Prima di diventare ministro, denunciò che in prigione ci stava chi non avrebbe dovuto entrarci. Entrato nell'esecutivo, sembra non ricordare più quello che dichiarava. E l’amnistia resta un miraggio

Mala tempora currunt: il carcere è malato in maniera irreversibile e la filosofia del governo è legata a una concezione della pena vendicativa contro la risocializzazione prevista dall’art. 27 della Costituzione, tanto è vero che Fratelli d’Italia ha presentato proposte di legge per lo stravolgimento di quel principio con le firme di Meloni, Delmastro Delle Vedove e Cirielli. Per questo il sovraffollamento e i suicidi non turbano e sono considerati effetti collaterali inevitabili.

 

Carlo Nordio, ministro della Giustizia, non ha rappresentato una felice contraddizione per una concezione liberale del diritto e ha dimenticato di avere presieduto una commissione per superare il Codice penale fascista Rocco.

 

La delusione è stata forte. Diceva Nordio nel 2010 – in un dialogo con Giuliano Pisapia affermando l’ipocrisia di un provvedimento di indulto, senza amnistia – che «la mancata riforma del Codice penale, il continuo sovrapporsi di norme contraddittorie, oscure e complicate, l’illusione demagogica che ogni infrazione debba essere punita dai tribunali hanno riproposto subito gli stessi problemi: processi eterni, pene incerte, carceri sovraffollate». Addirittura, per condannare l’impotenza della politica attraverso una “resa” denunciava il fatto che si aprivano le porte delle prigioni «senza domandarsi perché esse si siano chiuse, a suo tempo, alle spalle di persone che non ci sarebbero mai dovute entrare».

 

La vera resa dello Stato si realizza nella violazione dei principi costituzionali del reinserimento sociale dei condannati; perciò, in una situazione di emergenza, si può immaginare una misura di clemenza per rendere umano il sistema. Oggi questa scelta è però impraticabile, dopo la modifica avvenuta nel 1992 dell’articolo 79 della Costituzione, che prevede una maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera per varare una amnistia.

 

Dal rischio di uso distorto di uno strumento di politica criminale e immaginato per bilanciare eccessi possibili del principio di legalità penale si è passati alla impossibilità assoluta. Dalla bulimia alla anoressia, un vero paradosso. L’eliminazione della scelta utilizzata per quarant’anni (21 provvedimenti di amnistia e indulto) che teneva in equilibrio il sistema della giustizia ha comportato l’intasamento dei tribunali e l’affollamento carcerario. Restituire la possibilità di scelta al Parlamento è indispensabile e una proposta al riguardo, frutto di un seminario della Società della Ragione, è depositata alla Camera dei deputati a firma Magi.

 

Di fronte alla proposta dell’onorevole Giachetti per l’aumento dei giorni di liberazione anticipata, il neo-garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà è volato in soccorso non dei reclusi ma del governo, sostenendo che occorrono misure sistemiche.

 

Gli hanno replicato con decisione i garanti regionali e comunali e Magistratura democratica. Proporre una grande riforma in questi tempi bui sarebbe un segno di infantilismo politico. Invece si può e si deve pretendere il rispetto delle norme esistenti, a cominciare dalla applicazione del Regolamento del 2000, e soprattutto di rendere effettivo il diritto alla affettività e a colloqui senza controllo visivo, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza rivoluzionaria 10/2024. Pronti a denunciare l’omissione di atti d’ufficio.