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Mondo
ottobre, 2022

«Non voglio problemi, ho votato Vladimir Putin ma vado via»: i russi in fuga per non rischiare

Trecentomila persone dall’annuncio della mobilitazione generale, mezzo milione dall’inizio della guerra. Sono i cittadini emigrati per paura di essere spediti al fronte o nella speranza di tornare quando le cose cambieranno. Per entrambi nessuna intenzione di unirsi all’opposizione in Patria

Un problema non esiste, fino a quando non tocca te. E così, a pochi giorni dall’annuncio della mobilitazione parziale, avvenuto il 21 settembre scorso dal presidente Vladimir Putin, la Russia si è scoperta malata di indifferenza, ma con la ferma intenzione di non finire vittima di una guerra a lungo ignorata.

 

Sono quasi 300mila le persone che hanno abbandonato la Russia dal 21 settembre. A queste, va aggiunto un altro mezzo milione che ha lasciato o non ha fatto ritorno nel suo Paese dal 24 febbraio, data di inizio della guerra in Ucraina. La grossa differenza, è che chi è partito a settembre lo ha fatto perché rischiava di essere mandato a forza al fronte. Il denominatore comune fra i due gruppi, è che si va via per paura, spesso solo con la speranza che il futuro sia diverso, molto raramente con la volontà di fare la propria parte in un possibile cambiamento. Un atteggiamento di rassegnazione misto ad apatia, che si trasforma in disagio tendente al fastidio quando gli si chiede la motivazione di tanta indifferenza.

 

Alekseij ha 32 anni, ed è stato uno dei primi ad arrivare a Istanbul. Fino a prima della guerra lavorava in uno dei negozi più di lusso di San Pietroburgo. Poi, però, quel negozio ha chiuso a causa delle sanzioni e lui si è trovato senza lavoro «Sapevo fin dall’inizio come stava andando la guerra – spiega a L’Espresso -. Le televisioni russe sono in mano alla propaganda, ma se uno usa i social e vuole sapere quale sia la verità non è molto difficile da scoprire. A metà settembre ho comprato un biglietto per Istanbul. È stato un gesto irrazionale, che però per il momento mi ha salvato la vita».

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Ora si trova in Turchia, ospite da amici. Il biglietto gli è costato ben 1.000 euro, ma se lo avesse preso dopo il 21 settembre avrebbe rischiato di spendere fino a 10 volte tanto e non è detto che ne avrebbe trovato uno. Non solo infatti gli aerei sono pieni per le prossime due settimane, Turkish Airlines, la compagnia di bandiera turca, ha cancellato i voli da quattro città russe fino a fine dicembre. «Dove sono ora c’è una ragazza che sta cercando di fare uscire il fratello. Ma non c’è niente da fare. Non mi importa di questa guerra, non mi importa né della Crimea né del Donbass. Ho votato Putin perché ha garantito stabilità e crescita economica sta cercando di rendere di nuovo grande la Russia. È un nostro diritto difendere la nostra tradizione e i nostri valori. Ma è chiaro che questa operazione militare avrà conseguenze su tutti noi e molti di noi, di fondo, vogliono solo non avere problemi».

 

L’unica preoccupazione di Alexeij, in questo momento, è riuscire a cavarsela. Dei morti in guerra e chi di rischia di essere spedito in prima linea per direttissima, gliene importa poco e non c’è da sorprendersi. I dati del centro di ricerca Levada, considerato il più indipendente del Paese, parlano chiaro. Il 66% degli intervistati ha paura che dalla mobilitazione parziale di passi a quella totale. Ma fra le reazioni alla notizia del 21 settembre, il 47% prova ansia o paura e il 23% choc. La rabbia e la vergogna raccolgono uno scarso 13% e 5%.

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«Questa cosa che i russi si dovrebbero vergognare inizia a dare fastidio». La voce di Pavel arriva dal Kazakhstan e si sente male. Studente di relazioni internazionali, al momento si trova in una delle strutture messe a disposizione da parte del governo di Astana. Alla richiesta di commentare di dati di Levada, ha risposto con affermazioni frutto di una propaganda che ormai è un lavaggio del cervello. «Non siamo stati noi a muovere guerra all’Ucraina, è dal 2014, quando la Crimea ha scelto di fare parte della Russia che veniamo provocati dalla comunità internazionale. Io credo che ogni territorio debba poter scegliere di che nazione fare parte e, da russo, do il benvenuto a chiunque voglia stare con noi. Il mio è un Paese accogliente con chi lo apprezza». Il discorso filerebbe, se lui non fosse scappato a gambe levate con altri studenti della sua università e non avesse fatto otto ore di coda per passare il confine. «È assolutamente normale che un ragazzo di 20 anni non voglia morire- continua a spiegare con il tono di chi è davvero convinto di quello che pensa -. Credo che le conseguenze di questo conflitto saranno enormi. Ne uscirà un nuovo ordine mondiale dove l’Occidente, non avrà contro solo la Russia. Quello che voi non capite è che se i russi votano Putin da oltre 20 anni è perché sentono protetti».

