Belle storie
Francesco Panzera, il prof calabrese che ha combattuto la mafia a scuola. Ed è stato ucciso per questo
L’insegnante calabrese fu ammazzato nel 1982 perché cercava di proteggere i suoi alunni e di allontanarli dalle attività delle cosche. Ma sono proprio gli studenti, talvolta, a chiedere aiuto per affrancarsi da famiglie legate alla ’ndrangheta
«La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari». Lo disse lo scrittore Gesualdo Bufalino, dopo la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La scuola e la cultura fanno paura alle mafie, perché rendono più robusti i ragazzi contro ogni forma di prevaricazione, soprattutto in quelle zone dove il familismo crea una rete pericolosa e omertosa, dove i pochi rischiano di diventare nessuno. Perché si sa, la ’ndrangheta è una bestia che si vuole alimentare in silenzio.
Giovanni Falcone raccontava quanto pesasse l’impianto familiare nelle organizzazioni criminali per mantenere integra l’immagine e la reputazione. Un ricatto molto difficile da cui affrancarsi, figuriamoci per un ragazzo a cui insegnano che «la famiglia viene prima di tutto, a prescindere da tutto».
Anni fa fece notizia un liceo di Rosarno in cui gli studenti decisero di prendere le distanze dalle famiglie ’ndranghetiste. Il merito di questa rivoluzione culturale fu anche della dirigente scolastica Mariarosaria Russo che decise di gettare semi di legalità nella sua scuola.
Uno studente appartenente alla famiglia Pesce di Rosarno, durante un’assemblea nel 2017, chiese coraggiosamente ai magistrati Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino in visita a scuola: «Come devo comportarmi per compiere un percorso di legalità? Devo rinnegare la mia famiglia?». I magistrati risposero che prendere le distanze da un familiare non vuol dire prendere le distanze dall’amore filiale, ma condannare la forma di illegalità. E qualcosa cambiò.
«Sono stati gli studenti a rieducare le proprie famiglie e a non essere più coinvolti in quei circuiti di illegalità. Questo anche grazie alla collaborazione con diversi magistrati che hanno aiutato a far comprendere che anche per i figli dei boss ci sarebbe stata una seconda possibilità», racconta la preside.
Insegnare è una missione, in casi come questi è una salvezza.
Lo sapeva bene Francesco Panzera, professore di Matematica e vicepreside del liceo scientifico Zaleuco di Locri, una zona nota alle cronache per l’altissima incidenza criminale. La sera del 10 dicembre 1982 venne ucciso con otto colpi di pistola fuori casa a soli trentasette anni, dopo una gita in montagna. Contestava lo spaccio di droga che coinvolgeva i suoi studenti, fuori e dentro la scuola. Aveva osato ribellarsi al business in ascesa per le cosche: il traffico di droga. Voleva sensibilizzare i suoi ragazzi per proteggerli. Panzera era molto stimato, carismatico, poteva essere davvero ascoltato e diventare un disturbo per la ’ndrangheta: doveva essere fermato.
Libera informa che circa l’80 per cento dei familiari di vittime non ha ottenuto una verità giudiziaria o ne ha una solo parziale, e molti di loro non hanno mai ritrovato il corpo di un figlio, di un padre, di un fratello. A quarant’ anni dall’omicidio del professore coraggioso di Locri non si conoscono i mandanti e gli esecutori del suo omicidio. Il liceo scientifico Zaleuco ha deciso di commemorarlo, insieme con i suoi ex studenti e i familiari, per dimostrare che più forte della morte è davvero l’amore per la verità e la giustizia.
Recuperare la memoria è l’unica arma da introdurre nelle scuole.