Il 17 luglio altri tre poliziotti vengono uccisi in un agguato a Baton Rouge, in Louisiana. Tre poliziotti di cui uno di colore. L’omicida, poi freddato, era un ex marine di 29 anni, un afroamericano di Kansas City.
La sera dell’agguato sui social sono state pubblicate foto di Montrell Jackson, il poliziotto nero trentaduenne ucciso - un uomo di colore, ucciso da un altro uomo di colore, che spara per vendicare la morte di altri fratelli di colore - ed è stato diffuso un suo post pubblicato su Facebook il 7 luglio scorso, quindi successivo di due giorni all’omicidio di Alton Sterling sempre a Baton Rouge per mano di due poliziotti bianchi, colleghi di Montrell Jackson.
Leggere quel post è straziante. Dopo l’omicidio di Sterling, la comunità evidentemente mette in discussione l’integrità di chiunque faccia parte del corpo di polizia, e Montrell Jackson vive una contraddizione: risulta odioso quando è in divisa e appare un pericolo quando non la indossa perché è un poliziotto ed è nero. Ma lui dice che a parlare non deve essere né il colore della sua pelle, né la sua uniforme, ma le sue azioni, ciò che fino a quel momento ha fatto. Ovviamente l’odio e la rabbia sono sentimenti che accecano ogni possibilità di ragionamento, e quindi, domenica 17 a parlare è stata solo la sua divisa, una divisa che lo ha reso bersaglio. Se non l’avesse indossata, avrebbe potuto essere un bersaglio opposto, un uomo nero da temere e neutralizzare.
Quanto è difficile ragionare su tutto questo e quanto è necessario allo stesso tempo farlo! Non possiamo dire: non me ne intendo di armi, non so nulla degli Stati Uniti, non mi interessa la questione razziale; abbiamo il dovere di informarci, di farci un’opinione al riguardo, dobbiamo soppesare le ragioni di una parte e dell’altra per non essere preda di strumentalizzazioni, di semplificazioni e populismi.
Ora Montrell Jackson è morto e per rispetto verso di lui, e per rispetto verso le persone di colore freddate dalla polizia, su questi episodi di violenza bisogna spendere ragionamenti. Bisogna soffermarsi e provare a capire. «Non conosco bene questo argomento e quindi non ne parlo» non è atteggiamento coerente, ma atteggiamento codardo. Non conosco questo argomento, quindi mi informo e poi ne parlo. Mi faccio un’idea che sia mia, non del mio gruppo politico di riferimento, non delle persone che mi stanno accanto. No, una idea che sia proprio mia e che, attraverso il dialogo e il confronto, potrei voler cambiare.
Negli ultimissimi giorni sono successe cose tremende che hanno messo alla prova il mondo. Anzi, forse sarebbe più giusto dire il nostro mondo, perché altri luoghi e altri popoli, nemmeno tanto lontani, luoghi e popoli cui raramente prestiamo attenzione, vivono da tempo prove assai più dure di queste.
La tragedia ferroviaria in Puglia, la strage di Nizza, il colpo di Stato in Turchia, gli omicidi negli Stati Uniti, poliziotti che ammazzano neri e neri che ammazzano poliziotti. E su questo, per alcuni, non dovrei esprimere una opinione. Per alcuni dovrei occuparmi di cosa? Forse di mafie e basta.
Rispondo a loro e dico: tutti dovrebbero intervenire su tutto, tutti dovrebbero avere una idea su ciò che accade, giusta o sbagliata che sia. Ciascuno di voi dovrebbe farlo e tanto più deve farlo chi ha un ruolo pubblico, chi è in qualche modo riconoscibile. Professori, giornalisti, uomini di chiesa, scrittori, ma anche magistrati, avvocati, appartenenti alle forze dell’ordine, bancari, commessi.
Noi tutti dobbiamo necessariamente avere un’idea su ciò che ci circonda, su ciò che di importante accade. Noi tutti dobbiamo avere opinioni su ciò di cui la politica discute, non importa quanto complesso sia e quanto lontano tutto appaia dal nostro mondo. Non aspettiamo che il pensiero unico ci tolga la possibilità di ragionare, ci tolga la curiosità di informarci e approfondire per poter dire la nostra. Proporre interpretazioni non significa imporre la propria idea, ma aggiungere tasselli che possano stimolare dibattiti. Esporsi: ecco, intervenire significa esporsi e per esporsi ci vuole coraggio. Troppo facile tacere. Troppo facile dire non ne so nulla e quindi non ne parlo. Leggi, informati, capisci ed esprimi la tua opinione.
Perché mai, poi, sarebbe meglio tacere? Per rispettare le vittime? Ma siamo davvero sicuri che le vittime preferirebbero il silenzio? E se tacciamo noi chi sarà titolato a parlare?