La storia

C’è una guerra dei monumenti che si sta combattendo nei paesi ex-sovietici

di Alice Pistolesi   19 settembre 2022

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Dopo l’invasione dell’Ucraina, Estonia e Lettonia hanno deciso di tagliare i ponti con la Russia cancellando anche il passato. Una decisione che però sta spaccando l’opinione pubblica e creando non pochi problemi

Si fa i conti con una memoria che è scomoda per molti nei Paesi baltici.  Il processo che sta portando Estonia e Lettonia a “sbarazzarsi” dei simboli del proprio passato sovietico non si può considerare senza intoppi. Narva ne è un esempio. La terza città dell’Estonia, al confine con la Federazione Russa fa parte della contea di Ida-Virumaa, ed è, secondo le statistiche ufficiali, di etnia russa per tre quarti. La rimozione, il 16 agosto, di una replica di un carro armato T-34, che commemora i soldati sovietici che morirono combattendo la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale ha suscitato non poche proteste. Il primo ministro estone Kaja Kallas aveva rassicurato dicendo che il memoriale avrebbe trovato posto nel sistema museale e che «continuerà a essere un rispettato luogo di commemorazione dei morti».

La premier aveva poi affermato che la rimozione di questi simboli era necessaria per proteggere l’ordine pubblico e per impedire a Mosca di seminare discordia. La decisione di abbattere il tank non è però andata giù a molti. Sulle rive del fiume Narva, laddove si trovava il carro armato, si è ricreata una sorta di infiorata-monumento improvvisato, che viene curata ogni giorno da decine di persone.

Xinhua News Agency / eyevine. All Rights Reserved.

«Il carro armato», racconta una delle volontarie, «era stato costruito in onore dei liberatori. La sua distruzione ha lasciato un grande vuoto in tutti noi che abbiamo avuto almeno un parente morto nella seconda guerra mondiale. Per onorare la memoria dei nostri eroi continueremo a portare fiori». La grande “aiuola commemorativa” è colma di piante, corone, disegni, candele e riporta una ricostruzione del carro armato appena rimosso. L’iniziativa pare godere del sostegno popolare, visto che molte delle auto che transitano suonano il clacson per manifestare approvazione. Curare i monumenti che ricordano i caduti è una tradizione molto sentita in Russia ed è in gran parte portata avanti dai parenti dei 20 milioni di caduti nella seconda guerra mondiale. «La memoria», prosegue un’altra volontaria, «non può essere cancellata rimuovendo un simbolo, ma quello stesso simbolo ci serve per ricordare il sacrificio di chi è morto combattendo contro il nazismo».

I legami di Narva con la Russia sono sempre stati forti: la città è contigua alla russa Ivangorod e a 159 chilometri da San Pietroburgo. Il 97 per cento delle quasi 60mila persone che abitano nella città è russofono, per questo Narva è uno dei più grandi luoghi di lingua russa nell’Unione Europea per proporzione di popolazione.

Prima dell’invasione del 24 febbraio 2022 a Narva la popolazione guardava i programmi russi in televisione ma poi l’Estonia li ha banditi poiché considerati in gran parte propaganda del Cremlino. Attraversare il confine per i cittadini di Narva e Ivangorod era la normalità, mentre oggi è sempre più complicato. Entro il 19 settembre gli Stati baltici e la Polonia chiuderanno quasi completamente le frontiere ai cittadini russi, rendendo di fatto sempre più difficile poter entrare in Europa, anche per turismo. In una dichiarazione congiunta i capi di governo dei quattro Paesi membri hanno sottolineato che «viaggiare nell’Unione europea è un privilegio, non un diritto umano», aggiungendo di ritenere «inaccettabile che i cittadini dello Stato aggressore possano viaggiare liberamente nell’Ue, mentre allo stesso tempo le persone in Ucraina vengono torturate e uccise».

Il tank rimosso ad agosto non è il primo monumento che l’Estonia ha deciso di eliminare da quando il Paese ha riconquistato l’indipendenza nel 1991. Un precedente è stato nel 2007, quando lo spostamento di un monumento dedicato a un soldato dell’Armata Rossa a Tallinn scatenò giorni di rivolte. Con la guerra tra Ucraina e Russia la scelta di rimozione si è fatta più netta: in agosto il governo ha annunciato lo spostamento di sette monumenti di epoca sovietica a Narva.

Scelta criticata dalla Russia. «L’eliminazione», aveva dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, «dei monumenti a coloro che hanno salvato l’Europa dal fascismo è ovviamente oltraggiosa. Non fa credito a nessuna nazione».

