Le classi dirigenti del Vecchio Continente hanno provocato la reazione antisistema. ?E ora non sanno più fermarla

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Ma dove vai (e dove prendi i voti oggi...) se il sovranismo non ce l’hai?

La politica dell’età contemporanea in Europa si è organizzata intorno ad alcune fratture sociali. Quelle da cui sono nati i partiti che hanno strutturato i sistemi politici per come li abbiamo conosciuti, tra alti e bassi, sostanzialmente fino ai giorni nostri. Con la teoria dei cleavages (le fratture), gli scienziati politici Stein Rokkan e Seymour Martin Lipset, nella seconda metà degli anni Sessanta, hanno spiegato la genesi e lo sviluppo delle formazioni politiche, incrociando due dimensioni in base all’asse (territoriale o funzionale) e alla rivoluzione (nazionale e industriale), da cui le fratture centro-periferia, Stato-Chiesa, città-campagna, capitale-lavoro.

Questi cleavages hanno illustrato molto bene la natura dei conflitti sociali e la tipologia degli imprenditori politici che hanno dato loro voce e rappresentazione fino a poco tempo fa, ma necessitano ora di una revisione e di un “tagliando”, mentre a farsi largo sono fratture nuove, che sconvolgono e tagliano trasversalmente l’asse sinistra-destra.

Come quella che vede, da una parte, i sovranisti e, dall’altra, i globalisti. Sovranismo-populismo vs. cosmopolitismo-globalismo; anche se sovranismo e populismo non sono perfettamente sovrapponibili (basti pensare alla postmoderna sinistra populista di Podemos, che fa del multiculturalismo una delle proprie bandiere).

A ridefinire alcuni settori dei sistemi politici è, dunque, la politica dell’identità. L’identità culturale surroga l’ideologia (che era internazionalista, ossia global), e si esprime quindi nel conflitto tra chi la rivendica come un sistema chiuso e “non contaminabile” (i sovranisti), e chi, invece, la ritiene aperta e incessantemente soggetta a ibridazioni (i cosmopoliti).

Editoriale
I nuovi Cesari e il miraggio del grande cambiamento
3/4/2017
Le prossime elezioni presidenziali d’Oltralpe costituiscono un palcoscenico ideale del nuovo cleavage, perché la “gara” più significativa, al loro interno, è quella tra il Front National di Marine Le Pen e il movimento-partito En Marche! (ovvero l’Association pour le renouvellement de la vie politique) di Emmanuel Macron, giustappunto la raffigurazione esemplare di questa recente linea di frattura politica. Con la Francia autentico incubatore e start-up del sovranismo in Occidente, poiché in origine c’era Jean-Pierre Chevènement, secondo il modello “Asterix vs. Roma”, la patria identitaria contro l’impero globale. Il politico (soprannome “le Che”), già pluriministro con François Mitterrand, Pierre Mauroy, Laurent Fabius e Michel Rocard, abbandonò il Partito socialista nel 1993 per fondare il Mouvement des citoyens.

Contrario alla guerra in Iraq e poi a quella in Kosovo, duramente avverso alla dottrina dell’interventismo umanitario e all’“imperialismo dei diritti umani” della Nato, Chevènement divenne il punto di riferimento della cosiddetta gauche nationaliste e di quegli intellettuali che il settimanale Nouvel Observateur ribattezzò intorno alla metà degli anni Novanta réac de gauche (reazionari di sinistra), tra cui figure note come Régis Debray e Max Gallo.

Un esperimento pionieristico che allora si filarono in pochi, ma che avrebbe avuto un carattere seminale e si sarebbe convertito in un’onda via via montante, a destra, nei primi anni dell’attuale XXI secolo. L’aggettivo che meglio si addice, dal punto di vista del cromatismo politico, al sovranismo è quello di “rossobruno” (con una prevalenza netta della tonalità nero-bruna). Operano, infatti, le sliding e le revolving doors tra una certa estrema destra e una certa estrema sinistra, perché il sovranismo si fonda sulla visione di una comunità organica nazionale, è antiliberale e non ritiene valori i diritti soggettivi e individuali.

Il sovranismo è oggi all’opera - e in gran spolvero - in vari Paesi dell’Europa orientale, dove il passato che non passa del socialismo reale ha lasciato eredità avvelenate di rigetto del pluralismo e del dissenso di cui si sono volentieri impadroniti i nuovi regimi di destra radicale e xenofoba.

In Italia c’è sovraffollamento: su una issue saldamente presidiata dalla Lega Nord di Matteo Salvini (che sul sovranismo punta per tentare il salto, finora non riuscito, a partito autenticamente nazionale) e da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e molti ex colonnelli di An si inserisce anche il Polo sovranista di Gianni Alemanno e Francesco Storace; e, seppure a corrente alternata, se ne incontrano tracce anche nel postmodernissimo Movimento 5 Stelle. E il Donald Trump che ha espugnato la nazione-guida della globalizzazione è considerato la principale fonte di speranza di vittorie anche domestiche a cui guardano fiduciosi i sovranisti di ogni parte del Villaggio globale.

Ma il vero cuore di tutto è la Russia, dove il sovranismo si nutre di una molteplicità di correnti “culturali” e ideologiche antidemocratiche e limacciose (come l’etnonazionalismo). Il Paese comandato a bacchetta dall’“uomo fortissimo” Vladimir Putin rappresenta l’autentica superpotenza sovranista contemporanea; ed è contestualmente alla ricerca di una via peculiare al soft power.

Assai dark, perché basato prevalentemente sulle proibizioni o le azioni di disturbo nei confronti di quello statunitense, come nel caso della polemica censoria scatenata qualche settimana fa dal deputato del partito putiniano Russia Unita Vitaly Milonov (un antisemita e campione delle campagne omofobe) contro il film disneyano La bella e la bestia, additato quale «propaganda gay».

Nel soft power (che, in verità, è alquanto hard e machista, giustappunto) russo spicca pure la volontà di presentarsi come il baluardo della difesa delle tradizioni “cristiane” della Chiesa ortodossa. E ci sono anche il prodotto culturale da esportazione vincente, il cartone animato Masha e Orso, visto dai bambini in tutta Europa, e la promozione di una cybercultura “di Stato”, che alimenta dal punto di vista ideologico i continui attacchi hacker ai danni dell’Occidente e trova sponde nella leadership di Wikileaks (a partire da Julian Assange).

Così, con colpe e responsabilità rilevanti delle stesse classi dirigenti europeiste, il nuovo cleavage fondamentale all’interno della politica continentale, come ha sottolineato il politologo Sergio Fabbrini, è diventato proprio quello tra sovranisti ed europeisti. E un’ulteriore minaccia antisistemica si aggiunge al già angoscioso e dissestato panorama dei sistemi politici liberaldemocratici di questi nostri anni.