La dichiarazione di annettersi la Guyana Esequiba è stata l'ultimo azzardo del presidente venezuelano. Una mossa disperata per tentare di riguadagnare la popolarità perduta. Ma ha già dimostrato in passato una capacità rara di sopravvivere al potere

I suoi propagandisti lo raffigurano come un eroe in mantella, “Súper Bigote” (cioè, Super Baffo), un fumetto che vola e sconfigge i nemici della patria. Ma Nicolás Maduro, presidente del Venezuela, finora ha dimostrato soltanto un vero superpotere: una straordinaria abilità di restare aggrappato al comando. Privo del carisma di Hugo Chavez, suo mentore, deceduto nel 2013, Maduro aveva ereditato un’economia traballante che cominciò a precipitare con la caduta del prezzo del petrolio. Dal 2014 a oggi il Prodotto interno lordo venezuelano è sceso del 70%, un tipo di devastazione che in genere si associa a una guerra. Nel 2019 Maduro era dato per spacciato. Juan Guaidó, all’epoca capo dell’opposizione (che ancora controllava il Parlamento), venne riconosciuto come presidente legittimo del Venezuela da una cinquantina di Paesi, tra cui gli Stati Uniti. Questo perché nel 2018 Maduro aveva truccato il voto per farsi rieleggere al secondo mandato.

 

L’America intensificò le sanzioni. L’idea di Donald Trump era strozzare ciò che restava dell’economia venezuelana, innescando proteste antiregime che avrebbero portato al governo Guaidó. Ma è a quel punto che deve essere entrato in azione Súper Bigote, l’alter ego di Maduro, non un eroe, piuttosto un mago della sopravvivenza a ogni costo. Maduro ha neutralizzato i rivali, arrestato i nemici e tenuto fedele l’esercito consentendogli racket ultra redditizi. Lo aiuta il fatto che il regime abbia un controllo quasi totale sui media. Da ultimo l’opposizione democratica si è divisa, perdendo slancio. E con alcuni accorgimenti economici, come consentire il commercio in dollari, nel Venezuela dei giorni più recenti è arrivata almeno una parvenza di tempi migliori – se non altro l’inflazione è diminuita. Insomma, contro ogni previsione Maduro è restato al comando.

 

Da qui in poi inizia la seconda fase del tentativo di risalire la china. Si comincia con la guerra in Ucraina per arrivare alle notizie più recenti: il referendum per annettere una grossa fetta della Guyana, Paese ricco di petrolio e confinante col Venezuela. Dopo la vittoria del sì – la vera affluenza in realtà è stata scarsa, più bassa delle primarie dell’opposizione in ottobre – Maduro il 5 dicembre ha ordinato la creazione di un nuovo stato venezuelano, la “Guyana Esequiba”. Cosa succederà adesso? Annettere sul serio quella regione, che ha circa 800 mila abitanti, è un suicidio militare e diplomatico.

 

Perché Super Baffo ha scelto di essere un paria di nuovo? Facciamo un passo indietro. Nel 2022, con l’invasione dell’Ucraina, il pendolo delle relazioni internazionali è girato in favore di Maduro. L’America di Joe Biden ha dovuto ricalibrare il rapporto con gli Stati petroliferi. È partita una caccia globale ad alternative al greggio russo. Così gli Usa hanno corteggiato l’Arabia Saudita, hanno lasciato che l’Iran – nonostante le sanzioni – esportasse più petrolio. Infine è stato ripensato anche l’isolamento di Maduro. Il Venezuela detiene il 20% delle riserve petrolifere accertate del mondo, più di qualsiasi altro Paese. Intendiamoci, dopo decenni di cattiva gestione, l’industria petrolifera venezuelana è messa troppo male per fare la differenza nel breve termine. In media il Paese oggi sforna circa 730 mila barili al giorno, meno dell’1% della produzione globale.

 

Ma le sanzioni paradossalmente sembrano aver rafforzato Maduro, infliggendo ancora più sofferenza alla gente comune. Era tempo quindi di un cambio di strategia. Ecco il piano di Biden: allentare la morsa economica, a patto però che Maduro accetti di ripristinare la democrazia. Le possibilità di fallimento sono reali, come dimostra lo scellerato referendum sulla Guyana. Eppure all’inizio, con gran sorpresa degli scettici, era stato fatto un passo avanti notevole. Il 17 ottobre scorso, alle Barbados, membri del governo e dell’opposizione hanno trovato un accordo per aprire la strada a elezioni presidenziali libere nel 2024. Il giorno dopo si è capito cosa aveva convinto Maduro. Il 18 ottobre Biden ha annunciato la revoca immediata della maggior parte delle restrizioni imposte al settore energetico, aurifero e finanziario del Venezuela. Secondo gli analisti, gli incassi della società petrolifera di stato Pdvsa potrebbero raddoppiare. Le aperture di Biden però verranno revocate in fretta, se Maduro tradisce i patti.

 

La richiesta più complicata riguarda le primarie dell’opposizione, tenutesi il 22 ottobre, in cui ha stravinto la conservatrice Maria Corina Machado. Da sempre una dura antichavista, Machado vuole privatizzare l’economia del Venezuela e in elezioni libere vincerebbe a man bassa, secondo i sondaggi. Il regime però lo scorso giugno, con accuse pretestuose, le ha vietato di ricoprire cariche pubbliche – a lei e altri membri dell’opposizione. Questo è un punto dirimente. Gli Stati Uniti hanno chiarito che tutti i candidati «devono essere reintegrati». Maduro sembrava aver parzialmente soddisfatto tale richiesta, annunciando che i politici dell’opposizione (tra cui Machado) possono fare ricorso in tribunale contro le sentenze ai loro danni entro il 15 dicembre. Ora però Super Baffo sta forzando pericolosamente la mano di Biden. Ha indetto un plebiscito surreale per inglobare un pezzo di Stato sovrano. Sulla Guyana il Venezuela accampa da sempre delle rivendicazioni e Maduro ha pensato che il referendum lo avrebbe reso più popolare. Ma l’affluenza scarsa ha dimostrato il contrario. Súper Bigote ha capito che con elezioni libere perderebbe il potere. Cosa farà adesso?