
Sia chiaro: Obama è nei guai. Da un sondaggio Gallup risulta che appena il 40 per cento degli americani apprezza la sua performance da presidente. Ciò non stupisce, se si considera che il 9,1 per cento della popolazione è senza lavoro. Da una prospettiva storica, l'economia è sempre stata il singolo rilevatore migliore per prevedere l'elezione di un presidente: nessuno, infatti, ha ottenuto un secondo mandato alla Casa Bianca se la disoccupazione superava il 7,4 per cento. Ora che pare sempre più plausibile una seconda recessione (la famigerata "double-dip"), in teoria non c'è granché da sperare che il tasso di disoccupazione migliori prima di novembre 2012.
Nel frattempo, il nucleo dei sostenitori di Obama ha perso entusiasmo, dopo averlo visto girarsi ripetutamente all'indietro per trovare un compromesso con i repubblicani, che non hanno interesse alcuno a trovarne. La maggior parte di questi sostenitori lo voterà ancora, ma non è questo ciò che più conta. Nel 2008 Obama trionfò perché a migliaia i suoi fedelissimi sostenitori rinunciarono ai loro fine settimana e alle loro serate tranquille per andare a bussare di porta in porta, per telefonare e svolgere il duro lavoro necessario a portare alle urne milioni di elettori meno motivati. Oggi, sconfortati dal fatto che il presidente Obama non si è battuto con sufficiente determinazione per assicurare agli Usa ciò che il candidato Obama aveva promesso, molti suoi sostenitori dichiarano che non lavoreranno come volontari per la campagna 2012, e ciò potrebbe compromettere ulteriormente le speranze di rielezione.
Come si è arrivati a questo? Sì, è vero, Obama ha ereditato un'economia pressoché al collasso. Sì, è vero, il presidente deve tener testa a un partito di opposizione che lo detesta furiosamente ed è ferocemente determinato a fargli fare fiasco, a prescindere da quanto ciò possa costare alla nazione. Ma sono proprio queste circostanze a rendere inspiegabile il fatto che Obama abbia messo in disparte il suo mantra del "Yes We Can". Per il presidente l'unico modo per prevalere contro simili ostacoli sarebbe stato proprio quello di attenersi fedelmente alla parola d'ordine che aveva ispirato così tanti americani a dargli il loro appoggio. "Yes We Can" è stato la firma di Obama, lo slogan scandito a ogni apparizione nei comizi e amato dal pubblico, soprattutto dai giovani. "Yes We Can", però, non era solo uno slogan coinvolgente e felicemente travolgente: era, e questo è il punto, anche espressione di una teoria del cambiamento.
Come ripetutamente disse il candidato Obama, i problemi di Washington andavano ben oltre l'ottusa testardaggine di George W. Bush. Il problema di fondo era che Washington era controllata da interessi speciali - i ricchi, i potenti, quelli che hanno le conoscenze giuste - ed erano questi gruppi di interesse a impedire che il governo lavorasse per il bene del popolo americano. Questi interessi erano talmente forti che nemmeno un presidente poteva riuscire a superarli. Una riforma sarebbe diventata possibile - così spiegava Obama - solo se tutta la popolazione si fosse unita a lui nell'esercitare pressioni sul Congresso perché l'interesse pubblico fosse anteposto agli interessi di parte.
Paradossalmente, la dimostrazione migliore dell'efficacia della teoria del cambiamento sintetizzata in "Yes We Can" la fornì Ronald Reagan, da destra. Il presidente Reagan si specializzò infatti nello scavalcare i vertici ufficiali di Washington e fare appello direttamente alla popolazione, invitandola a fare pressioni sul Congresso in appoggio alle sue riforme che erano molto più radicali di quelle di Obama (per quanto orientate verso tutt'altra parte).
Nondimeno, da quando Obama è presidente ha voltato le spalle al "Yes We Can", preferendo giocare a livello interno: invece di unire l'opinione pubblica contro lo status quo di Washington, ha dato per scontato quest'ultimo e ha cercato di negoziare meglio che poteva. In sintesi, ha messo in pratica il "Yes He Can", invece del "Yes We Can". I risultati conseguiti parlano da soli: un fiacco programma di stimoli che ha lasciato l'economia claudicante; una riforma dell'assistenza sanitaria che la maggior parte degli americani non capisce o non appoggia; un'attenzione rivolta più alla riduzione del deficit che alla creazione di nuovi posti di lavoro; e soprattutto nessuna chiara percezione tra gli elettori di ciò per cui Obama si sta battendo.
Non è troppo tardi per cambiare. Tuttavia, se Obama non ridarà nuovo vigore al "Yes We Can", se non dimostrerà palesemente di essere disposto a lottare per e con il popolo americano, offrirà a un elettorato già comprensibilmente insoddisfatto davvero pochi motivi per votarlo una seconda volta.
traduzione di Anna Bissanti