Il tentativo di rimuovere il passato non è quindi una novità per i Paesi baltici. «Abbandonare il passato comunista», spiega a L’Espresso Simone Paoli, ricercatore di Storia delle Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, «è stato relativamente semplice. Nelle strade si è fatto, ad esempio, eliminando in tempi piuttosto rapidi le statue di Lenin o Marx. Fare i conti con la memoria dell’Urss, invece, era ed è più complicato perché il regime sovietico ha rappresentato oppressione ma anche liberazione dal nazismo, soprattutto per le minoranze russe. Credo che alla base di queste e di altre rimozioni in parte del mondo ex sovietico ci sia anche il tentativo di reinterpretare la storia della Seconda Guerra Mondiale, facendola passare da guerra contro la Germania nazista a guerra dell’Occidente contro i totalitarismi».

La rimozione del tank ha provocato anche un’ondata di attacchi informatici, descritti da Luukas Ilves, sottosegretario estone per la trasformazione digitale, come «i più estesi che il Paese ha dovuto affrontare dal 2007». I tentativi di hackeraggio si sarebbero però rilevati «inefficaci». A rivendicarli il gruppo di hacker russo Killnet, affermando tramite il proprio account Telegram di aver bloccato l’accesso a oltre 200 istituzioni statali e private estoni. Anche la Lituania era stata nel mirino del gruppo nel mese di giugno. E non c’è solo il tank estone a far discutere. Il 17 agosto anche la Lettonia ha compiuto una scelta di rimozione abbattendo un obelisco di 79 metri, divenuto secondo il Governo  un punto di raccolta per i sostenitori del Cremlino.

Anche nel caso lettone la decisione aveva provocato le proteste della minoranza russa, che nello Stato baltico costituisce circa il 30 per cento della popolazione. Costruito nel 1985 (quando la Lettonia faceva ancora parte dell’Unione Sovietica) il Monumento ai Liberatori era composto da un obelisco e da alcune statue. E anche in questo caso la rimozione non sarà l’unica. Recentemente il parlamento ha infatti votato in favore dell’eliminazione, entro la metà di novembre 2022, di tutte le statue, le targhe e i bassorilievi sovietici rimasti nel Paese.

«Con la guerra in Ucraina», continua Paoli, «la paura della Russia è tornata a essere più forte. Questo è legato anche alla difficile gestione delle minoranze russe che, soprattutto in Estonia e Lettonia, sono ancora cospicue. Le mai sopite tensioni interetniche sono una potenziale bomba a orologeria. Anche se ritengo poco probabile un’aggressione diretta da parte della Russia contro Paesi membri della Nato, la presenza di significative minoranze russe e la pretesa di Mosca di farsene paladina non può non suscitare antichi timori in importanti Paesi dello spazio post-sovietico».

Percorrendo le strade delle capitali dei tre Paesi (membri sia della Nato che dell’Unione Europea) il sostegno all’Ucraina e la condanna alla Russia di Putin è lampante. Le bandiere giallo-azzurre sono ovunque: nelle strutture pubbliche, in molte case private e sono vari i negozi che riportano cartelli con scritto «Non entrare se pensi che Putin sia cool».

Molti anche i monumenti illuminati con i colori di Kiev. A Vilnius, in Lituania, su ogni autobus di linea appare una scritta luminosa a favore della popolazione vittima del conflitto e sulle rive del fiume Neris campeggia “Slava Ucraini” (Gloria all’Ucraina) realizzata con fiori. Un’altra frase che ha trovato spazio nella città è «Putin The Hague is waiting for you» (Putin, il tribunale dell’Aja ti sta aspettando). A scriverla in caratteri cubitali in una strada vicino l’ambasciata era stato per la prima volta lo stesso sindaco Remigijus Simasius, mentre oggi il cartello campeggia su un grattacielo di proprietà del comune. Nella capitale estone l’ambasciata russa è presidiata dalla polizia e sulle transenne che la circondano centinaia di cittadini lasciano foto di caduti in guerra, cartelli, pensieri e accuse.

Sul fronte militare i tre Stati hanno incrementato da anni il proprio investimento militare in funzione anti-russa. Secondo i dati del Sipri (l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) l’Estonia è passata da una spesa in armi di 386milioni di euro nel 2014 a 646milioni nel 2021, la Lettonia da quasi 223milioni a 699 e la Lituania da 321milioni di otto anni fa, ha superato il miliardo di euro di investimento in armi lo scorso anno. Spese che hanno fatto superare a tutti e tre la soglia del 2 per cento del Pil nel 2021, come fortemente richiesto dalla Nato.