I democratici alleati con la sinistra e gli ambientalisti vincono e lavorano per risanare una città ferita. E ora diventano un modello da esportare

Cercano di scoraggiarti e portarti altrove i cartelli stradali all’ingresso di Brindisi. Grecia, c’è scritto su quello grande e marrone dopo l’aeroporto. Lecce e Salento, un po’ dappertutto. Come a dire: Brindisi un’altra volta.

Non è un posto in cui restare. Scoraggiano anche le palazzine popolari alle porte della città, che si lasciano alle spalle la bellezza audace di Torre Guaceto, la riserva naturale sul mare che promette, a pochi passi, una Brindisi di sole.

E invece arriva Brindisi e basta: la Puglia tutta da rifare e da salvare. Il petrolchimico, la centrale Enel di Cerano e i moli carboniferi del porto commerciale. Sito di interesse nazionale: un’area inquinata e da bonificare di oltre 10 mila ettari, poco meno della metà sul mare. Eppure, per prendere un po’ di fiato a sinistra, è a Brindisi che bisogna andare.

Entrarci dentro, prendere appunti, capire. È qui che si muove, da un anno esatto, uno degli esperimenti politici più interessanti e vitali del Mezzogiorno d’Italia. Qui governa il nuovo sindaco, Riccardo Rossi, 55 anni, ingegnere elettronico e ricercatore all’Enea eletto un anno fa con un clamoroso accordo tra il Pd locale, le sinistre e i movimenti.

Clamoroso nel senso che non ci avrebbe scommesso nessuno. Il contrario esatto delle larghe intese. Rossi è il leader della “coalizione stretta e pura”, come la chiama il segretario locale del Pd, Francesco Cannarile, un militare della Marina di 35 anni, con trascorsi al fianco di Bruno Tabacci e Francesco Rutelli, per dire.

Eppure un pezzo del laboratorio Brindisi passa da qui. Dall’accordo tra un ingegnere e un militare, innamorati di una città ferita, che non hanno nulla da perdere e di cui nessuno ha davvero paura. La storia è questa: Cannarile nel 2012 fa l’assessore (per pochi mesi) del sindaco democratico Mimmo Consales, quello dell’arresto del 2016 che fece scoppiare la questione morale.

Riccardo Rossi, allora, era un semplice consigliere di opposizione. Perbene, un po’ secchione. Aveva attorno un movimento di attivisti che venivano dal movimento per l’acqua pubblica e per il no al carbone: Brindisi Bene Comune. “La sinistra minoritaria”, li chiamavano in città. Quella a cui nessuno dava due lire.

Rossi e Cannarile sono, per anni, figure minori sulla scena del potere brindisino. Ma il vento cambia. E quando a Brindisi esplode il Pd, e il sindaco-giornalista Consales viene fatto fuori da un caso di tangenti e gestione rifiuti, Michele Emiliano non ha dubbi: bisogna allargare. Al centro, a destra se serve. Vincere a tutti i costi. Da segretario regionale del Pd, commissaria la sezione locale e impone il nome di un candidato con trascorsi in Alleanza Nazionale. Straperde. Vince una sindaca sostenuta da un fronte civico destrorso-moderato, Angela Carluccio.

Il primo degli eletti nelle fila del Pd, non contento, la sostiene convintamente, lasciando l’opposizione. La sindaca dura niente (undici mesi), trafitta dalle divisioni interne. Il Pd le ha sbagliate tutte, Emiliano si fa da parte. Brindisi, nel partito, diventa tabù. È qui che Francesco Cannarile diventa segretario di un partito che nessuno vuole più. E allora fa di testa sua e cambia schema, buttando via la calcolatrice. E, in totale controtendenza nazionale, smarcandosi da alfaniani e centristi di ogni tempo e ogni ora, va a suonare a sinistra.

«Riccardo Rossi era l’unico intatto. In consiglio comunale, anche se all’opposizione, entrava solo dopo aver studiato tutte le carte. Conosceva Brindisi come le sue tasche, era l’unico a sinistra che non aveva perso la faccia, non potevamo che candidare lui».

