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Costa è l’unico leader di sinistra che ha scovato la formula per vincere facile in Europa. Ha fatto tornare di moda la socialdemocrazia riverniciandola con spruzzi di modernità. Ha collocato gli orizzonti di progresso e equità nella cornice dei conti in ordine e del rispetto verso le istituzioni europee. Riuscendo a tenere a bada sia le sirene neoliberiste che le pulsioni populiste. «Un piccolo miracolo sull’Atlantico», a giudizio dell’“Economist”. Un capolavoro di equilibrio che gli ha permesso di gestire senza troppi scossoni le turbolenze con gli alleati di sinistra ma perfino di smussare le storiche differenze con gli avversari del Partito socialdemocratico (i conservatori capitanati da Rui Rio che, pur con una lettura non statalista, nella sigla si richiamano agli stessi ideali). La sua irremovibilità nel difendere le finanze pubbliche sulle recenti vertenze dei professori e dei camionisti è piaciuta più alla destra che alla sinistra. Al punto che le convergenze fra i due blocchi maggiori, separati nei sondaggi da 14 punti, appaiono superiori ai dissensi. E fra i politologi non si esclude neppure che le parziali intese sfocino in un governo di unità nazionale. «Il duello televisivo fra Costa e Rio», ha scritto il settimanale “Expresso”, «sembrava un incontro fra innamorati». «Il caso portoghese», annota il politologo André Freire, «può essere visto come una strada da percorrere per la socialdemocrazia in Europa».
Al di là delle calamite ideologiche il consenso di Costa, sulla cui ammucchiata nessuno all’inizio avrebbe scommesso un euro, poggia principalmente sui risultati. Il Portogallo, con l’aumento di 1,7 del Pil, sta crescendo più della Germania. In sette anni (nel 2012 dovette negoziare con la trojka un pacchetto di aiuti di 78 miliardi per evitare il default) ha abbassato il deficit pubblico dall’11 per cento del Pil allo 0,5 (il livello più basso dal 1974, fine della dittatura).
Oltre al contenimento della spesa pubblica a incidere sono gli investimenti delle multinazionali attratti dalle agevolazioni fiscali, il forte incremento delle esportazioni, il boom del turismo e l’afflusso dall’estero dei pensionati esentati dalle tasse.
Adottando la linea ponderata di Mario Centeno, ministro delle Finanze e dal 2017 presidente dell’Eurogruppo (è soprannominato il “Mourinho dell’economia”), Costa ha saputo rivolgere a suo favore i traguardi macroeconomici dell’austerità imposta da Bruxelles al precedente governo conservatore. Ha continuato a tagliare i rami secchi e ha aumentato l’Iva (salvo che per alberghi e ristoranti). Ma è riuscito a ampliare la platea del suo elettorato trasversale creando 360 mila posti di lavoro, aumentando il salario minimo (da 589 a 616 euro), riducendo il numero di ore di impiego settimanali, liberalizzando il mercato degli affitti, introducendo tariffe agevolate nei trasporti pubblici, incidendo sullo sviluppo dei diritti civili (unioni, adozioni gay, problematiche del fine vita).
Con un debito pubblico stratosferico (121 per cento del Pil) il Portogallo rimane ovviamente un paziente sotto osservazione. E Costa ha nodi intricatissimi da sbrogliare. Vaste sacche di povertà ancora da debellare. L’esplosione delle rivendicazioni salariali. La pressione fiscale elevata che fa storcere il naso alle classi medio-alte. La fragilità delle infrastrutture urbane, ferroviarie e aeree. I buchi neri nella sanità a nella giustizia. Le piaghe della corruzione e del nepotismo. La lentezza dei soccorsi nelle calamità naturali. La bolla immobiliare nelle grandi città che ha generato fenomeni di gentrification.
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Ma il clima di credibilità che si è instaurato sembra agevolare in cammino. Anche perché mancano i temi laceranti. Nessuno dei principali partiti fa le crociate contro i flussi di immigrazione, provenienti in prevalenza dal Brasile e dalle ex colonie africane e quindi facilmente assimilabili per l’omogeneità linguistica e religiosa. Non si è mai affermata una destra nazionalista interessata a tenere in vita il retaggio della dittatura salazariana. Solo nello scorso aprile è sorta una scheggia sovranista che alle europee ha fato flop. Lo stesso radicalismo di sinistra, sbarazzinamente incarnato dal Bloco de Esquerda (costola della disaffezione verso il comunismo ortodosso che attrae le giovani generazioni) e guidato da una leadership femminile, è stato in parte riassorbito nella melassa pragmatista delle convenienze di governo. La bussola rimane l’Europa, dove Costa sa farsi benvolere. Il giorno in cui vide a Bruxelles il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker confuso davanti ai giornalisti, forse per aver bevuto un bicchiere di troppo, corse ad abbracciarlo e lo spinse bonariamente verso l’uscita.
