Le restrizioni per le lavoratrici, a un anno dalla conquista talebana, costano oltre un miliardo di dollari. L’occupazione femminile è diminuita del 16 per cento e il 42 per cento delle aziende guidate da donne ha temporaneamente chiuso. La denuncia della direttrice di Un Women

«Si stima che le attuali limitazioni all'occupazione femminile comportino una perdita economica fino a 1 miliardo di dollari, o fino al 5 per cento del prodotto interno lordo dell’Afghanistan», ha affermato, lo scorso maggio, Sima Bahous, la direttrice di Un Women, l'ente delle Nazioni Unite che lavora per favorire il processo di crescita e sviluppo della condizione delle donne e della loro partecipazione pubblica.

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12/8/2022

Perché, anche se le condizioni di vita sono più difficili per tutti da quando, il 15 agosto del 2021, i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto. L’elenco delle limitazioni della loro libertà è lungo e simile quello imposto tra il 1996 e il 2001, quando i talebani governarono gran parte del paese per la prima volta. Al dovere di rispettare severi codici di abbigliamento, alla segregazione di genere, all’impossibilità di viaggiare senza essere accompagnate dal mahram, un partente stretto maschio, e di frequentare le scuole secondarie, si aggiunge anche la difficoltà nell’accedere (o restare) al mondo del lavoro.

 

Come emerge da un rapporto dell’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, le donne sono state colpite in modo sproporzionato dalla crisi che ha seguito il cambio di amministrazione. Mentre l’occupazione maschile è diminuita del 6 per cento nei primi mesi del 2021, quella femminile del 16 per cento. Secondo le stime dell’Ilo il calo potrebbe essersi avvicinato al 28 per cento nella prima metà del 2022.

 

Per quanto riguarda il settore privato, da un recente sondaggio della Banca Mondiale emerge che il 42 per cento delle aziende guidate da donne in Afghanistan ha temporaneamente chiuso, contro il 26 per cento di quelle di proprietà di uomini. Nel pubblico: sebbene il nuovo regime non abbia licenziato le dipendenti del governo, ha impedito loro di entrare nei luoghi di lavoro. Poco dopo la presa del potere, i talebani hanno chiesto alle lavoratrici, che così ricevono stipendi fortemente ridotti per non fare nulla, di rimanere a casa.

 

Secondo i racconti di alcune funzionarie del ministero delle Finanze, nelle ultime settimane cresce il numero di quelle a cui viene chiesto di consigliare un familiare uomo che possa sostituirle (così da licenziarle). Sarebbero almeno 60 per Maryam che ha lavorato per più di 10 anni al ministero delle finanze afghano. E che, come ha detto al Guardian ha ricevuto una telefonata dal dipartimento delle risorse umane in cui le hanno chiesto di indicare un uomo che potesse prendere il suo posto di lavoro. «I talebani mi hanno retrocesso e ridotto il mio stipendio. Non posso nemmeno permettermi le tasse scolastiche di mio figlio. Quando l’ho fatto notare un funzionario mi ha detto bruscamente di uscire dal suo ufficio e ha detto che la mia retrocessione non era negoziabile», racconta.

 

Così per le donne diventa sempre più difficile avere una vita normale: aumentano le violenze domestiche e il tasso di suicidi, soprattutto tra le più giovani. Secondo il sito di informazione Afghanistan International, almeno 104 donne sono state uccise o si sono suicidate negli ultimi sei mesi. Almeno 28 sono tate uccise dal marito, 11 dai fratelli, dal padre o dai figli.

 

Ma dove c’è oppressione c’è resistenza. Lo testimoniano le proteste che le donne afghane organizzano nelle piazze delle principali città del paese, senza arrendersi, da mesi.

 

«Pane, lavoro, libertà» è lo slogan che ha animato la marcia dello scorso 13 agosto, durante la quale circa 40 donne hanno raggiunto il ministero dell’istruzione. È stata repressa con la violenza dalle forze talebane, che hanno che sparato in aria per disperdere la folla. Ma non sarà l’ultima.

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