Nella Finlandia che si avvicina alla Nato ha sede l’Hybrid CoE che studia questo tipo di criticità. Dalle “vecchie” fake news agli investimenti nelle infrastrutture, sono i settori in cui l’Occidente rischia di più

Cosa sono le minacce ibride e perché sono il punto debole delle democrazie

Poche settimane fa non si parlava d’altro che della decisione della Finlandia di entrare nella Nato. Si trattava di un passo storico, di una decisione cui la Finlandia non era mai arrivata, neppure in 70 anni di complicato vicinato con l’Unione Sovietica.

 

Eppure non si è trattato di una decisione imprevedibile. Anzi. Da tempo la Nato e la Finlandia (che pure non ne era parte) erano in rapporti decisamente amichevoli e anzi, non di rado, collaboravano. E dal 2017 la Nato, in collaborazione con l’Ue, ha collocato proprio a Helsinki una delle sue infrastrutture più strategiche: il centro di ricerca sulle minacce Ibride, l’Hybrid CoE. Lo scopo dell’Hybrid CoE è al limite dell’impossibile, perché consiste nell’individuare e disinnescare le minacce ibride che arrivano da altri Paesi (o anche attori non governativi) ostili. Si tratta di una missione molto più complessa perché, per definizione, le minacce ibride sono fatte, progettate e concepite per essere invisibili. Anzi, peggio, per diventare evidenti solo nel momento in cui diventano impossibili da disinnescare. Una minaccia ibrida consiste in un’azione militare reale, ma fatta con i guanti bianchi. Un’azione ostile che si insinua, come un virus, all’interno delle società e delle infrastrutture per poi indebolirle o romperle dall’interno, rendendole, di fatto, espugnabili.

 

Il fatto che, di tutte le città europee la Nato abbia scelto per il quartier generale del suo centro di ricerca sulle minacce ibride proprio una città come Helsinki che, fino a poche settimane fa, con la Nato non aveva e non voleva avere niente a che fare non è casuale. Al contrario ha a che fare, come al solito, con la geografia e con la vicinanza di Helsinki alla Russia, Paese che delle minacce ibride sembra essere il principale e più temibile architetto e mandante.

 

«Oggi ci sono diversi tipi di minaccia ostile che hanno nel mirino l’Europa, la stabilità dei suoi governi, la solidità della sua società, la crescita dell’economia. La più evidente e nota di tutte è quella che ha a che fare con la propaganda e con la narrativa eterodiretta. Ci sono stati Paesi, come la Russia, ma anche la Cina, che negli ultimi anni hanno saputo prendere uno dei più grandi valori delle democrazie occidentali, come la libertà di pensiero e di parola, e trasformarli in armi. Siamo stati, e per certi aspetti siamo ancora, davanti al paradosso per cui la libertà di parola e la democrazia, che in Europa sono sacri, negli ultimi dieci anni sono stati usati con profitto da governi non democratici e che detestano la libertà di parola, proprio per indebolire i Paesi democratici. Nel corso delle loro incursioni ostili, questi governi nemici, sono riusciti a trasformare democrazia e libertà nel pertugio attraverso il quale entrare nelle società europee e a diffondere messaggi distruttivi e minatori della democrazia e della libertà stessa. Per questo fake news, disinformazione e post verità sono da anni al centro del dibattito. Eppure, non credo siano più la cosa principale di cui preoccuparci», ci spiega Rasmus Hindren, responsabile per le relazioni internazionali del centro.

 

Nella lettura di Hindren, infatti, qualcosa sta cambiando. E anche se per anni a far traballare le fondamenta delle nostre democrazie è stata la disinformazione con i suoi strascichi politici e con i suoi effetti elettorali spesso scellerati, oggi le cose potrebbero essere sul punto di cambiare. In meglio, da un lato. In peggio, dall’altro.

 

In meglio perché la presa della propaganda sulle menti di persone e elettorati potrebbe essersi indebolita nel tempo, logorata da un estenuante (e per altro sempre perdente) confronto con la realtà. In peggio perché nel momento stesso in cui la guerra ibrida dovesse ritrovarsi tra le mani l’arma dei social e della disinformazione ormai spuntata, cercherebbe nuove strade e canali per procedere. Strade e canali meno autoevidenti e controllabili.

 

«Anche se oggi, gran parte della politica e delle decisioni dei governi, e persino delle guerre vere come quella in Ucraina, si giocano sulla narrativa, il palato delle persone non è più quello di una volta. Negli anni abbiamo imparato a riconoscere, almeno in parte, le operazioni di disinformazione e, per certi aspetti, abbiamo sviluppato gli anticorpi per difendercene. Il fatto che la minaccia ibrida legata alla propaganda e alla disinformazione sia la più evidente, perché sotto gli occhi di tutti ogni volta che prendiamo in mano un telefono, fa sì che con il tempo sia diventata anche quella più facile da fermare. Quella per difenderci dalla quale abbiamo ormai sviluppato una buona dose di anticorpi. La guerra in Ucraina - in questo senso - è un buon esempio perché, nonostante gli sforzi compiuti da Mosca, in Europa, fatte salve alcune rare eccezioni, non si è affermata la narrativa filorussa. Anzi. La stragrande maggioranza degli europei ha abbracciato la causa ucraina e, di fronte all’evidenza dell’attacco, ha respinto la narrativa putiniana».

 

Così, se la propaganda e la disinformazione non sono più la sola e principale minaccia da temere, occorre volgere lo sguardo altrove. Per cercare quali potrebbero essere, o sono già senza che ce ne siamo accorti, i nuovi punti vulnerabili delle nostre democrazie.

 

«Un tipo di minaccia ibrida noto anche se difficile da individuare e fermare è quello in cui è specialista la Cina ed è quello degli investimenti su infrastrutture critiche, come le reti elettriche, le strade, la telefonia. Le infrastrutture critiche sono elementi base per il nostro stile di vita. E controllare quelle significa in parte avere le mani sui rubinetti delle nostre abitudini e delle nostre possibilità di comunicazione, di spostamento, di lavoro, di crescita economica. Ma la Cina è un Paese che negli anni è diventato molto abile e scaltro. E soprattutto che negli anni ha cambiato i suoi obiettivi. Se fino a pochi anni fa puntava solo a un’egemonia economica e commerciale, ora, invece, ha evidenti ambizioni politiche. E per questo ha affinato i suoi strumenti di penetrazione nelle società occidentali. Per esempio insediandosi nelle università e nei centri di ricerca, promuovendo strutture che in teoria sono centri culturali e di ricerca, ma in pratica sono basi per la propaganda e la politica di Pechino in Europa e in Occidente. Un’altra forma di minaccia ibrida ha a che fare con l’uso sapiente dei mercati finanziari e con i flussi delle merci, attraverso i quali controllare da lontano- come se fosse con un joystick - le economie e i flussi produttivi di tutto il mondo».

 

È dunque qui che si compie l’ultimo (e forse più beffardo) paradosso della globalizzazione degli anni ’90. «Fermare le minacce ibride è un po’ come fermare l’acqua con le mani. Non si può», conclude Hindren: «Ma si possono arginare, limitare, prevenire. Se siamo e saremo consapevoli, allora avremo anche strumenti, leggi e garanzie, per difenderci. Altrimenti di difesa non ci sarà traccia e saremo vulnerabili, scoperti, fragili”.

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