha posto alcune condizioni: la prima è che i centri di registrazione aprano solo quando sarà cominciata la redistribuzione dei rifugiati. Dato che però non è stato raggiunto alcun accordo sulle quote obbligatorie, l'entrata in vigore è rinviata a tempo indeterminato. O almeno finché non verrà siglato un piano comune da tutti i Paesi comunitari. E le tempistiche potrebbero essere molto lunghe.