Carlo Cottarelli: «L'Italia non può permettersi di essere euroscettica»

La fiducia nell'Europa peggiora, nonostante Bruxelles abbia mostrato nell'ultimo periodo un atteggiamento più flessibile. Ma solo l'Unione dà la forza per contare davvero sullo scenario internazionale

Commento due notizie non recentissime su cui, però, credo sia utile riflettere. Entrambe riguardano i nostri rapporti con l’Europa e col resto del mondo. La prima è la pubblicazione di un sondaggio realizzato da Ipsos, i cui risultati sono riassunti in un articolo di Nando Pagnoncelli apparso sul Corriere della Sera del 16 settembre. La seconda è l’annuncio fatto da Ursula von der Leyen durante il suo discorso sullo stato dell’Ue del 13 settembre: l’Ue avvierà un’indagine sui sussidi che la Cina dà alle sue industrie per la produzione di auto elettriche.

 

Il sondaggio di Pagnoncelli conferma la limitata fiducia che gli italiani hanno nei confronti delle istituzioni europee. Solo il 39% ha fiducia nell’Ue, contro il 48% che non ne ha (il resto non si esprime). La percentuale degli scettici sale per i due partiti nazionalisti (Fratelli d’Italia e Lega) e per il populista Movimento 5 Stelle. Questi risultati non sono una novità: anche i vari “eurobarometri” pubblicati in passato dalla stessa Ue indicano che, assieme a Paesi come la Grecia, siamo tra i più euroscettici. La cosa non doveva sorprendere più di tanto quando l’Europa era identificata con l’austerità o, per lo meno, con il disinteresse che le istituzioni europee sembravano manifestare per un intervento in soccorso di Paesi sottoposti agli attacchi speculativi dei mercati finanziari. Ma, ormai da tempo, l’Europa ha mostrato una faccia diversa: i quasi 200 miliardi di euro di finanziamento del Pnrr dovrebbero parlare da soli. Ma anche questo non è bastato: negli ultimi anni abbiamo assistito a un recupero di popolarità dell’Ue, ma solo parziale.

 

L’euroscetticismo degli italiani cozza contro il ruolo essenziale che le istituzioni europee, se sufficientemente forti, svolgeranno nei prossimi anni. La seconda notizia rende questo evidente. Da anni la Cina si prepara alla transizione del settore automobilistico all’elettrico. Ha preso la leadership nella produzione di batterie (come peraltro ha fatto per il fotovoltaico) e quindi riesce a produrre auto elettriche a prezzi molto inferiori a quelli delle case automobilistiche europee. Come è stato possibile? L’indagine annunciata dalla presidente von der Leyen probabilmente confermerà quel che tutti già sanno: lo Stato cinese sussidia pesantemente la produzione di auto elettriche da parte di imprese cinesi. Ha quindi fatto bene la Commissione europea a puntare i piedi per terra: siamo tutti a favore della concorrenza, ma questa dev’essere ad armi pari. All’interno del mercato unico europeo i sussidi statali sono vietati (anche se con ovvie eccezioni, come nel periodo del Covid). Non possiamo esporci, però, ai sussidi che arrivano da Stati come la Cina al di fuori dell’Unione.

 

Che c’entra questo con l’euroscetticismo? Dovrebbe essere evidente che, nel trattare con la Cina di questo e altri problemi, i Paesi europei (compresa l’Italia, dove ancora si produce quasi mezzo milione di auto l’anno) si troverebbero in una posizione di estrema debolezza se agissero individualmente. Va bene che qualche volta Davide sconfigge Golia, ma di solito questo non avviene. L’unione fa la forza, in altri termini, e nel negoziare col colosso cinese, se l’Europa non si è unita, resterà sempre in una condizione di pesante inferiorità. Il nostro euroscetticismo va rivisto anche alla luce della nuova geopolitica mondiale.

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