
Quel giorno di settembre del 2015, quando Sanders entrò a Liberty University, vestiva i panni di candidato alle primarie del Partito Democratico destinato a sbattere contro la roccia cui aveva lanciato il guanto della sfida. Ovvero Hillary Clinton, che tutti davano per imbattibile nella corsa per la nomination. Oggi, quattro mesi più tardi, con la primarie dello Iowa e del New Hampshire alle porte (lunedì 1 febbraio e martedì 9 febbraio) il cenerentolo democratico è esploso nei sondaggi: stando alle analisi di RealClearPolitics in Iowa tallona da vicino la Clinton (47 contro 42,3), mentre in New Hampshire è balzato in testa con 12 punti di vantaggio (51 contro 39).
La situazione in campo democratico appare davvero confusa, con Hillary Clinton che rischia di finire sulle secche. Ed è confusa la situazione anche in campo repubblicano dove l’immobiliarista dal grande ciuffo cotonato Donald Trump è in testa nei favori degli elettori conservatori mettendo in un angolo i candidati dell’establishment repubblicano. La confusione ha raggiunto un livello così alto che l’ex sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg, dopo aver fatto testare il suo nome in un paio di sondaggi molto riservati, ha fatto filtrare la notizia che sarebbe pronto a correre per la Casa Bianca come indipendente e a spendere un miliardo di dollari del suo patrimonio per finanziare l’impresa.
Di certo la maggioranza dell’elettorato democratico non è composto di “socialisti democratici”, la definizione che dà di se stesso Bernie Sanders, liberal da sempre, posizionato all’ala sinistra del Partito Democratico, in missione tutti i giorni contro Wall Street, in Parlamento dal 1991, prima come deputato poi come senatore. Ma il suo messaggio ha fatto breccia nei due Stati - Iowa e New Hampshire - dove sono in maggioranza (94 e 92 per cento) i bianchi non ispanici che guardano al futuro con preoccupazione. Nel 2008, fece bingo in quei due stati Barack Obama, travolgendo Hillary Clinton che anche allora era partita favorita. Dopo quell’exploit, l’ex senatore afro americano fu capace di costruire un’alleanza più vasta in tutti gli altri Stati d’America mettendo insieme bianchi, neri, donne, blue collar, latinos, giovani e anziani. La domanda allora è: se Sanders si affermerà in Iowa e New Hampshire sarà capace di costruire una grande alleanza fondata sulle posizioni più liberal del Partito Democratico e ripetere l’impresa del primo presidente nero? O dovrà ripiegare perché le sue ricette sono improntate molto al progetto di una «rivoluzione politica», come lui definisce la sua campagna, e poco a un’offerta di governo capace di mantenere gli Stati Uniti in una posizione di leadership politica ed economica?
A dispetto dei sondaggi, intorno a Sanders, prossimo a compiere 75 anni, due matrimoni e un figlio, c’è un’aria di scetticismo: basta osservare la diffidenza e il fastidio per l’emergere del senatore del Vermont che traspare in due quotidiani come il “New York Times” e il “Washington Post”, e la mancanza di appoggi ufficiali alla sua candidatura da parte dei democratici membri del Congresso. Nonostante ciò, Sanders ha messo insieme una rete di 200 mila volontari e nell’ultimo trimestre del 2015 ha raccolto quasi gli stessi finanziamenti della Clinton (33 milioni contro 37). Il cuore del suo programma è fatto di iniziative del governo per sostenere coloro che sono rimasti indietro e ridistribuire parte della ricchezza. L’ex studente della Chicago University che negli anni Sessanta fu il primo a inscenare una manifestazione davanti all’ufficio del rettore per reclamare la cancellazione del divieto per studenti bianchi e afro americani di abitare nello stesso dormitorio, vuole innanzitutto mettere mano alla riforma delle assicurazioni sanitarie voluta da Obama: progetta di renderla universale abolendo di fatto le assicurazioni private e trasformando il governo federale nell’unica società di assicurazione sanitaria. Questa operazione da sola avrebbe un costo di 1,38 milioni di miliardi di dollari all’anno e sarebbe pagata con un aumento delle tasse per i più ricchi, un aumento dei prelievi sui guadagni di Borsa, sui dividendi azionari e sui patrimoni ereditari.
Sempre la via dell’aumento della pressione fiscale servirà a finanziare gli altri punti chiave del programma di Sanders. Tassando una parte degli scambi effettuati ogni giorno a Wall Street, troverebbe i 75 miliardi di dollari l’anno per rendere gratuita l’iscrizione alle università pubbliche. Altre tasse per scoraggiare le emissioni di Co2.
Balzelli anche per finanziare un programma da un milione di miliardi dedicato all’ammodernamento di strade, ferrovie, ponti e aeroporti che creerebbe molti posti di lavoro (secondo Sanders 13 milioni di nuovi occupati). E per un progetto dedicato al lavoro giovanile, nuova fiscalità per creare un fondo da 5,5 miliardi di dollari l’anno. Come per il progetto del congedo pagato dopo il parto.
L’America è pronta a mandare alla Casa Bianca un presidente con progetti basati sull’aumento delle tasse? Senza neanche scomodare gli avversari repubblicani basta osservare la reazione della candidata dell’establishment democratico Hillary Clinton. Negli ultimi dibattiti ha attaccato a testa bassa le idee dello sfidante, definendole negative, irrealizzabili, fondate sulla aspettative che l’America sia pronta per una rivoluzione politica mentre ha bisogno di razionali manifestazioni di governo saggio. Sanders, accusato anche di aver votato troppe volte con la lobby delle armi da fuoco, ha risposto per le rime alla Clinton: ricordando un suo discorso pagato con assegni a cinque zeri dalle grandi banche e il sì incondizionato di Hillary alla guerra in Iraq di George W. Bush.
Bernie Sanders non è mai stato un pacifista. Se ha detto no all’invasione dell’Iraq ha detto sì alla guerra contro l’ex Jugoslavia, a quella in Afghanistan. Del ruolo dell’America nel mondo ha questa idea: «Sugli aspetti cruciali della politica estera di oggi Hillary, con tutta la sua esperienza, è sulla strada sbagliata, io su quella giusta. L’esperienza è importante, tante persone hanno grande esperienza, ma non necessariamente hanno il giudizio corretto». Il candidato outsider vuole diplomazia al primo posto, la consapevolezza che lo strumento militare deve essere mantenuto sul tavolo di ogni questione di sicurezza, ma non ritiene che gli Usa debbano svolgere il ruolo di gendarme del mondo.