Il vicepresidente della Guinea equatoriale è stato condannato e sanzionato per corruzione e appropriazione indebita. Rapisce e tortura persone nel suo Paese. Ma questa estate ha fatto vita da nababbo, passando per Roma e Cagliari, «con l’arroganza del potere»

Quando abitava a Parigi, in una maison da più di 100 stanze sugli Champs Élysées, i vicini si lamentavano per il rombo assordante delle sue auto. Prima di andare a vestirsi chiedeva ai suoi autisti di scaldare i motori e, in base all’abbinamento di colori, sceglieva la vettura con la quale sarebbe uscito. Teodoro Nguema Obiang (più semplicemente Teodorin), vicepresidente e ministro della Difesa della Guinea equatoriale, sarà presto a capo del Paese in quanto primo nella linea di successione al padre, dittatore più longevo al mondo e ormai anziano.

La storia di Teodorin vive di contraddizioni. La vita che sfoggia sul suo account Instagram, tra vacanze in Italia, yatch da decine di milioni di dollari, macchine e orologi fuoriserie, è degna di un influencer. Incompatibile, però, come certificato dalla giustizia francese e americana, con il suo stipendio da ministro. E incompatibile con gli standard di vita in Guinea equatoriale: il 48% delle persone non ha accesso all’acqua potabile, il 70% vive sotto la soglia di povertà.

 

 

 

«Tutto questo è fatto con l’arroganza del potere, con la certezza di essere intoccabile grazie alla tutela diplomatica», commenta Andrea Spinelli Barrile, africanista e autore di “Esperanza. La vera storia di un uomo contro una dittatura africana”, libro scritto a quattro mani con Roberto Berardi, imprenditore italiano, anni fa socio di Teodorin e poi recluso e torturato in un carcere equatoguineano per aver denunciato l’illegalità di alcune transazioni. «Il regime viene chiamato “cleptocrazia”, ovvero un sistema in cui la classe dirigente si arricchisce grazie ai proventi delle risorse del paese, spettanti in teoria alla popolazione. In un clima di repressione e violazione dei diritti fondamentali. Teodorin è l’esempio più lampante di questo sistema», precisa Barrile.

Oggi, in Guinea equatoriale sono detenuti centinaia di prigionieri. Molti nemmeno sanno perché. Tra questi, un ingegnere naturalizzato italiano, Fulgencio Obiang Esono, accusato di aver preso parte a un colpo di stato contro il presidente, condannato a 58 anni e adesso rinchiuso nella prigione “Spiaggia Nera”, descritta «come una sorta di buco pregno dell’umidità che arrivava dal mare, in cui si viveva in condizioni inumane e la tortura era la regola» in un report di Amnesty International. Riccardo Noury, che ne è portavoce, spiega che «solo l’avvocata di Fulgencio può decidere di sporgere denuncia nei confronti di Teodorin, con l’obiettivo di favorire un arresto in Italia».

Le azioni legali contro Obiang si sono intensificate questa estate. Il Regno Unito lo ha sanzionato per corruzione, appropriazione indebita, estorsione e riciclaggio. In Francia, dopo 14 anni di processo, la Cassazione francese il 28 luglio lo ha definitivamente condannato a tre anni di galera, al pagamento di 30 milioni di euro di multa e alla restituzione di 150 milioni di euro al suo Paese. L’accusa è di essersi costruito un patrimonio illegale grazie all’«abuso di beni sociali, appropriazione indebita di fondi pubblici e abuso di fiducia». «Può anche essere che questi soldi vengano distribuiti. Il problema vero è che tutte le aree chiave del potere sono nelle mani della famiglia. Il rischio è che i soldi arrivino in Guinea e a mo’ di boomerang tornino nelle mani degli Obiang», commenta Noury. La giustizia francese ha chiesto un mandato di cattura internazionale all’Interpol, dopo un tentativo fallito anni fa a causa anche di un patteggiamento con la giustizia americana: una casa a Malibu dal valore di 30 milioni di dollari, una Ferrari e cimeli di Michael Jackson in cambio della caduta dell’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro. 

 

 

 

Oggetto di polemica è stata anche la visita fatta a Papa Francesco lo scorso aprile, che alcuni analisti hanno letto come un’investitura. A una domanda dell’Espresso a riguardo, la Sala stampa della Santa Sede ha risposto che «come è noto, il Santo Padre abitualmente riceve in udienza quanti ne fanno richiesta. Dialogare apertamente con tutti non presuppone necessariamente approvare o avallare investiture di alcun genere».

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