Zone d’ombra nelle carceri francesi. La morte sospetta di un giovane sotto custodia cautelare nella prigione di Grasse. Che viene trovato impiccato. Ma gli audio e le lettere in nostro possesso, che pubblichiamo, fanno emergere omissioni, segreti e silenzi

«Non è possibile che Daniel si sia suicidato». Proprio partendo da questa convinzione Branka Mikenkovic madre di Daniel Radosavljevic cittadino italiano di 20 anni, trovato impiccato nel carcere di Grasse in Costa Azzurra, porta avanti la sua battaglia per «la verità». Non è la suggestione di una madre. Sono decine i carteggi, le telefonate clandestine, le videochat che L’Espresso ha esaminato e che raccontano una storia che sembra svelare un finale bugiardo. Ripercorriamo le tappe dell’arresto di Daniel fino alla morte-e anche dopo- seguendo i documenti, finora inediti.

L’8 ottobre Daniele viene arrestato a Grasse, dopo un inseguimento dovuto al mancato rispetto di un ordine di fermata a un posto di blocco della gendarmerie. Ha 20 anni, un’adolescenza con precedenti per reati contro il patrimonio ma nessuna condanna da maggiorenne. Viene messo in custodia cautelare. Le accuse: inottemperanza all’ordine di fermo e tentato omicidio, a causa delle manovre pericolose durante la forzatura del posto di blocco. Ricostruzione contestata sin da principio dall’indagato.

 

L’INCHIESTA INTEGRALE

 

La scrittura per Daniel è terapia, da sempre. E quindi dalla cella scrive. Lunghissime missive alla famiglia, pensieri, annotazioni. «Uscito da qui voglio studiare per diventare educatore minorile». Una calligrafia chiara e rotonda. Il 15 gennaio chiama per l’ultima volta la madre. È sereno.

Il 18 gennaio il cellulare della madre squilla di nuovo. Dall’altro lato del telefono la direzione del carcere: Daniel è morto in mattinata. «Il detenuto Daniel Radosavljevic è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento, applicato più volte dal 16 gennaio, se pur in diverse sezioni». Fine della comunicazione.

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Poco dopo il telefono però squilla ancora. Daniel comunicava con la sua famiglia tramite un account Instagram “in comune” con i detenuti. È Daniel? Forse non è morto. Si sono sbagliati. Invece no, non è così: è un pensiero magico, questo. Daniel è morto. La conferma arriva da dietro le sbarre di Grasse: dall’altro lato del telefono un detenuto invita parenti a investigare: potrebbero esserci delle responsabilità in capo alla polizia penitenziaria. Ma non solo. Indica anche le telecamere che potrebbero aver ripreso la scena.

È il 24 gennaio quando la signora Branka Milenkovic arriva al carcere di Grasse e ritira i beni personali del figlio. Chiede di poter visionare la salma. Sul corpo i segni che rimandano a un pestaggio. Chiede spiegazioni. Nessuna risposta.

 

«Vogliamo la verità» dichiara la famiglia. Fonti e circostanze raccolte su L’Espresso in edicola, raccontano una storia di omissioni, segreti e silenzi. La famiglia ripete: l’indifferenza è un'offesa a chi crede nella Giustizia, a tutti i cittadini italiani che chiedono la verità sul caso di Giulio Regeni. Daniel Radosavljevic è un altro Giulio Regeni: morto in Francia.

 

Morto in quel paese condannato 18 volte dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, per le condizioni di detenzione degradante dei detenuti. Nel 2010, nello stesso carcere la morte un altro italiano, anche lui in circostanze mai del tutto chiarite e riconsegnato all’Italia senza organi. Si chiamava Daniele Franceschi. Daniele evoca Daniel. Nei nomi l’eco di un destino.