Tassi d’interesse bassi avvantaggiano chi è indebitato, mentre penalizzano chi ha depositi. E che, negli ultimi anni, ha subito una sorta di pesante patrimoniale. Perciò è curioso che il governo Meloni critichi le mosse della Bce, mirate a correggere la situazione

«La ricchezza è passata dalle famiglie alle banche. Bisogna fermare l’eutanasia del risparmiatore»

Questo mese stiamo tranquilli. Il Consiglio direttivo della Bce non si riunirà e non ci saranno aumenti dei tassi di interesse. Se ne riparla casomai il 14 settembre, data della prossima riunione. La pausa estiva ci consente allora di fare il punto su quello che la Bce ha fatto finora. Da più parti in Italia, anche da esponenti di primo piano del governo (Meloni, Tajani, Salvini), sono state levate nuove critiche ai recenti aumenti dei tassi di interesse perché, si dice, l’inflazione in Europa non è dovuta a una crescita troppo forte della domanda di beni e servizi, ma ai prezzi delle materie prime che non sono influenzati da quel che fa la Bce.

Ho già spiegato in altre occasioni perché queste critiche sono sbagliate: l’inflazione ha ormai anche in Europa una componente da domanda, i tassi di interesse andavano comunque alzati per evitare che questa componente aumentasse (o comunque si creasse) e, in ogni caso, la Bce assieme alle altre banche centrali di tutto il mondo contribuisce alla domanda globale che influisce sul prezzo delle materie prime. Ho anche spiegato che, a questi tassi di interesse, un rallentamento della crescita è certo, ma non è detto (dopo un primo trimestre di crescita forte in Italia e un declino nel secondo trimestre) che sia necessaria una recessione per bloccare l’inflazione.

Invece di ripetere, in dettaglio, questi argomenti, vorrei ora sottolineare come tassi di interesse più alti servano anche a contenere quel processo di vera “eutanasia del risparmiatore” che ha caratterizzato gli ultimi due anni. Tassi di interesse bassi avvantaggiano chi è indebitato e penalizzano chi ha risparmiato. Il governo Meloni, sempre preoccupato del futuro delle famiglie italiane, dovrebbe tenere a mente che le nostre famiglie sono famiglie di risparmiatori e che, fra l’altro, detengono più 1.100 miliardi di depositi bancari, remunerati negli ultimi due anni a tasso zero o quasi.

Il valore di questi depositi in termini di potere d’acquisto si è ridotto (per effetto dell’inflazione) di quasi il 5% nel 2021, di quasi il 12% nel 2022 e probabilmente di circa il 4% quest’anno. Quindi tra fine 2020 e fine 2023 il valore dei depositi sarà stato tagliato di oltre il 20%, almeno 200 miliardi. Chiamatela pure la “cessione del quinto”! Un quinto della ricchezza detenuta è passata dalle famiglie alle banche. Ma siccome le banche detengono a loro volta attività finanziarie, il trasferimento della ricchezza ha beneficiato in gran parte i debitori delle banche e, in primis, lo Stato italiano che si era indebitato in Btp a tasso fisso, il cui valore è stato eroso dall’inflazione. Con un’aliquota implicita del 20%, si è trattato della più grande patrimoniale della storia d’Italia, altro che lo 0,6% del governo Amato del 1992!

Ora, non si può certo imputare al governo italiano l’inflazione. Ma è curioso che il governo critichi chi, aumentando i tassi di interesse, corregge almeno in parte questa situazione. Il livello attuale del tasso di riferimento della Bce (4,25%) copre a mala pena la perdita che la Bce subisce, in termini di potere d’acquisto, sugli euro prestati. Le banche stanno aumentando i tassi sui depositi, che restano però ancora più bassi del tasso di inflazione. L’eutanasia continua, ma è un po’ meno pesante del passato. Non credo si possa criticare la Bce per tutto questo.

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