Il controcanto di Rossi aggiunge qualche dettaglio. «Me lo ricordo bene quando venne il Pd a cercarmi», dice il sindaco, con la sua polo scura e il sorriso mite. «Noi venivamo dalle battaglie ambientaliste e da un’opposizione molto dura alle due amministrazioni cadute. Eppure il partito ha avuto il coraggio di azzerarsi e ricominciare. Mi sono fidato. E ho fatto bene. C’era la voglia di riscrivere un altro modello di sviluppo. Non si poteva lasciare Brindisi ai Cinque Stelle e alla Lega».

Un sindaco dei movimenti, le sinistre e il Partito Democratico brindisino 2.0: un accordo che all’inizio si teneva con lo spago. Si racconta che nel Pd nazionale e regionale tutti scommettessero su una amara sconfitta, un rapido divorzio dello strano matrimonio. Con grande scetticismo anche sul resto della coalizione, composta da Liberi e Uguali e una lista di giovanissimi, perlopiù studenti e fuorisede, con il nome preso dal primo rigo di un appello al cambiamento: Ora Tocca a noi.

«Senza i nostri 950 voti sarebbero andati i Cinque Stelle al ballottaggio», spiega uno dei due consiglieri comunali eletti della lista. Si chiama Giulio Gazzaneo, ha 21 anni e studia Giurisprudenza a Lecce. Con i social e WhatsApp ha mobilitato non solo i 20-30enni che sono rimasti in città, ma anche i fuorisede (5 mila giovani in 10 anni hanno lasciato Brindisi, che di abitanti ne ha meno di 90 mila: una vera e propria emergenza-spopolamento), provando per la prima volta a coinvolgerli nel progetto di governo futuro della città. E così sono nati i gruppi di Ora Tocca a noi a Bologna, Torino, Milano. Una scelta, quindi. Uno schema di gioco: movimenti + sinistre + Pd + gioventù. Col governo Conte-Di Maio-Salvini appena insediato, a giugno 2018 la coalizione eretica delle “strette intese” di Brindisi passa al ballottaggio per un soffio. Al secondo turno sbanca (con l’astensionismo alle stelle) e fa ingresso contro ogni pronostico a Palazzo Città. Slogan: Cambiamola questa storia.

E allora, per cambiare la storia di Brindisi, Riccardo Rossi gioca il jolly. Lo chiama dalla Terlizzi di Nichi Vendola. Il jolly si chiama Roberto Covolo, uno dei guru della Sud Innovation. Ex dipendente regionale, collaboratore strettissimo dell’assessore vendoliano Guglielmo Minervini (inventore delle politiche sui “Bollenti Spiriti”, il primo pacchetto di politiche pubbliche nazionali dedicato al sostegno alla creatività giovanile, all’autoimpresa, alle startup innovative e dintorni), Covolo ha 40 anni, la barba castana, l’aria da gigante buono, le bretelle sui jeans. In Italia, se c’è da immaginare la riqualificazione e il rilancio di uno spazio abbandonato si chiama lui.

Dopo gli anni in Regione, peraltro, ne ha aperto uno tutto suo, l’ExFadda, proprio in provincia di Brindisi, a San Vito dei Normanni: un vecchio stabilimento enologico in stato di abbandono da anni trasformato in spazio di social innovation, con dentro un ristorante gestito da persone svantaggiate e varie esperienze di economia sociale, dall’artigianato all’agricoltura. E così, mentre il segretario-militare Pd difende la maggioranza del piccolo miracolo, il genio creativo di Roberto Covolo fa girare gli ingranaggi del laboratorio-città. Partono le assemblee di quartiere e i piani di riqualificazione delle periferie Paradiso, Perrino e Sant’Elia. Parte anche il censimento “Riusa Brindisi” di tutti gli immobili di pregio abbandonati in città. In uno di questi - Palazzo Guerrieri, gioiello edilizio nel centro storico, alle spalle del lungomare - è stato inaugurato martedì scorso il Brindisi Smart Lab. «L’idea è quella di creare un laboratorio in cui si sostengono le idee connesse alla transizione economica e sociale della città», spiega Covolo.

