Il libro di Carlo Bonini sugli agenti della Celere provoca le proteste dei reparti. E riapre il dibattito irrisolto dopo il G8 sulla violenza degli agenti

L'Italia? "Non è uno Stivale, è un anfibio di celerino". È l'orgoglio degli ultimi, quelli che con il loro corpo devono controllare la protesta: agenti mandati nelle piazze con scudo e manganello. Ma quelli che devono fermare l'onda della violenza rischiano di esserne contagiati. È un problema che riguarda tutte le polizie del mondo, esploso nel nostro Paese con la barbarie del G8. Un problema che nessuno finora ha voluto affrontare. Ora un libro, documentato come un'inchiesta e scritto con l'energia di un romanzo, permette di entrare dentro quei caschi e vivere la tensione di chi si prepara a rispondere alla forza con la forza. 'Acab', acronimo di all the cops are bastards, del giornalista di 'Repubblica' Carlo Bonini, racconta la vita quotidiana di alcuni uomini del reparto celere: dal vicequestore Michelangelo Fournier ad altri agenti anomini, tutti coinvolti negli episodi peggiori del G8 di Genova e tutti rimasti poi ad affrontare gli assalti degli ultras, picchiatori professionisti sotto spoglie calcistiche.

È un libro molto duro. Perché mostra anche come quegli uomini in uniforme siano abbandonati a loro stessi dalle istituzioni, lasciati a covare il loro rancore e il loro odio. Dirigenti e agenti dichiaratamente di destra estrema, che hanno dimostrato di non riuscire a controllare la reazione, vengono concentrati nei reparti chiave per gestire la serenità del diritto di manifestazione. Le loro caserme sono decorate con slogan del Ventennio, la loro chat 'Doppia vela' è la declinazione telematica della legge del taglione: e non si tratta di un sito qualunque, ma di uno spazio intranet creato dal Viminale a cui si accede solo dalle questure.

Tutto questo continua ad accadere anni dopo quella 'macelleria messicana' della scuola Diaz, denunciata proprio da Fournier, vicequestore di destra con idee politiche note a tutti i suoi agenti e apertamente condivise: "Noi sappiamo come la pensa". Otto anni dopo, nulla è cambiato? Alla vigilia di un altro vertice dei Grandi, con sempre più fabbriche chiuse che alimentano ondate di disoccupazione e una massa di immigrati che non hanno nulla da perdere, il tema del controllo della protesta torna all'improvviso di enorme attualità. Da ambo i lati della barricata. L'uscita di 'Acab' e la contemporanea emergenza per la rivolta di Lampedusa hanno avuto un effetto detonante. Nelle caserme il libro e il silenzio del vertice sui suoi contenuti sono stati accolti con irritazione. In almeno due casi i celerini hanno detto no. La scorsa settimana a Roma l'ordine di prepararsi per un intervento ha ricevuto come risposta una selva di certificati di malattia: la missione è stata poi annullata. Ma a Firenze la questione si è manifestata con chiarezza: alla richiesta di partire per Lampedusa, in 27 si sono dati malati e l'aereo è partito prima di trovare dei rimpiazzi. Per l'infimo stipendio degli agenti, quella spedizione avrebbe significato un extra rilevante. Perché dire signornò? "È sintomatico del clima che stanno vivendo gli uomini", la replica. Ossia, per parafrasare un passaggio del libro di Bonini, sono stufi di essere "O incudine o martello".

Per cambiare la situazione, il Viminale un mese fa ha inaugurato una scuola di 'ordine pubblico'. Oltre a tecniche operative, dovrebbe insegnare ad agire usando "meno fumogeni e più etica", come ha dichiarato il direttore, Oscar Fiorolli. Etica? "Significa piena consapevolezza di improntare la propria attività a un'idea di servizio pubblico". Al nuovo G8 mancano cinque mesi: basteranno per cambiare mentalità a centinaia di uomini lasciati per anni soli a respirare violenza? Non è l'unica misura. Il capo della polizia Antonio Manganelli il 21 gennaio ha diramato una lunga circolare che definisce le regole per la gestione dell'ordine pubblico, sottolineando "il ruolo che le forze di polizia assumono a garanzia del rispetto delle regole democratiche e della tutela dei 'beni pubblici essenziali'". Anche in questo documento, si parla di "nuova etica di polizia... che tenga conto di improntare la propria azione a un corretto livello di visibilità, di tolleranza e di proporzionato rigore".

Il libro di Bonini racconta una storia diversa. Descrive agenti nati dal popolo che condividono il razzismo delle periferie romane abbandonate alla delinquenza straniera, quel "padroni in casa propria" che anima la voglia di farsi giustizia da soli. E ancora una volta porta a chiedersi: ma lo slogan "polizia democratica" ha ancora un senso? Per Donatella Della Porta, professore dell'Università di Firenze che assieme a Herbert Reiter ha realizzato i migliori studi 'laici' sulla questione, il problema resta il 'peccato originale': "La tradizione militare della polizia italiana mantiene il tabù dei controlli interni ed esterni. C'è un tipo di cultura che tende a privilegiare l'efficacia rispetto ai valori democratici". I saggi di Della Porta e Reiter hanno ottenuto più eco all'estero che in Italia: oltre alla mancanza di controllo, sottolineano anche i deficit nella selezione e nell'addestramento. Con una critica ai sindacati di polizia: "All'inizio hanno dato una forte spinta alla democratizzazione, poi il proliferare di sigle autonome - senza rapporti con i movimenti sindacali nazionali - e il loro inserimento nei meccanismi di potere - incarichi, posti, carriera e persino licenziamenti - hanno alimentato una gestione clientelare che ha diminuito la trasparenza". Il sindacato più antico e più di sinistra, il Siulp non ci sta: "Premesso che anche la polizia è figlia della società in cui vive", spiega il segretario generale Felice Romano, "non è assolutamente vero che nei reparti mobili ci sia una maggioranza di agenti di destra, tanto è vero che anche in quelle caserme il Siulp sta guadagnando iscritti. C'è semmai una forte condivisione delle difficoltà oggettive in cui operano i poliziotti, che svolgono un lavoro duro, malpagato, senza gli aiuti promessi da questo governo che della sicurezza ha fatto il tema dominante della propria campagna eletttorale".

Per Romano, Genova è uno spartiacque: "Da allora tutto è cambiato, non la filosofia, ma il modo di intendere l'ordine pubblico, che allora si scontrò con una nuova piazza e un nuovo modo di protestare. La nuova scuola, ad esempio, voluta dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza e fortemente caldeggiata dal Siulp dove tutti i poliziotti imparano, in un corso di qualche settimana con lezioni tenute anche da sociologi e psicologi, che ogni servizio di ordine pubblico è una cosa a se stante ma che ci deve essere una linea comune di comportamento". La parola chiave è mediazione: "Se si arriva allo scontro significa che qualcosa si è inceppato". Nel momento in cui il capo della polizia ordina di filmare tutti i cortei, non si potrebbe almeno rendere identificabili gli agenti con un numero sul casco? "Sono contrario", replica il leader del Siulp: "I poliziotti sono cittadini come gli altri e i manifestanti non sono riconoscibili. Significherebbe partire dal concetto che gli agenti sono pericolosi e devono essere identificabili".

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