Il ministro con le sue sparate è in cronaca un giorno sì e l'altro anche. Ormai è diventato uno stereotipo, come il celebre e fastidioso vicino di Homer Simpson

Abbiamo un grosso problema con Francesco Lollobrigida, e si chiama flanderizzazione. Ai sempre attivi avvocati del ministro vale la pena precisare che non è una parolaccia, ma un termine ispirato a Ned Flanders dei Simpson, e indica quel processo che esagera progressivamente le caratteristiche di un personaggio.

 

Il Ned Flanders in questione, infatti, si trasforma a mano a mano da buon vicino di casa a fondamentalista religioso così radicale da mandare in crisi anche un reverendo: flanderizzare, insomma, significa creare uno stereotipo e, come si sa, gli stereotipi segnano quasi sempre il declino di una storia. Ora, a forza di flanderizzarsi, il ministro Lollobrigida è in cronaca un giorno sì e uno anche: già la vicenda della fermata speciale del treno sarebbe bastata per evocare gli spettri del Bagaglino. Ma poi, in ordine sparso, sono venuti i poveri che mangiano meglio dei ricchi, il formaggio di Stato e, da ultime, le cene che evitano le guerre. Su cui consiglieremmo almeno la visione di Game of Thrones, stagione tre, episodio nove, Nozze rosse: è fiction, vero, ma direttamente ispirata alla Cena Nera del 1440, quando il re scozzese invitò i capi del Clan Douglas e, dopo aver servito loro la testa mozzata di un toro nero, li sterminò (volendo essere pignoli, seguì il Massacro di Glencoe nel 1692, quanto il Clan McDonald uccise 38 membri del Clan Campbell dopo il pasto).Flanderizzare Lollobrigida è dunque un problema: perché tocca leggere sui suoi social che non è stato capito, e che la campagna stampa contro di lui è finalizzata esclusivamente a impedirgli di lavorare per «la nostra Italia». Ma soprattutto perché si corre il rischio di sorvolare sulle cose più gravi.

 

La settimana scorsa, infatti, la filosofa Donatella Di Cesare è stata prosciolta dall’accusa di diffamazione: aveva affermato che le parole del ministro sulla sostituzione etnica si rifacevano a quanto Hitler aveva scritto nel Mein Kampf: il fatto non costituisce reato, ha deciso la giudice.Ora, in altre circostanze si accetterebbe quietamente la sentenza. Lollobrigida, invece, scrive: «Ci sarà pure un giudice a Berlino», evocando Bertolt Brecht (a essere nuovamente pignoli, come fu Umberto Eco su questo giornale, la frase, e il racconto del mugnaio che incappa in giudici corrotti fino a rivolgersi direttamente al sovrano per ottenere giustizia, non sono di Brecht, ma sono stati riferiti da Brecht. Pazienza).

 

Dopo Brecht, il ministro fa quel che d’abitudine avviene in questa destra di governo: rigira la frittata. L’argomento del suo post riguarda in minima parte la decadenza dell’accusa e le parole «sostituzione etnica»: bensì il brevissimo addio di Di Cesare a Barbara Balzerani, e dunque giù con le stragi, le brigate rosse, i terroristi sanguinari e la stagione dell’odio. In pratica, ribalta Lollobrigida, l’odio non viene da chi ha avvelenato il Paese con lo spettro dei migranti, ma da una professoressa di filosofia.

 

Per questo, la cosa preziosa di oggi è proprio Democrazia e anarchia: il potere nella polis della stessa Donatella Di Cesare, uscito per Einaudi. Dove si legge, fra l’altro, che furono le rifugiate, cantate da Eschilo, a far emergere la volontà del popolo di affermarsi. Né comandare né essere comandati. E neanche querelati ingiustamente. C’è una giudice a Roma, ministro.