Il premier sembrava destinato a finire la sua esperienza sotto la tutela dei vecchi politici. Invece è successo il contrario. E ora la sua presenza 'ingombrante' spaventa i leader

Ormai, di Mario Monti i partiti non si libereranno facilmente. Fino alla scorsa settimana, indebolito dall'aggravarsi della crisi con conseguente, crescente riottosità da parte dei cittadini a reggere l'accresciuta imposizione fiscale, da uscite improvvide di alcuni suoi ministri e dalla difficoltà a far funzionare l' apparato amministrativo il presidente del Consiglio sembrava sul punto di consumare la sua esperienza "sotto tutela". Il più baldanzoso di tutti nella carica contro il governo Monti era il redivivo Berlusconi. Al vecchio Cavaliere non pareva vero potersi vendicare di chi l'aveva disarcionato e riprendere a manovrare per linee interne contando su vecchi compagni di strada, come la Lega, e su sponde impreviste, come Antonio Di Pietro.

BERLUSCONI, e con lui molti altri, non hanno però ancora capito che l'arena nazionale non è più il solo "spazio" nel quale si valuta la politica di un esecutivo. Esiste anche una sfera globale i cui giudizi sono sempre più influenti. In quest'ambito i vari governi nazionali sono giudicati in base a un gioco di rimandi tra l'immagine del paese e quella dei suoi leader. Un paese di prima grandezza, solido ed efficiente ma rappresentato da un leader inadeguato abbassa sensibilmente lo standing internazionale della nazione e ne indebolisce l'influenza. La presidenza di Nicolas Sarkozy esemplifica bene questo squilibrio: una nazione rilevante come la Francia ha perso gradualmente di peso nell'arena internazionale proprio a causa della contraddittorietà e inconsistenza del suo presidente. Allo stesso modo, ma in maniera ben più drammatica, la lunga presenza di Silvio Berlusconi alla guida dell'Italia ne ha disastrosamente offuscato l'immagine. Il nostro "downgrading" non inizia improvvisamente l'estate scorsa quando, in effetti, poco era cambiato per far scatenare da un giorno all'altro la speculazione. Semplicemente, da molti anni nella community globale si erano riaffacciati i peggiori stereotipi dell'italiano furbo e pasticcione, affarista e inaffidabile, corrotto e levantino. A un certo momento qualcuno ha detto basta e si è rotta la diga.

MARIO MONTI RAPPRESENTA tutto il contrario agli occhi della comunità internazionale. Ma non è semplice invertire una tendenza al "downgrading". Per dissipare diffidenze e dissolvere stereotipi serve tempo. E anche occasioni speciali, circostanze fortunate. Il Consiglio europeo di Bruxelles del 28-29 giugno ha fornito una di queste preziose opportunità. L'attenzione di tutta la comunità degli affari era concentrata su quell'evento e lì è emerso come protagonista (e vincitore) il presidente Monti. Di fronte a questo successo internazionale l'arena della politica interna rimpicciolisce. I partiti si ritrovano ridimensionati, ricondotti a una condizione di "marginalità" rispetto al governo. I propositi più bellicosi della destra forza-leghista, in versione riveduta e ridotta, per ora, rientrano. Allo stesso tempo, le forze più responsabili del centro e della sinistra, che hanno continuato a difendere il governo, guadagnano spazio. Monti, pur dovendo contare ancora sul voto del Pdl, non può far finta di non vedere o sentire la differenza di toni e giudizi tra destra e centro-sinistra. Dovrebbe prenderne atto. E distinguere anche chi nel Pdl ha atteggiamenti concilianti e chi vuole invece sfasciare tutto. Il governo oggi è più forte. Si è ricreata una situazione da nuovo inizio. Può finalmente prendere quelle decisioni che fin qui ha rimandato per mancanza di convinzione o coraggio: tagliare rendite e privilegi, sprechi e ruberie, evasioni ed elusioni; favorire merito e intrapresa, giustizia e legalità, risparmio e lavoro. Ora è lecito attendersi uno scatto in avanti.

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