Personaggi
Javier Milei, dall’Argentina il nuovo idolo dell’ultradestra. Favorevole alla vendita di organi
Il leader estremista ha vinto alle primarie di domenica 13 agosto. Contrario all’aborto, all’educazione sessuale nelle scuole e per la privatizzazione selvaggia, ora rischia di guidare la seconda economia del Sud America
Vuole «dar fuoco» alla banca centrale e adottare il dollaro come moneta nazionale perché «metterà fine all’inflazione». È contrario all’aborto e all’educazione sessuale nelle scuole ma favorevole alla vendita di organi: «Un mercato in più». Odia la casta, pensa che i politici debbano «essere presi a calci in culo», che lo Stato sia «un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate alle persone con la forza. Stiamo restituendo i soldi che la casta politica ha rubato». Crede che tutti possano utilizzare le armi, vuole ridurre le tasse, i programmi assistenziali e privatizzare le imprese pubbliche.
È Javier Milei, 52 anni, membro del Congresso dal 2021, economista ed ex opinionista televisivo, il leader ultraliberista, «anarcocapitalista» come si definisce da solo, che ha vinto le primarie di domenica scorsa, il 13 agosto, in Argentina, quelle che servono per scegliere i candidati che si presenteranno alle elezioni presidenziali, trasformando il Paese in un banco di prova per le forze di estrema destra di tutto il mondo.
Il leader di La Libertad Avanza, partito che ha fondato, ha raggiunto il 30 per cento dei voti superando sia la coalizione di centrodestra sia quella di centrosinistra. E diventando, a sorpresa, da caricatura dell’estrema destra, il favorito per le elezioni presidenziali che si terranno il 22 ottobre. Anche se, secondo gli analisti, è più probabile che le sorti della nazione sudamericana da 46 milioni di abitanti, con alcune delle più grandi riserve mondiali di petrolio, gas e litio, si decideranno durante il ballottaggio del prossimo 19 novembre. Perché, come ha scritto il New York Times, i risultati di domenica hanno mostrato che le tre coalizioni hanno livelli di sostegno simili, rendendo improbabile che un candidato raggiunga o superi la soglia del 45 per cento necessaria per vincere al primo turno.
«Non solo porremo fine al Kirchnerismo (corrente politica di sinistra, che prende il nome dagli ex presidenti argentini Néstor Carlos Kirchner e Cristina Fernández de Kirchner ndr), ma porremo fine anche all'inutile, parassitaria casta politica criminale che sta affondando questo paese», ha dichiarato Milei ai suoi sostenitori durante il discorso post-voto. Quando ha ringraziato anche la sorella, che gestisce la sua campagna, e i cinque cani, «i suoi figli a quattro zampe», che prendono il nome da altrettanti economisti conservatori.
Il Trump o il Bolsonaro (che lo sostiene) della seconda economia del Sud America, dopo il Brasile, (così lo definiscono in molti) si è presentato come l’outsider in grado di portare avanti un cambiamento radicale di cui l'economia argentina avrebbe bisogno per uscire dalla crisi profonda in cui è precipitata: oltre all’abolizione della banca centrale, alla dollarizzazione della moneta e alla diminuzione drastica delle tasse, Javier Milei ha proposto anche di tagliare la spesa pubblica, addebitare alle persone l'uso del sistema sanitario pubblico, chiudere o privatizzare le imprese statali, eliminare i ministeri della salute, dell'istruzione e dell’ambiente. Conquistando il voto di chi cerca una rottura con il sistema vigente.
Anche se, come ha ricordato il quotidiano spagnolo El Pais, a pesare sul risultato raggiunto da “El Loco” - il soprannome che i compagni di scuola gli avevano dato a causa dell’aggressività - è stato pure l’astensionismo. Che domenica 13 agosto ha raggiunto un nuovo record, uno dei peggiori da quanto in Argentina è tornata la democrazia nel 1983: ha partecipato alle primarie il 69,6 per cento della popolazione. Nel 2019 aveva votato il 76,9 per cento.
«La vittoria di Milei ci parla soprattutto della misura dello sconforto e della rabbia che aleggia nella società argentina, che ha voluto esprimere questo profondo disagio con il voto delle primarie», ha scritto il quotidiano argentino El Clarín. Ma «avrà bisogno di qualcosa di più delle urla e dei gesti da outsider che gli hanno dato così buoni risultati ora. A ottobre dovrà costruire una maggioranza, non solo essere il candidato più votato».