 

Fino a questo momento, il Kazakhstan è uno dei Paesi che ha assorbito la maggiore quota di russi che sono fuggiti, con oltre 100mila persone. Il suo presidente, Quasym Tokayev, è pronto a riconoscere ognuna di loro come rifugiati politici, purché non abbiano precedenti penali. L’ex Repubblica sovietica dell’Asia centrale è un Paese chiave per Mosca. Se si conta che in precedenza si era già rifiutata di inviare soldati in Ucraina e non riconoscerà l’esito dei referendum farsa, la dice lunga su come Mosca non solo si stia isolando, ma stia anche perdendo tutta l’influenza che aveva fino a pochi anni fa, a vantaggio delle altre potenze che si stanno facendo avanti nella regione, in primis Cina e Turchia.

 

C’è poi chi è riuscito a fare il grande salto e adesso è in Europa. Ilija viene da Murmansk, anzi, da Murmanks l’Eroica, come la chiamano in Russia per l’importanza ricoperta durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua principale occupazione era fare l’autista dei gruppi di turistiche da tutto il mondo raggiungevano la Penisola di Kola per vedere l’Aurora boreale. Ha fatto appena in tempo a passare il confine con la Finlandia, prima che lo chiudessero. Ora si trova a Tallinn, dove la comunità russa sta cercando di aiutare chi è scappato dal reclutamento forzato. «In pochi anni ho visto la mia vita precipitare. Prima il Covid, le cose stavano molto lentamente tornando alla normalità quando è arrivata questa guerra. Io personalmente non capisco nulla e sono sicuro che sia così anche per la maggior parte del popolo russo. Fino a prima del Covid stavamo tutti benissimo, poi deve essere successo qualcosa, Decidono tutto i politici, Russi, americani, europei. Decidono solo loro. Non penso nemmeno che l’Occidente voglia distruggere la Russia, ma si considera troppo poco spesso che fino a 30 anni l’Ucraina era tutta russa ed è un fatto storico, che non si può cancellare». E quando gli si domanda che cosa ne pensi della situazione interna nel suo Paese, alza le spalle. «Io non ho mai votato. Votare in Russia è assolutamente inutile. Non funziona come negli altri Paesi. La gente vota, ma alla fine non decide niente».

 

E a quelli che non riescono a capire questo atteggiamento, come stanno le cose lo spiega quel 15% del Paese che, secondo Levada, non si limita a essere contro Putin, ma vorrebbe proprio un Paese diverso, più democratico e vicino all’Occidente. Viktor è un informatico, uno di quelli che in Russia i suoi coetanei considerato un miracolato. Viene da Mosca e da due mesi vive a Tbilisi, in Georgia, ha trovato un lavoro e ha la concreta possibilità di rifarsi una vita fuori dal suo Paese. Nel 2020, ha partecipato alle manifestazioni contro l’incarcerazione di Alekseij Navalny, il blogger che, da dissidente, è diventato il punto di riferimento per l’opposizione, quella non strumentale.

 

«C’è una parte di Russia – spiega – soprattutto fra i giovani, che vorrebbe realmente un Paese con una vita politica autentica e una democrazia sul modello di quelle occidentali. Ma per un movimento ampio dal basso è ancora troppo presto e soprattutto non ci sono leader politici di riferimento. L’unico era Navalny, ma è in carcere e chissà quando uscirà». Obbligati a tenersi Putin e chi verrà dopo di lui, insomma. Chi può, ormai pensa alla sua vita fuori dalla Russia, ma non è sempre facile. «Qui a Tbilisi ci sono dei problemi – prosegue Viktor -. Continuo a dire che sono contro Putin, che ho anche rischiato di andare in carcere, ma non mi credono. In più di una occasione mi hanno chiesto di schierarmi contro la guerra in Ucraina. Io da una parte li capisco, dall’altra però penso di pagare il conto di altri».

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