In una società meno complessa di quella italiana (il Portogallo ha poco più di dieci milioni di abitanti) prevale una dialettica della concretezza che anche per il sollievo scaturito dalla scampata catastrofe non si lascia sopraffare dalla tirannia dei social, dai miasmi della rabbia, dai veleni dell’insulto. I grandi partiti non hanno ancora abdicato al ruolo di centri di aggregazione.
Costa sguazza come un pesce nelle acque agitate ma non tempestose del confronto politico. Cocciuto ma all’occorrenza flessibile. Stakanovista nell’impegno, sa come districarsi dalle insidie approntando sempre un piano B. Si è dato come regola di temperare l’astuzia bilanciandola con la massima disponibilità. Non si nega a nessuno, si sforza di apparire alla mano, di sfuggire alle trappole con l’arma dell’ironia. Scelta comportamentale condivisa dal presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa (conservatore ma in grande sintonia con il premier). Che seppe rispondere a tono a Donald Trump quando gli fu maliziosamente chiesto se le elezioni presidenziali le avrebbe perse di fronte a un avversario come Cristiano Ronaldo: «Non esserne così certo, i portoghesi non sono come gli americani».
«Costa», dice Simonetta Afonso, deputato indipendente di sinistra nell’assemblea municipale di Lisbona, «è un leader che sa fiutare in anticipo gli avvenimenti. Nella quotidianità appare calmo e controllato. Ma si accende sulle questioni di principio. Quand’era sindaco di Lisbona, durante i dibattiti più accesi in consiglio comunale, capitava che si lasciasse trascinare dalla collera. Senza però mai scadere nell’offesa. Non è un accentratore. Prima di decidere ascolta il parere dei collaboratori e anche quello degli avversari. Gli piace annusare soprattutto gli umori del popolo sguinzagliando i suoi uomini sul territorio. Nello staff valorizza molto le donne. E usa poco Internet, quasi solo per le comunicazioni ufficiali».
Costa, 58 anni, è il primo premier europeo di carnagione non bianca. È nato a Lisbona ma ha origini indiane (Goa) e solo da ragazzo ha subito il fastidio di venire apostrofato da qualche compagno di scuola come “munhé” (in gergo sta per immigrato di colore). Mastica politica dall’adolescenza. Cresce in una famiglia di intellettuali. Padre (comunista) e madre scrittori. Si laurea in legge ma esercita per pochissimo l’avvocatura. Fa gavetta nella gioventù socialista da dove emerge come ministro della Giustizia e degli Affari parlamentari sotto Antonio Guterres. Nel primo governo di José Socrates è promosso ministro degli Interni e non viene mai neanche sfiorato dallo scandalo finanziario che troncherà in seguito la carriera del premier.
La sua popolarità schizza alle stelle nel 2007 quando diventa sindaco di Lisbona che in otto anni risveglia dalla sonnolenza. Bonifica le zone più disagiate e si sceglie come ufficio una vecchia fabbrica di ceramiche di Intendente, quartiere all’epoca degradato. Scende per le strade ed è indulgente con le piccole trasgressioni. Liquida con una battuta le denunce contro la proliferazione dei ristoranti cinesi clandestini: «Lì si mangia bene». Nel 2014 è eletto segretario del Partito socialista e prepara per il 2015 l’ascesa alla premiership dopo i falliti tentativi di coalizione dei conservatori che avevano vinto le elezioni.
È sposato con un’insegnante socialista che non esitò a scendere in piazza per protesta contro la cementificazione promossa da Socrates. Ha due figli (il maschio è già attivo nel partito) e un fratellastro che dirige la comunicazione di un’emittente televisiva. Conduce una vita sobria. Gira senza scorta (apparente). Sull’auto di servizio siede a fianco del conducente. Ama andare in bicicletta. Fa vacanze tranquille in Algarve. Veste casual a volte anche negli incontri ufficiali. È un consumatore di telenovelas e un tiepido tifoso del Benfica.
Ma la sua vera passione è la cucina. Quando può va lui al mercato a fare la spesa. Recentemente si è esibito ai fornelli in tv davanti agli occhi benedicenti della moglie. Frequenta i ristoranti senza preavvertire. L’anno scorso una trattoria italiana gli negò il tavolo perché non aveva prenotato. Senza batter ciglio si diresse verso una pizzeria dei paraggi. Anche per cena ha sempre pronto un piano B.