Per lavorare a questo progetto è appena arrivato in città, direttamente dal Gabinetto del Sindaco di Milano, Beppe Sala, Davide Agazzi, altro riferimento nazionale della social innovation, già collaboratore di un’altra pugliese, Cristina Tajani, ex Sel oggi Pd, assessore al lavoro e alla ricerca prima di Pisapia e poi di Sala. Agazzi ha fondato con Tajani l’associazione Milano In, Innovare per includere; oggi si sposta da Covolo per fare qualcosa di simile in questa nuova capitale del centrosinistra del Sud Italia.

Per mano di un altro assessore tecnico di Rossi, intanto, l’urbanista barese Dino Borri, parte anche il progetto di bonifica integrale dell’area Sin altamente inquinata di Brindisi Sud attraverso una riforestazione con oltre 25.000 querce, sugheri e lecci. «Un intervento di disinquinamento e decontaminazione totale, che potrà rendere nei prossimi anni nuovamente coltivabili le campagne attorno all’area industriale», spiega Borri, protagonista anche del braccio di ferro con l’Autorità Portuale per ridimensionare l’ampliamento del banchinamento del porto, soprattutto nella zona di pregio del Castello Aragonese.

Una sponda ambientalista importante per il sindaco che, pur contando sul sostegno della società civile organizzata di Brindisi Bene Comune (la lista civica di cittadinanza attiva da cui tutto ha avuto inizio, che conta ben 6 consiglieri comunali, guidata da una professoressa di inglese, Anna Maria Calabrese), ha qualche grana con il movimento “No al Carbone”, che non condivide il placet di Rossi a Enel sulla conversione della centrale Federico II di Cerano da carbone a gas, dopo il 2025. «È un passaggio da fossile e fossile. Non crediamo più nell’ambientalismo del sindaco», scrivono i No Carb dal loro blog.

Rossi non replica e tira dritto. Strappa 250 milioni alla ministra Barbara Lezzi per un Contratto di Sviluppo a beneficio del futuro post industriale della città. Ricontratta con la Regione i fondi europei della vecchia programmazione per avere operatività e intervenire su manutenzioni urbane e servizi al cittadino. Porta a Brindisi il primo festival del libro e immagina un hub per il turismo lento dei camminatori della via Appia e Francigena. Rilancia gli investimenti in agricoltura. E inizia a guardare alla politica nazionale. «Non possiamo prescindere dal dialogo tra sinistre e Cinque Stelle, in preparazione delle prossime elezioni politiche», dice senza mezzi termini. E sulle prossime regionali: «Non escludo una lista di amministratori in sostegno a Michele Emiliano». Detto dall’unico candidato a sinistra del Presidente nelle elezioni del 2015 la frase fa un po’ impressione. Poi si spiega: «Dobbiamo difendere “la diagonale”».

La diagonale è l’asse Bari-Brindisi-Lecce, dove governa il centrosinistra nonostante il trionfo Cinque Stelle e Lega delle scorse europee. «Bisogna allineare le tre esperienze di governo di centrosinistra e collegarle a Napoli, a Palermo. Sollevare la questione dell’autonomia differenziata, del meridione. Per questo le regionali non si possono perdere. La Puglia al centrodestra è uno scenario inaccettabile. «Alle regionali non esiste il ballottaggio, si gioca tutto al primo turno. Candidature alternative e solitarie, stavolta, col centrodestra alle porte, rischiano di essere troppo rischiose». Il sindaco dei movimenti abbassa gli striscioni e le bandiere, dunque. E si mette in testa a una nuova fase. Nessuno lo aveva visto arrivare. Ma il futuro a sinistra della Puglia e del Sud passa anche da qui.

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