Ogni anno oltre 30mila persone sono segnalate per consumo personale: dal 1990 sono state oltre 1.300.000. La gran parte solo per avere fumato uno spinello

La decisione della Corte Costituzionale di non ammettere al voto il referendum sulla mitigazione delle sanzioni previste dalla legge antidroga per la canapa, resterà scolpita nella storia per le gravissime conseguenze nel rapporto con le istituzioni di una parte consistente della società e particolarmente di centinaia di migliaia di giovani che si erano illusi di poter contare.

 

L’attesa della sentenza è stata spasmodica e la ragione di questa emozione risiede nel merito del tema, testimoniata già dallo straordinario successo della raccolta di firme che in una sola settimana di settembre superò il traguardo delle cinquecentomila firme necessarie. Ma va sottolineato un altro motivo, legato alla crisi della democrazia e alla evanescenza della partecipazione evidenziata clamorosamente dalla percentuale dei votanti alle ultime elezioni. Tanti giovani, destinati alla solitudine politica e alla sfiducia nei partiti e nelle manovre di sotto potere, esplose nel teatrino dell’elezione del presidente della Repubblica, nella proposta referendaria si erano rivelati protagonisti.

 

La promessa di Giuliano Amato, neo presidente della Consulta, di non cercare il pelo nell’uovo per respingere i referendum, si è invece rivelata una turlupinatura. È ora destinata a durare come una maledizione a lunga storia di repressione, cominciata nel 1990 con la legge Iervolino-Vassalli, voluta da Bettino Craxi, folgorato dal pensiero unico del proibizionismo, nato negli Stati Uniti, che così tradì le battaglie laiche e libertarie di Loris Fortuna.

 

Nel 1993 il popolo sovrano con un referendum bocciò le norme più ideologiche e punitive, ma il Parlamento non ne trasse le conseguenze dovute e addirittura nel 2006 con un decreto truffaldino impose un aggravamento delle norme con una pena da sei a venti anni di carcere per il possesso di qualunque sostanza, cancellando la differenza tra droghe pesanti e leggere, all’insegna dello slogan «la droga è droga».

 

Finalmente nel 2014 la Corte Costituzionale (relatrice Cartabia) cancellò quella aberrazione. Ma anche quella occasione non fu colta. L’Italia vede tuttora un record di sovraffollamento delle carceri, costrette a condizioni inumane e degradanti delle carceri, non per un mero accidente, ma proprio a causa della legge antidroga.

 

Il 35 per cento dei reclusi è incarcerato per droghe spaccio e il 25 per cento è classificato come «tossicodipendenti». Un quadro terrificante! Cui si somma un altro dato ancor più eloquente: ogni anno 30/40.000 persone sono segnalate ai prefetti per consumo personale e colpite da sanzioni amministrative odiose come il ritiro della patente.

 

Dal 1990 tali segnalazioni sono state oltre 1.300.000, la gran parte semplicemente per avere fumato uno spinello. Non si può che definirla una persecuzione di massa che colpisce i giovani e li marchia con uno stigma perpetuo.

 

La decisione della Corte Costituzionale rafforza questa macchina del fango e l’idolatria del penale, contro lo Stato di diritto. Siamo condannati a essere stranieri in patria.

 

Franco Corleone è Presidente del Comitato scientifico della Società della Ragione